Politica, Di Giorgi lascia il Pd e passa a Italia Viva

L’ex deputata e senatrice fiorentina Rosa Maria Di Giorgi, ex vicepresidente del Senato, lascia il Pd e aderisce a Italia Viva.

“Ho deciso di lasciare il Partito Democratico e di aderire a Italia Viva. Una scelta sofferta, ma convinta, che nasce da riflessioni che ho maturato da tempo e che le ultime vicende fiorentine non hanno fatto che rafforzare ulteriormente”. Lo annuncia Rosa Maria di Giorgi, già vicepresidente del Senato, che nei mesi scorsi aveva chiesto insistentemente che per scegliere il prossimo candidato a sindaco di Firenze il Pd tenesse le primarie. La stessa Di Giorgi aveva espresso la volontà di candidarsi a sindaco. “Esco da un partito dove vedo affermarsi giorno dopo giorno la tendenza a superare l’esperienza del Pd, di cui sono stata fondatrice, per tornare al passato DS”, aggiunge Di Giorgi.

“Un partito in cui si fatica ad affrontare il confronto con il centro dell’asse politico a favore di uno spostamento a sinistra e verso il Movimento 5 stelle. Dalle questioni di natura sociale ed etica, dall’utero in affitto, alla liberalizzazione delle droghe leggere fino ai temi del fine vita e alle questioni legate al modello di sviluppo che vogliamo. Sono troppe e troppo profonde oramai le distanze che separano il mio modo di pensare dalla linea politica portata avanti dall’attuale gruppo dirigente nazionale. Da qui il senso di estraneità e la sensazione, che condivido con molti cattolici democratici, di essere ospiti non più molto graditi. “Oggi è arrivato dunque il momento per me di uscire dal Pd. Non ho incarichi politici, non lascio nessun seggio, faccio una scelta libera. Aderisco a un partito che si colloca nel campo dove io voglio stare, il Centro democratico e riformista. Lì darò il mio contributo di idee e di esperienza. Ringrazio il gruppo dirigente nazionale e toscano di Italia Viva che ha accolto la mia richiesta di adesione e ringrazio i moltissimi amici del Partito Democratico che hanno creduto in me, mi hanno sostenuto in questi anni e hanno lavorato con passione accanto a me. Rimarranno sempre nel mio cuore”, conclude di Giorgi.

“Benvenuta in Italia Viva a Rosa Maria Di Giorgi. Una persona di straordinario valore e, di enorme esperienza istituzionale che dara’ un contributo fondamentale al nostro progetto riformista. Insieme faremo un ottimo lavoro per dare al paese una alternativa al sovranismo di destra, e a una sinistra e a un Partito democratico che si sta spostando sempre di piu’ verso il Movimento 5 stelle”. Lo afferma in una nota la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva.

Manuel Vescovi è un nuovo membro di FdI

L’ex Senatore della Lega, nonché ex segretario regionale in Toscana, Manuel Vescovi si è scoperto essere un ‘Fratello d’Italia’

Manuel Vescovi, ex senatore della Lega ed ex segretario regionale in Toscana passa a Fratelli d’Italia. L’annuncio è arrivato in occasione di una conferenza stampa nella sede del Consiglio regionale a Firenze: “E’ un ingresso consapevole per una sfida importante per il futuro, un ingresso che ho concordato con Fdi che ringrazio. Sono stati 30 anni bellissimi ma adesso guardiamo al futuro”.

Secondo Vescovi il 2025, anno in cui si terranno le prossime elezioni regionali, sarà “la volta buona del centrodestra in Toscana, lo abbiamo visto alle ultime elezioni amministrative. Il centrodestra ha imparato che bisogna pianificare prima, vincere è facile basta avere un obiettivo, una strategia e l’azione, però se lo fai l’ultime mese non succede nulla. Se lo pianifichi due anni prima e determini la qualità delle persone sicuramente ce la fai”.

Firenze, aumentano i posti letto a canone calmierato per gli studenti

La Giunta comunale di Firenze a lavoro per garantire posti letto calmierati agli studenti appartenenti alla “fascia grigia”.

Lo Student Hotel di viale Belfiore risulterebbe il settimo come pagamento di tassa di soggiorno. La Giunta comunale di Firenze ha, dunque, proceduto alla delibera di auto-osservazione al POC (Piano operativo comunale) al fine di garantire un maggior numero di posti letto negli studentati. Il piano proposto da Nardella, sindaco e assessore all’urbanistica fiorentino, promette un aumento del 10% dei posti letto a canone calmierato all’interno degli studentati privati, che vanno ad aggiungersi ai 250 posti pubblici previsti dall’ex caserma Lupi di Toscana e San Salvi, con un ammontare di 1250 unità.

Oltre all’attenzione verso le condizioni degli studenti fuori sede, c’è anche quella di venire in contro al Comitato “Salviamo Firenze”, che nei giorni scorsi ha avviato l’iter per due referendi legati, appunto, agli studentati al fine di  modificare  alcune norme urbanistiche, in particolare riguardo ai cosiddetti studentati di lusso, moltiplicatesi in città negli ultimi anni.

Il primo quesito referendario richiede di rendere più complesso la possibilità di cambiare la destinazione d’uso agli immobili usati per servizi pubblici: ciò vuol dire abolire la possibilità di cambiare in direzionale privato immobili in precedenza usati come direzionale pubblico (gli uffici ad esempio) in edifici che superano i 2000 mq, fatte salve leggi nazionali.

Il secondo, invece, richiede una limitazione della possibilità per gli studentati di svolgere attività turistico ricettive per un massimo di 60 giorni.

Si è concluso positivamente il processo di valutazione del consiglio degli esperti dei due quesiti referendari, con la loro approvazione unanime. Non resta che aspettare l’inizio della raccolta firme, programmata per il 2 giugno.

La candidatura di Donald Trump per le presidenziali del 2024. DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”

È ufficiale: Donald Trump, l’uomo che ha tentato di rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020 e ha ispirato una rivolta al Campidoglio, nel disperato tentativo di mantenersi al potere, ha annunciato che si ricandiderà alle elezioni presidenziali del 2024.

L’annuncio – e il deposito ufficiale – arriva appena una settimana dopo le elezioni di midterm del 2022, che hanno visto una scarsa performance dei candidati repubblicani sostenuti da Trump, che ha favorito i Democratici, permettendo loro di mantenere il controllo del Senato. Fattore che ha giocato a favore dei democratici anche la rabbia degli americani per la sentenza della Corte Suprema che ha annullato la Roe v. Wade, cosa che permette ai singoli stati di vietare ora l’aborto. I repubblicani hanno quindi perso nelle corse importanti per il Senato in Stati ‘viola’, ossia in quegli stati in bilico, come Pennsylvania, New Hampshire, Arizona e Nevada.

Anche alla Camera per i Repubblicani non è andata secondo le aspettative, sono riusciti ad ottenere la maggioranza, ma con numeri di molto inferiori a quello che speravano. Secondo il Cook Political Report erano 64 le competizioni contese al 50%. Di queste, Trump ne appoggiava 21, ma solo in sette i suoi candidati hanno vinto. E nelle situazione più in bilico, circa 3 dozzine, la situazione per i candidati sostenuti da Trump è stata peggiore: dei 9 candidati solo uno ha vinto.

Nonostante l’evidenza che il suo marchio e il suo stile politico si siano dimostrati ‘radioattivi’ in Stati e distretti competitivi Trump non ha rinunciato ad iniziare un’altra corsa alla presidenza. La sua mossa però, con il tentativo di assicurarsi la nomina a candidato presidenziale del Grand Old Party costringendo altri funzionari repubblicani eletti a mettersi in disparte e ad appoggiarlo, espone ad un certo grado di vulnerabilità i repubblicani. Infatti, Trump cerca di bloccare potenziali popolari rivali, che potrebbero avere più possibilità di lui ad arrivare alla presidenza, specialmente qualcuno come il governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis, che ha stravincendo nel suo stato ha conquistato grande popolarità a livello nazionale.

Da tenere a mente c’è però un dato importante emerso durante le elezioni di midterm: gli exit-poll hanno infatti mostrato che l’inflazione è il problema principale per gli elettori, che hanno dichiarato di avere più fiducia nei repubblicani che nei democratici, con un ampio margine. Eppure, nonostante questi dati, i repubblicani hanno fallito e il dito è puntato proprio contro Trump, anche all’interno del suo stesso partito.

DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”

All’interno del partito repubblicano in molti hanno iniziato a chiedersi se sia una buona idea continuare ad agganciare il proprio carro all’ex presidente, soprattutto con il governatore della Florida Ron DeSantis in attesa di una decisione del partito in suo favore.

Proprio in sostegno del governatore della Florida, alcuni gruppi conservatori hanno anche pubblicato dei sondaggi che mostrano DeSantis battere Trump nei primi Stati delle primarie presidenziali e in luoghi simbolo come il Texas. Sebbene non vi sia alcuna conferma sulla veridicità di questi dati, il messaggio sembra chiaro: è il momento di scegliere qualcun altro.

Un quadro del clima all’interno del partito è racchiuso ironicamente nei nomignoli che il New York Post ha dato ad entrambi i politici: DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”, che “non è riuscito a costruire un muro” e “ha avuto una grande caduta”.

Tuttavia la presa di Trump sulla base del Grand Old Party – GOP non può essere sottovalutata. Basti pensare ai molteplici eventi in cui il partito avrebbe potuto abbandonare l’ex-presidente, ma non lo ha mai fatto. Un esempio è l’insurrezione del 6 gennaio: la sua presa sembrava essersi allentata – almeno marginalmente – la scorsa estate a causa delle udienze per l’insurrezione e del semplice tempo e della distanza dal potere, ma la perquisizione da parte del FBI nella casa di Trump in Florida è sembrata ironicamente ridare spirito e valore alla sua figura, in quanto gli elettori di base del GOP hanno visto Trump come una vittima. E, come si è più volte visto, l’ex presidente ha spesso utilizzato il vittimismo, soprattutto quello dei bianchi, come carburante per il suo fuoco politico.

Inoltre, sebbene la maggioranza degli americani continua a dichiarare di avere un’opinione sfavorevole dell’ex presidente, almeno prima delle elezioni di midterm, era di gran lunga la figura più popolare e potente all’interno del Partito Repubblicano. Per tanto, nonostante le recenti sconfitte, continua a essere il favorito per la nomination presidenziale del Partito Repubblicano.

Ci sono molti altri in attesa dietro le quinte

Va però precisato che non è solo DeSantis che potrebbe sfidare Trump per la nomination, e non è ancora chiaro se lo farà in quanto il governatore della Florida ha solo 44 anni e probabilmente vuole muoversi con cautela per non turbare la base dei fedeli sostenitori di Trump. La lista degli ipotetici avversari per la corsa alle presidenziali del 2024 presenta diversi noti repubblicani, come l’ex vicepresidente di Trump, Mike Pence, l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite di Trump Nikki Haley, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e il governatore del South Dakota Kristi Noem.

La mossa poco ortodossa di Trump di candidarsi ufficialmente ora appare quindi come un tentativo di sgombrare il campo e concentrare nuovamente l’attenzione su di lui, soprattutto perché deve affrontare molteplici indagini civili e penali in diversi Stati.

Rivincita su Biden?

L’annuncio di Trump arriva proprio mentre Biden si trova ad affrontare diverse sfide politiche.  La popolarità dell’attuale presidente ha infatti risentito della continua crescita dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi del gas e della comparsa di varianti della pandemia di coronavirus. Inoltre, i suoi indici di gradimento sono crollati nell’estate e nell’autunno del 2021 dopo che il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, iniziato sotto l’amministrazione Trump, è stato ampiamente criticato per la sua caotica esecuzione sotto Biden.

Pertanto, sebbene nonostante il successo dell’elezione nel 2016 Trump sia diventato un presidente impopolare, con la popolarità di Biden in calo e l’economia in un momento di incertezza, l’ex- presidente vede l’opportunità di salire nuovamente al potere.

Durante il suo mandato presidenziale, Trump ha fatto leva sul dolore culturale dei bianchi, sul nazionalismo di destra e, ironia della sorte, considerando il suo status di miliardario istruito alla Ivy League, su un populismo economico anti-elitario. Inoltre, il fondamento della candidatura e della successiva presidenza di Trump nel 2016 è stato il nativismo: ha fatto una campagna per la costruzione di un muro per tenere gli immigrati di lingua spagnola fuori dagli Stati Uniti; nei primi giorni di mandato ha vietato l’ingresso nel Paese a persone provenienti da alcuni Paesi, per lo più musulmani; ha infiammato le tensioni razziali, come quando ha detto che c’erano “persone molto per bene” da entrambi i lati di una protesta nazionalista bianca a Charlottesville, in cui è stato ucciso un controprotestante; e ha regolarmente esagerato i pericoli per scatenare la rabbia e la paura in molti americani.

Trump portavoce dei conservatori

Molti repubblicani hanno dichiarato in privato, anche a Capitol Hill, di non amare Trump personalmente, ma di continuare a sostenerlo, nonostante il caos che spesso hanno visto durante la sua presidenza. Queste dichiarazioni hanno sconcertato molti a sinistra, ma il motivo è che Trump ha portato avanti molte politiche condivise dai conservatori. Durante il suo mandato ha infatti varato tagli alle tasse che hanno avvantaggiato soprattutto i ricchi e le aziende, ha insediato tre giudici di orientamento conservatore alla Corte Suprema e ha supervisionato un periodo di crescita economica – fino a quando la pandemia di coronavirus non ha attraversato il mondo.

La nomina di quei giudici ha dato i suoi frutti per i conservatori, dopo 50 anni di maturazione. La Corte ha annullato la sentenza Roe v. Wade, rimandando la politica sull’aborto agli Stati e chiudendo l’accesso all’aborto a milioni di donne in US. La Corte ha anche sostenuto i diritti dei possessori di armi da fuoco e sembra pronta a sancire ulteriormente le strutture sociali conservatrici nelle prossime legislature, con effetti per le generazioni a venire.

Vincerà le primarie?

Dopo aver perso la rielezione, Trump è rimasto arroccato su sé stesso e ha inventato affermazioni di frode, dicendo che la “vera insurrezione” è avvenuta il giorno delle elezioni, nel tentativo di sminuire l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio, ispirato in parte dalle sue stesse parole in un comizio di qualche ora prima. Inoltre, in privato, sembra abbia esercitato senza successo pressioni sui funzionari statali e federali affinché intraprendessero azioni senza precedenti e persino illegali per ribaltare la sua sconfitta. In questo modo non ha mai dovuto ammettere la sconfitta, nonostante i controlli e le revisioni avvenute in molteplici Stati hanno confermato che non ci sono prove di frodi diffuse.

Anche considerando il suo ruolo nell’insurrezione del 6 gennaio, la maggior parte dei funzionari repubblicani, temendo la sua influenza sulla base del GOP e le potenziali ritorsioni, ha rifiutato di appoggiare le critiche al 45° presidente. Chi l’ha fatto, come la deputata del Wyoming Liz Cheney, ha dovuto affrontare alle primarie l’ira degli sfidanti sostenuti da Trump. Cheney ha perso la sua candidatura alla rielezione, così come altri repubblicani che hanno votato per l’impeachment. Se si guarda con attenzione, solo due dei 10 impeachment repubblicani della Casa di Trump sono rimasti sulla scheda elettorale.

L’ex presidente ha quindi non solo i soldi, ma anche gran parte del partito dalla sua. Il suo annuncio formale per la presidenza significa che consoliderà le risorse repubblicane, mentre l’ex immobiliarista e star dei reality TV riprenderà un terreno familiare: quello dell’outsider che lancia pietre, piuttosto che quello del presidente insider responsabile della sicurezza e della prosperità del Paese.

Crpm: Giani confermato vicepresidente Regioni marittime europee

Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani è stato rieletto vicepresidente della Conferenza delle Regioni periferiche marittime (Crpm). La nomina è arrivata al termine dell’assemblea generale che si è svolta ad Agios Nikolaos, nella regione di Creta, in Grecia.

La Crpm riunisce 160 regioni di 28 Stati in gran parte dell’area costiera europea, nelle quali vivono circa 200 milioni di abitanti e “svolge la sua opera per favorire uno sviluppo più equilibrato del territorio comunitario”.

Giani, impossibilitato a essere presente per il concomitante impegno negli Stati Uniti, ha delegato in sua rappresentanza il consigliere regionale Francesco Gazzetti, anche in qualità di presidente della commissione politiche comunitarie del Consiglio regionale della Toscana.

Gazzetti ha presieduto la sessione sulle politiche di coesione, dedicata a una riflessione sulle criticità del periodo corrente di programmazione comunitaria 2021-2027 e sulle sfide future per i territori.

La Toscana, infatti, anche per il prossimo biennio avrà l’importante delega alle politiche di coesione. Nel corso dell’assemblea si è discusso su tutte le tematiche correlate all’uso dei fondi comunitari per investimenti strutturali e sul ruolo dei territori nei processi di programmazione e di gestione delle risorse, stante le criticità del contesto internazionale attuale.

L’organizzazione della Crpm si articola in 6 commissioni geografiche (Isole, Atlantico, Mediterraneo, Baltico, Mare del Nord, Balcani/Mar Nero), e promuove progetti di cooperazione tra le regioni su problematiche comuni, puntando a favorire lo sviluppo regionale e la coesione territoriale in Europa.

Lavoratori di Amazon dello stato di New York hanno votato ‘No’ alla creazione di un sindacato

I lavoratori di Amazon vicino ad Albany, New York, hanno votato ‘No’ alla proposta di organizzarsi in un sindacato, dando un duro colpo al nascente sforzo di formare uno strumento di tutela dei diritti dei lavoratori di uno dei più grandi datori di lavoro del paese.

Per accedere alla votazione erano stati considerati idonei più di 900 lavoratori dipendenti di Amazon. Scopo del voto era quello di raggiungere una decisione sulla possibilità, offerta ai lavoratori dell’azienda, di unirsi al nascente Amazon Labor Union.

Il nuovo sindacato, gestito dai dipendenti attuali e vecchi di Amazon (lavoratori che non sono affiliati ai sindacati tradizionali), si è visto bocciare la sua proposta. Di fatto il conteggio del risultato ha visto la vittoria dei ‘no’, con 406 voti contrai, e solo 206 voti a favore.

Amazon Labor Union (ALU) aveva conquistato le pagine dei giornali internazionali quando vinse le elezioni sindacali a Staten Island a New York, riuscendo così a sindacalizzare il primo magazzino statunitense di Amazon, uno con più di 8.300 dipendenti. Successivamente però, non riuscì a ottenere abbastanza voti per sindacalizzare un secondo magazzino di Staten Island. Mentre Amazon sta ancora cercando di ribaltare quella unica vittoria dell’ALU creando un caso che probabilmente finirà nei tribunali.

Amazon, che è diventata uno dei principali datori di lavoro degli Stati Uniti, sta conducendo una lotta ormai decennale contro i tentativi di organizzazione sindacale del lavoro mentre, ed ha affrontato cinque elezioni sindacali in meno di due anni. Ma con il risultato di martedì, i sindacati hanno finora sono riusciti a prevalere soltanto una volta su cinque.

Le richieste dei lavoratori pro-sindacati di Amazon sono simili alle rivendicazioni dei lavoratori di tutto il mondo, ed includono una retribuzione più alta e la soluzione di vari problemi legati alla sicurezza sul lavoro.

Gli organizzatori delle votazioni per aderire a Amazon Labor Union hanno accusato Amazon di intimidazioni e ritorsioni, denunciando che la società ha organizzato riunioni obbligatorie per i dipendenti volte a scoraggiare il voto a favore della creazione di un sindacato.

Per ulteriori informazioni consultare l’articolo “Amazon workers vote against unionizing at upstate NY warehouse” al seguente link: https://www.npr.org/2022/10/18/1128487687/amazon-workers-vote-against-unionizing-at-upstate-ny-warehouse

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