Ven 29 Mar 2024

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Stupro Fortezza da Basso: ‘sentenza pregiudizi su donne’, Cedu condanna l’Italia

7 assolti per stupro, ‘nel verdetto commenti ingiustificati’ per la Corte Europea dei Diritti Umani

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una “presunta vittima di stupro” con una sentenza che contiene “dei passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima”, “dei commenti ingiustificati” e un “linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana”. E’ quanto si legge nella documentazione diffusa oggi dalla Corte che ha sede a Strasburgo.

Il caso riguarda una sentenza della Corte d’appello di Firenze del 2015 che assolse 7 imputati accusati di uno stupro di gruppo avvenuto nella Fortezza da Basso nel 2008.

A ricorrere alla Corte di Strasburgo è stata la “presunta” vittima della violenza. Nel suo ricorso non ha chiesto alla Corte di Strasburgo di esprimersi sull’assoluzione degli imputati, ma sul contenuto della sentenza, che secondo lei ha violato la sua vita privata e l’ha discriminata. Oggi la Corte di Strasburgo le ha dato ragione accordandole un risarcimento per danni morali di 12 mila euro.

La vicenda è accaduta il 26 luglio del 2008 in una macchina parcheggiata fuori dalla Fortezza da Basso a Firenze: coinvolge una ragazza che all’epoca aveva 22 anni e sette ragazzi che avevano tra i 20 e i 25 anni. Dopo la denuncia per stupro, gli accertamenti medici e le indagini, gli imputati vennero arrestati. Il processo terminò nel gennaio del 2013 con la sentenza di condanna per sei dei sette accusati a 4 anni e 6 mesi di reclusione.

I difensori dei condannati ricorsero in appello. La sentenza della Corte di appello ha completamente rovesciato la condanna in primo grado: i sei imputati sono stati tutti assolti con formula piena perché «il fatto non sussiste». La procura generale di Firenze non ha presentato ricorso in Cassazione e la sentenza è diventata quindi definitiva e sono state pubblicate le motivazioni riprese innescando proteste che denunciavano come il giudizio sulla vita privata e sessuale della ragazza sembrerebbero le motivazioni principali che hanno indotto i giudici a mettere in dubbio la sua versione e la condanna di primo grado.

Il testo della sentenza come sottolinea il difensore della ragazza, l’avvocata Lisa Parrini, ha parlato di una «motivazione densa di giudizi morali» facendo riferimento in particolare alla definizione «vita non lineare» data dai giudici solo perché, ha precisato il legale, la ragazza “in una motivazione di sole quattro pagine si sostiene che con il suo comportamento ha dato modo ai ragazzi di pensare che fosse consenziente”. Dopo le motivazioni della sentenza, la ragazza aveva scritto una lettera in cui sosteneva di essere stata messa lei stessa sotto processo per le sue scelte private, innescando la mobilitazione delle associazioni femministe per condannare il contenuto della sentenza e il giudizio sulla sua vita personale e sessuale come motivazioni della sentenza.

“Una sentenza importantissima, quella emessa stamattina dalla Corte europea dei diritti umani, perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro, ritenute corresponsabili delle violenze subite in base a valutazioni legate alla loro vita privata che continuano a essere usate per motivare sentenze condiscendenti verso gli autori delle violenze, nonostante ciò sia vietato da nome interne e internazionali, a cominciare dalla Direttiva dell’Unione europea sulla protezione delle vittime di reato, dalla CEDAW e dalla Convenzione di Istanbul”. Ad affermarlo Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, in merito al ricorso alla CEDU presentato dalle avvocate Sara Menichetti e Titti Carrano di D.i.Re .
La Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto, come sostenuto nel ricorso, che la tenuta del processo ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

“Da tempo denunciamo il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze. La magistratura italiana deve evitare di usare strumenti che colpevolizzano le donne e rispettare le convenzioni internazionali a tutela delle donne che subiscono di violenza”, conclude la presidente di D.i.Re.

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