L’ipotesi è quella di traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi. Per questo la Procura di Firenze ha disposto una serie di perquisizioni in otto aziende dedite alla gestione di questo tipo di materiali. Insieme a loro perquisito anche un laboratorio di analisi.
I provvedimenti sono stati eseguiti tra martedì e ieri dai carabinieri del Noe Firenze, coadiuvati dal Noe di Roma e dai colleghi dei comandi territoriali, a Firenze, Arezzo, Roma, Viterbo, Pisa e Brescia. Perquisizione in otto aziende dedite alla gestione a vario titolo dei rifiuti pericolosi e non pericolosi e in un laboratorio di analisi e ispezioni in tre imprese di gestione rifiuti speciali per verificare il ciclo produttivo, al campionamento degli scarti e delle materie prime e secondarie ottenute dal loro recupero. Lo spiega in una nota la Procura antimafia di Firenze, diffusa, si spiega, a seguito del comunicato diramato il 30 maggio dalla Chimet, l’azienda di Badia al Pino specializzata nel recupero degli scarti dei metalli preziosi, tra quelle perquisite.
L’inchiesta è partita da quella più ampia sul Keu. La Procura ipotizza un illecito traffico di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi: circa 84.000 tonnellate avviate al recupero e 12.000 tonnellate avviate a smaltimento. Tra il 2012 e il maggio 2023, quegli scarti sarebbero stati declassificati in rifiuti non pericolosi e così sarebbero stati avviati al recupero, fino al novembre 2021, in impianti “compiacenti” anche grazie alla predisposizione di documentazione ad hoc. Non essendo autorizzate alla ricezione di rifiuti pericolosi, le imprese “compiacenti” recuperavano gli scarti in maniera fittizia, secondo la Procura “facendone perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come materie prime e secondarie ad aziende, allo stato terze non indagate, attive nel settore dell’edilizia”.
Un affare di almeno 21 milioni di euro secondo la Procura, derivante dal “risparmio economico ottenuto avviando il rifiuto al recupero, con codice Eer non corretto, con enormi guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni di euro, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage, si è garantita la ricezione di quei rifiuti pericolosi, che avrebbero diversamente dovuto essere avviati ad impianti autorizzati”.
Nell’inchiesta sono indagati i vertici della Chimet: Luca Benvenuti, Cristina Squarcialupi e due dirigenti. Per la Procura la Chimet, dal novembre 2021 avrebbe iniziato a avviare il rifiuto, sempre con codice Eer non pericoloso, presso impianti di smaltimento (non più a recupero) per la stabilizzazione e il successivo conferimento in discarica. “Una cautela”, secondo la Procura, adottata fino al maggio scorso dall’azienda solo dopo che l’Agenzia regionale di protezione ambientale aveva accertato la presenza di tre classi di pericolo e segnatamente: la HP7 cancerogeno per gli ossidi di nichel; HPlO tossico per la riproduzione per gli ossido di boro; HP14 ecotossico per gli ossidi metallici.
In tal modo avrebbe conferito complessivamente altri 12 mila tonnellate di rifiuti. Un espediente, ritiene la Procura, teso “a ridurre il potenziale danno ambientale conseguente dall’illecito impiego delle pseudo materie prime e secondarie a diretto contatto con le matrici ambientali”, ma non a escluderlo “del tutto in quanto gli attuali impianti destinatari (allo stato terzi non indagati), avendo ricevuto il rifiuto come non pericoloso, lo hanno gestito come tale, avviandolo a discariche per rifiuti speciali non pericolosi”. “Solo nelle ultime settimane – conclude la nota della Procura – in seguito all’interlocuzione con l’Ente pubblico deputato al rilascio delle autorizzazioni ambientali, l’impianto ha modificato il codice Eer del rifiuto attribuendogli una classifica pericolosa, sebbene il ciclo produttivo fosse rimasto invariato”.