Licenziato per aver criticato l’azienda su Whatsapp: deve essere reintegrato

Il Tribunale del lavoro di Firenze ha disposto la reintegrazione dell’operaio dipendente di un’azienda di abbigliamento del Fiorentino, licenziato per aver offeso in una chat di gruppo su Whatsapp un suo superiore. Nella sentenza si dispone che un giudizio lesivo che non viene reso pubblico, non può essere lo strumento con il quale il datore di lavoro licenzia il dipendente, nonostante l’offesa.

L’operaio, contrariato per la promozione di altri suoi colleghi, aveva inviato un messaggio vocale in una chat Whatsapp che raggruppava alcuni di essi. Il messaggio è stato inviato da uno degli utenti della chat ai vertici aziendali che hanno disposto il suo licenziamento. Secondo l’azienda, l’operaio, con il suo comportamento, avrebbe fatto venir meno il rapporto di fiducia.
La sentenza del giudice del tribunale del lavoro ha stabilito che il controllo disciplinare dell’azienda non può spingersi alle comunicazioni private del lavoratore, disponendo il reintegro dell’operaio. Prendendo spunto da un orientamento della Corte di Cassazione, il magistrato ha distinto tra espressioni lesive diffuse attraverso canali pubblici e i canali privati. Richiamato l’articolo 15 della Costituzione, che definisce inviolabili la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
Il lavoratore dovrà ora decidere se accettare il reintegro o un indennizzo alternativo. L’uomo non aveva mai negato d’essere l’autore del messaggio vocale, precisando di aver insultato il superiore all’interno di una chat che conteneva una cerchia ristretta di persone. In virtù di questo elemento, il tribunale ha ritenuto che un giudizio non può essere costitutivo di motivo di licenziamento.
Dopo essere stato licenziato, trovando ingiusto il provvedimento, il lavoratore si era rivolto al sindacato Cisl di Prato ed è stato assistito legalmente dalla Femca Cisl. “Questa sentenza ha un valore straordinario perché sancisce il diritto alla privacy e disconnessione del lavoratore in un mondo del lavoro sempre più connesso”, spiega Mirko Zacchei, segretario della Femca Cisl di Prato.

Firenze, uomo sfregia e acceca l’ex: condannato a 14 anni e 6 mesi

Il Tribunale di Firenze ha condannato un uomo a 14 anni e 6 mesi per lesioni gravissime derivate da maltrattamenti. L’aggressore, che non accettava la fine della relazione con la sua ex compagna, aveva accoltellato la vittima causandole la perdita della vista da un occhio e sfregiandole il volto. Il fatto, avvenuto a Pelago (Firenze), risale al 19 settembre 2018. Il pm Ornella Galeotti aveva chiesto 15 anni di pena.

Il 45enne non accettava la fine della relazione con la madre dei loro quattro figli ed ha deciso di punirla. In quella circostanza la donna, 36 anni, è riuscita a non subire colpi mortali afferrando il braccio con cui l’uomo impugnava il coltello e deviando verso l’alto il fendente. L’estremo gesto però non è altro che il culmine di una vicenda di violenze fisiche e psicologiche che duravano da anni. I maltrattamenti erano già noti dato alle forze dell’ordine visto che l’uomo il 26 aprile 2018 era stato condannato a 2 anni e 2 mesi in rito abbreviato.
Già dal 2016 a causa dei maltrattamenti la donna si era allontanata dal compagno, portando via con sé i quattro figli e andando a vivere in una struttura protetta nel Senese. Nel tempo si era riavvicinata a Firenze e la vicenda era seguita dagli assistenti sociali, che hanno garantito all’uomo incontri protetti coi figli.
Come emerge dalla vicenda giudiziaria, l’uomo avrebbe scoperto la nuova ubicazione della casa della ex grazie a questi incontri e ai contatti via cellulare coi figli. Così, nei giorni precedenti il 45enne aveva inviato messaggi con offese e minacce alla donna. Il culmine delle minacce si concretizzò il 19 settembre 2018 quando l’uomo, a Pelago si appostò in strada e accoltellò l’ex anche in presenza di testimoni oculari.
Il Tribunale di Firenze ha anche stabilito, oltre alla condanna a 14 anni e 6 mesi, risarcimenti da 40.000 euro per la donna e di 10.000 euro per ciascuno dei quattro figli, tutti parte civili. Il processo si è svolto con giudizio immediato.

Firenze: “Conciliare vita-lavoro è un diritto”

Lo ha stabilito la sentenza del Tribunale di Firenze condannando per la sua violazione l’Ispettorato del lavoro fiorentino. Il ricorso è stato presentato da Maria Grazia Maestrelli, Consigliera regionale di parità della Toscana. Accertata la discriminazione collettiva a danno di 83 dipendenti dell’Ispettorato.

La violazione commessa dall’Ispettorato del lavoro di Firenze è stata riconosciuta e sanzionata dal Tribunale. Il ricorso è stato patrocinato dalle avvocatesse Lucia Secchi Tarugi, anche Consigliera di Parità della provincia di Siena, e Daniela Cantisani.

Disposta dunque la rimozione degli ordini di servizio interni che non rispettavano l’ultimo contratto collettivo nazionale della Funzione Pubblica che concede flessibilità oraria ai dipendenti genitori di ragazzi sotto i 16 anni. In 14 infatti erano dovuti ricorrere al part-time dopo l’apertura di un procedimento disciplinare contro una dipendente.

Il giudice ha anche obbligato l’Ispettorato a mettersi a un tavolo con le rappresentanze sindacali per adeguare l’orario agli strumenti di conciliazione vita-lavoro. La sentenza che condanna l’Ispettorato del lavoro di Firenze è antesignana rispetto all’obbligo imposto dalla Direttiva europea. Essa introduce l’equilibrio fra attività professionale e vita familiare, imponendo a tutti gli Stati membri di adeguarvisi entro il 2020.

“La sentenza conferma una situazione che il mio ufficio denuncia da anni riguardo agli effetti negativi della mancata concessione delle misure di conciliazione vita-lavoro e il pregiudizio che di conseguenza sono costrette a subire le lavoratrici madri, purtroppo di sovente, costrette per tale ragione ad arrendersi ad un obsoleto retaggio culturale che impone alle donne di scegliere fra la famiglia e il lavoro”, ha detto Maestrelli. “Fa specie constatare – conclude la consigliera – che sia proprio l’Ispettorato del lavoro a non esser stato capace di adottare al suo interno le misure che servono ad assicurare una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro, in particolare alle madri lavoratrici”.

Firenze: Viminale impugnerà sentenza Tar zone rosse

Lo si apprende da fonti del Viminale secondo le quali si sta anche valutando di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi “per posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza”.

Il ministero dell’Interno impugnerà la sentenza del Tar di Firenze contro le cosiddette ‘zone rosse’ e quelle dei tribunali di Bologna e Firenze a proposito dell’ iscrizione anagrafica di alcuni cittadini stranieri. Lo si apprende da fonti del Viminale secondo le quali si sta anche valutando di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi “per posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza”.

Annullando l’ordinanza del prefetto di Firenze Laura Lega sulle cosiddette ‘zone rosse’, “il Tar della Toscana ha detto che certi provvedimenti non si possono fare in questo modo, perché ci devono essere presupposti di urgenza e di necessità, e perché una persona denunciata non può essere considerata automaticamente pericolosa”. Così invece l’avvocato Cino Benelli che insieme ai colleghi Adriano Saldarelli e Fabio Clauser ha assistito Matteo Innocenti, attivista di Potere al popolo che ha ricorso contro l’ordinanza: era direttamente interessato dall’ordinanza perché destinatario di una denuncia.

Con le zone rosse la prefettura aveva previsto che in 17 aree della città fosse vietato stazionare “a soggetti che ne impediscano l’accessibilita’ e la fruizione con comportamenti incompatibili con la vocazione e la destinazione” delle stesse aree, venendo ritenuto responsabile di tali condotte i denunciati in materia di stupefacenti, reati contro la persona, per danneggiamento di beni o commercio abusivo.

“Le zone rosse non sono mai state inserite in un regolamento di polizia urbana a Firenze”, ha aggiunto Benelli e questa è “un’ordinanza straordinaria ai sensi delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, che poteva essere applicata solo per casi di urgenza e necessità. Nel testo dell’ordinanza stessa però si sottolinea che Firenze è una città tutto sommato messa in sicurezza. Non si possono limitare libertà personali per una presunzione di insicurezza”. L’obiettivo, è stato spiegato, era anche quello che l’ordinanza “non diventasse a regime”. Il ricorrente si è detto “contento di aver vinto, segno che esiste un minimo di dignità in questa città. Come Pap siamo in totale disaccordo contro questa ordinanza”: “Portava a una deriva autoritaria”.

Dal Viminale sottolineano di essere pronti a “riformulare l’ordinanza per allontanare da alcune aree cittadine balordi e sbandati” ma, ribadiscono, si valuta anche la possibilità di chiedere un intervento dell’Avvocatura dello Stato per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi e passare il fascicolo ad altri a causa delle proprie posizioni sulla politica del governo.
Idee che, dice il Viminale, sono state “espresse pubblicamente o attraverso rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri come “Diritto, immigrazione e cittadinanza” o con avvocati dell’Asgi (associazione studi giuridici per l’immigrazione) che hanno difeso gli immigrati contro il Viminale.

Il ministero fa riferimento in particolare alla giudice Luciana Breggia – il magistrato del tribunale di Firenze che ha emesso la sentenza che ha escluso il ministero del giudizio sull’iscrizione anagrafica di un immigrato e contro la quale si è già scagliato il ministro dell’Interno Matteo Salvini (“si candidi per cambiare le leggi che non condivide”) – ma anche altri due magistrati che “collaborano con la rivista”: Rosaria Trizzino, che, dice il Viminale, è il giudice che presiede la sezione del Tar della Toscana che ha bocciato le zone rosse e Matilde Betti, la presidente della prima sezione del tribunale civile di Bologna che il 27 marzo 2019 non ha accolto il ricorso proposto dal ministero dell’Interno contro la decisione del giudice monocratico del capoluogo emiliano che disponeva l’iscrizione nel registro anagrafico di due cittadini stranieri.

Migranti, Salvini: “giudice Firenze dà torto a Viminale, si candidi o applichi leggi”

La giudice del tribunale di Firenze Luciana Breggia presa di mira da Matteo Salvini che commenta: “la democrazia è bellissima, invito questo giudice a candidarsi alle prossime elezioni per cambiare le leggi che non condivide. Ma mi aspetto che un magistrato applichi le norme, anziché interpretarle”. Nei giorni scorsi Breggia aveva respinto un ricorso del Viminale.

“È stata relatrice di una sentenza contro il ministero dell’Interno, parla di ‘deumanizzazione delle migrazioni’, va a dibattiti con le Ong e presenta libri schierati contro respingimenti e porti chiusi”. Lo sostiene il Viminale a proposito di Luciana Breggia, presidente della sezione specializzata per l’immigrazione e la protezione internazionale del tribunale di Firenze.

“Lo scorso 15 maggio – ricorda il ministero – ha emesso una sentenza significativa. Nega al Viminale la possibilità di impugnare una decisione del tribunale di Firenze, che ha disposto l’immediata iscrizione all’anagrafe del Comune di Scandicci di un richiedente asilo. In sostanza, la sentenza Breggia – continua il Ministro – strappa al ministero la possibilità di opporsi, lasciandola esclusivamente all’autonomia dei sindaci e contrastando un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il rischio è avere interpretazioni difformi sul territorio e su un tema delicato come quello anagrafico”.

“Il magistrato Breggia – racconta il Viminale – ha dichiarato in un’intervista di marzo: ‘Giro molto per le scuole e scrivo di quegli uomini ridotti in condizione di schiavi’, poi ha bocciato i Centri di accoglienza straordinaria ‘limbo di insicurezza’ e ha spiegato che ‘le leggi che costituiscono il diritto, non sempre vanno nella direzione della giustizia’ facendo l’esempio delle leggi razziali. La sezione da lei presieduta – continua il Ministero dell’interno – nel secondo semestre 2017, su 41 ricorsi presentati dagli immigrati ne ha accolti 35 (più dell’85%). Nel 2018-2019 non si è ancora pronunciata su alcun ricorso. La dottoressa Breggia è stata relatrice alla presentazione del libro ‘L’attualità del male, la Libia dei lager è verità processuale’. Insieme a lei – cita in conclusione il Viminale – c’era la portavoce di Mediterranea Alessandra Sciurba. L’autore del libro è Maurizio Veglio, avvocato membro di Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione)”.

Firenze: bocciato ricorso Viminale su caso anagrafe migrante

Il Ministero dell’Interno aveva impugnato la decisione dello scorso marzo di un giudice che autorizzò un somalo richiedente asilo a presentare domanda di iscrizione all’anagrafe del Comune di Scandicci. Il Tribunale di Firenze ha respinto il reclamo, ora il “Viminale paghi spese”.

Il Comune che aveva rifiutato l’iscrizione basandosi sulle recenti norme del ‘Decreto sicurezza’. Era la prima sentenza di questo genere seguita, poi, da altre decisioni dei Tribunali di Bologna e Genova.

Lo scorso marzo, il giudice Carlo Carvisiglia aveva stabilito che “ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante, in quanto ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di asilo” e, quindi, è autorizzato a presentare domanda di iscrizione all’anagrafe.

Il Tribunale di Firenze, in composizione collegiale, ha di fatto confermato il primo verdetto, scaturito dal ricorso dell’avvocato Noris Morandi dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, bocciando il reclamo del Ministero che, secondo i giudici, non aveva “legittimazione” ad impugnare perché non partecipò al primo grado. “Avrebbe potuto intervenire volontariamente nel processo di prima fase, e in tal caso sarebbe stato legittimato a proporre il reclamo”, hanno scritto i giudici, chiarendo che il Viminale dovrà versare 2767 euro di spese legali allo Stato per il gratuito patrocinio del somalo.

Il sindaco di Scandicci, nel primo grado, si era opposto al ricorso del richiedente asilo e lo aveva fatto, scrive ora il Tribunale di Firenze, come “Ufficiale del Governo” che ha “interpretato una normativa anche alla luce delle istruzioni del Ministero dell’Interno”, il quale, invece, non ha partecipato alla “prima fase” e, dunque, non aveva titolo per presentare il reclamo contro la prima sentenza.

I giudici (Luciana Breggia, Luca Minniti e Federica Samà) ricordano nella sentenza che sia il primo giudice di Firenze, che poi i Tribunali di Bologna e Genova nelle scorse settimane, hanno emesso “provvedimenti” che hanno “offerto una lettura delle modifiche apportate” dal ‘decreto sicurezza’ “coerente con il complessivo quadro costituzionale e eurounitario, esercitando il potere, ma anche il dovere, di interpretazione orientata al rispetto delle norme costituzionali” ed europee.

Del resto, aggiungono i giudici, “anche l’Associazione Nazionale Ufficiali di Stato civile e d’anagrafe ha evidenziato i problemi interpretativi della nuova norma auspicando un intervento della Corte costituzionale”. Per questi motivi, secondo i giudici, è stata “corretta” la decisione del Comune di Scandicci “di non proporre reclamo”.

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