Pergola: Giampiero Solari dirige “After Miss Julie”

Al Teatro della Pergola Giampiero Solari dirige Gabriella Pession, Lino Guanciale, Roberta Lidia De Stefano, in After Miss Julie di Patrick Marber, gioco febbricitante di corpi e scandali da Strindberg

Al Teatro della Pergola, da martedì 27 novembre a domenica 2 dicembre, Giampiero Solari dirige Gabriella Pession, Lino Guanciale, Roberta Lidia De Stefano, in After Miss Julie di Patrick Marber, trasposizione moderna, drammatica e sexy, del classico La signorina Giulia di August Strindberg. Risentimenti di classe e rivolta contro i repressivi costumi sociali delineano un dramma acuto, teso e spietato.

“L’impatto emotivo de La signorina Giulia viene seguito fedelmente – afferma Giampiero Solari – là dove, però, Strindberg reprime gli istinti dei protagonisti, After Miss Julieesplicita la provocazione sessuale rendendola evidente.”

Nell’arco del notte del 29 aprile 1945, nel chiuso di una cucina alle porte di una Milano appena liberata dal nazifascismo, l’abbiente Signorina Giulia (Gabriella Pession) ribalta lo status quo: circuisce Gianni (Lino Guanciale), l’autista del padre e capo della servitù, scontrandosi con la cuoca Cristina (Roberta Lidia De Stefano), di lui promessa sposa. Nel finale, crudo e violento, il sangue e il rosso assumono la realtà di simbolo tragico.

Giovedì 29 novembre, ore 18, Gabriella Pession, Lino Guanciale, Roberta Lidia De Stefano, incontrano il pubblico. Coordina Riccardo Ventrella. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.

Una produzione Teatro Franco Parenti, con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lombardia, Comune di Milano.

Nel 1888 La signorina Giulia di August Strindberg fu oggetto di uno scandalo clamoroso nella società svedese, all’epoca puritana e conformista. Fortemente influenzato dal teatro di Ibsen e più ancora dai romanzi di Émile Zola, Strindberg era del tutto consapevole della forza innovativa e dirompente del personaggio dell’altolocata Giulia che decide di sedurre un suo sottoposto, Gianni: in una lettera all’editore Bonnier la descrive come la “prima tragedia naturalistica della letteratura drammatica svedese”, da non “respingere alla leggera”, perché destinata a “rimanere nella storia”. E così è stato.

Sceneggiatore candidato all’Oscar per film come Closer e Diario di uno scandalo, Patrick Marber ha riscritto l’originale di Strindberg per la BBC nel 1995, poi al debutto nel 2003 nei cartelloni della stagione teatrale londinese. After Miss Julie arriva ora per la prima volta in Italia con Gabriella Pession, Lino Guanciale, Roberta Lidia De Stefano, diretti da Giampiero Solari, e la traduzione di Marco Maria Casazza. Al Teatro della Pergola da martedì 27 novembre a domenica 2 dicembre. Una produzione Teatro Franco Parenti, con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lombardia, Comune di Milano.

“L’idea di questo spettacolo è nata due anni fa – racconta Gabriella Pession – quando vidi After Miss Julie interpretato a Londra da mio marito Richard Flood. Mi sono innamorata subito della versione di Marber, pensata come una trasposizione tv del classico di Strindberg: 90 minuti esplosivi. Non ci ho pensato un attimo e ho preso i diritti io stessa per portarlo in Italia.”

Gabriella Pession è la Signorina Giulia, nata e cresciuta in una famiglia dell’alta società, che decide di abbandonarsi alla trasgressione sociale e sessuale: spinta da uno spirito di ribellione, nel corso di una notte, e in assenza del padre, usando il suo ruolo da “padrona di casa”, circuisce in maniera ossessiva l’autista e capo della servitù Gianni, interpretato da Lino Guanciale. Dopo il successo della serie RAI La porta rossa, i due attori affrontano in teatro le tensioni tra le classi sociali e il desiderio di autoderminazione delle donne.

“Marber trasferisce l’azione dalla Svezia di fine Ottocento – spiega Giampiero Solari – all’Inghilterra della notte dei festeggiamenti per la vittoria del Partito Laburista nel 1945. È una notte di baldoria, tutti sono eccitati. Ed è in questa notte che si consuma la tragedia, sorta di “macabra celebrazione” o “rimozione ironica” del successo laburista. Infatti, tra i valori espressi da quel partito ci sono l’emancipazione femminile e la liberazione sessuale. Noi abbiamo scelto di ambientare la vicenda in Italia, alle porte Milano, la notte del 29 aprile del ’45, nei giorni della Liberazione dall’occupazione nazifascista: momento storico che apre un periodo carico di conflitti e trasformazioni che segneranno i costumi e la società italiana.”

After Miss Julie accade interamente nella cucina di un’antica villa, uno spazio seminterrato. La Signorina Giulia irrompe di continuo, provocando colpi di scena e finte casualità, per sedurre in maniera spudorata Gianni, di fronte persino a Cristina (Roberta Lidia De Stefano), cuoca che cucina veramente sul palco, di lui promessa sposa. Le scene sono di Giorgio Morandi, Elisa Rolando e Marta Solari (studenti del Triennio in Scenografia di NABA Nuova Accademia di Belle Arti) con il coordinamento di Angelo Linzalata, i costumi di Nicoletta Ceccolini, le musiche sono arrangiate ed eseguite da Woody Gipsy Band e Giuseppe Bonifacio, le luci sono di Camilla Piccioni.

“Il punto di vista dello spettatore – commenta Solari – segue, come in un piano sequenza, con un movimento lento e continuo, la spirale di distruzione di After Miss Julie, luogo reale ricostruito psicologicamente da Giulia e Gianni, dove per paradosso la cuoca Cristina rappresenta il desiderio di non mutare l’ordine sociale prestabilito.”

Tale ambientazione avvolge i personaggi in maniera realistica, come se affiorassero da una fotografia in bianco e nero, portando sui costumi segni di colore che li aiutano a definirsi dentro lo spazio. Il tutto crea un’immagine che racconta un’epoca e una singolare storia emotiva, per tanti particolari molto vicina a oggi.

“La Signorina Giulia ha una carica erotica molto forte – conclude Giampiero Solari – conseguenza di un’esistenza vuota che cerca di riempire con una sessualità sfrenata. Vuole fuggire dalla sua vita di agio e ipocrisie; in realtà, lei è vittima dell’eredità della sua posizione, una outsider della nuova società appena proclamata con la Liberazione.”

L’erotismo è il modo della Signorina Giulia di scuotere una vita divenuta insopportabile, è l’espressione di una rivolta per destabilizzare gli schemi sociali che la circondano e opprimono come un uccellino in gabbia. Un gioco febbricitante di corpi e scandali dichiaratamente ostinato nel forzare il limite, sovvertire l’ordine, osare l’inaccettabile.

Biglietti

Intero

Platea 34€ – Palco 26€ – Galleria 18€

Ridotto OVER 60

Platea 30€ – Palco 22€ – Galleria 16€

Ridotto UNDER 26

Platea 22€ – Palco 17€ – Galleria 13€

Ridotto Soci Unicoop Firenze

Platea 26€ – Palco 19€ – Galleria 14€

Pergola: Marco Sciaccaluga dirige “John Gabriel Borkman”

Al Teatro della Pergola di Firenze, da martedì 20 a domenica 25 novembre, Marco Sciaccaluga dirige Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica Di Martino, in John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen

Un’analisi lucida, filosofica e poetica, ma anche concretamente feroce e tragicomica, del destino che fa di ognuno un prevaricatore, un umiliato e offeso, che fa di ogni affermazione vitale anche un gesto di violenza. Una produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Teatro della Toscana. “Mi sono soffermato su un’ambientazione di stampo contemporaneo – afferma Sciaccaluga – con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Inoltre, mi sono concentrato sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo che sia uno spettacolo – continua – basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”

In scena ci sono anche Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran. La versione italiana è di Danilo Macrì, le scene e costumi di Guido Fiorato, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Marco D’Andrea.

Giovedì 22 novembre, ore 18, Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica Di Martino e la Compagnia incontrano il pubblico. Coordina Matteo Brighenti. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Inoltre, sabato 24 novembre, ore 10:30, Gabriele Lavia dialoga con Marco Giorgetti, direttore generale del Teatro della Toscana, su Dignità e Teatro, all’interno del ciclo Sulla scia dei giorni, ideato e promosso alla Pergola da Fondazione CR Firenze, mentre lunedì 26 novembre, ore 21:30, Lavia incarna Amleto in AmletOHamlet. In ambiente elettronico diretto da Giancarlo Cauteruccio al Tenax Theatre.

 

Edvard Munch lo definì “il più potente paesaggio invernale dell’arte Scandinava”. Ma il freddo dell’inverno, nella vicenda scabrosa e claustrofobica di John Gabriel Borkman, scritto da Henrik Ibsen nel 1896, è tutto interiore, dell’anima. Un’opera complessa, austera, inquieta, e di raffinata bellezza, per quei ritratti umani, per i dialoghi che possono essere attuali e al tempo stesso eterni.

Affidato all’interpretazione di tre grandi attori, a partire da Gabriele Lavia come protagonista, con Laura Marinoni e Federica Di Martino, il Borkman diretto da Marco Sciaccaluga al Teatro della Pergola di Firenze da martedì 20 a domenica 25 novembre fa esplodere le ambizioni di un secolo, l’Ottocento, intriso di superomismo e idealismo, di simbolismo e psicopatologia, ma che già svela, in nuce, i grandi traumi del Novecento. E forse di oggi. Una produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Teatro della Toscana.

 

“Non ci troviamo davanti a una tragedia, piuttosto si tratta di un dramma grottesco: John Gabriel Borkman – afferma Marco Sciaccaluga ad Angela Consagra sul foglio di sala dello spettacolo – è un super uomo ridicolo e con certe caratteristiche perfino nietzschiane, si può dire; in realtà, lui è un uomo ossessionato da una mitologia assurda che si identifica con una produzione di tipo venale: la corsa economica, con la convinzione di creare felicità nell’uomo, rinunciando, invece, a ciò che è davvero essenziale nella vita: l’amore.”

 

Borkman è un self-made man: per lui conta la carriera, a tutti i costi. Brillante banchiere incorso in un fallimento finanziario di grandi dimensioni, da genio della finanza si ritrova a essere un fallito. Toccato dal disonore di otto anni di carcere, dissolta la stima degli altri nei suoi confronti, non sembra però disposto a considerarsi un vinto e continua a non avere dubbi sul valore demiurgico di quella che lui considera la sua missione. Si sente un creatore finanziario, quasi un artista della finanza, per la potenza visionaria del suo intendere. Ha rubato, sì, ma non per sé. Lo ricorda lo storico del teatro Roberto Alonge: Borkman ruba “perché si sente il portavoce del progresso, è l’angelo sterminatore del vecchio mondo precapitalistico”. In scena ci sono anche Roberto Alinghieri, Giorgia Salari, Francesco Sferrazza Papa, Roxana Doran.

 

“È un testo contro i totalitarismi dell’anima – riflette Sciaccaluga – tutti i personaggi sono talmente tormentati dalla realizzazione dei propri insensati desideri che vengono portati a negare un principio fondamentale dell’essere: la libertà e quindi l’ascolto degli altri. Certamente il contrasto tra maschile e femminile in questo testo è molto forte; la narrazione, per citare Bergman, è costituita da tante “scena da un matrimonio” dove il conflitto è l’unica forma di comunicazione che possa esistere tra l’uomo e la donna.”

 

Borkman si è chiuso in casa, in attesa della “grande occasione”. Piero Gobetti descrisse il teatro di Ibsen come “l’itinerario dell’eroe in cerca del suo ambiente”: e qui l’ambiente è condiviso da due sorelle, entrambe presenti nella vita dell’uomo. La moglie, Gunhild Borkman (Laura Marinoni), in un matrimonio freddo, aspro e irrisolto; e il primo amore, Ella Rentheim (Federica Di Martino), cui Borkman ha rinunciato per interesse. È uno scontro, è un abisso. Afferma ancora Alonge: “è l’universo della Cultura (che vuol dire repressione) contro la vita dell’istinto, della carne, della felicità”. La versione italiana è di Danilo Macrì, le scene e costumi di Guido Fiorato, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Marco D’Andrea.

 

Conclude Marco Sciaccaluga: “Mi sono soffermato su un’ambientazione di stampo contemporaneo, rinunciando alle atmosfere tipiche del mondo ottocentesco, proprio con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Le scelte musicali sono quasi provocatorie, nel senso che, per esempio, si sente la musica di un artista come Tom Waits e lui sa raccontare bene il lato grottesco dell’animo umano. Inoltre – prosegue – mi sono concentrato sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo sia uno spettacolo basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”

Federica Di Martino, Gabriele Lavia, Laura Marinoni

 

Intervista a Marco SCIACCALUGA

di Angela Consagra

 

Che tipo di eroe è, secondo Lei, John Gabriel Borkman?

“È un eroe ridicolo… Abbiamo lavorato insieme a Gabriele Lavia, Laura Marinoni, Federica De Martino e il resto della compagnia su questo grande capolavoro di Ibsen, accorgendoci di quanto possa essere stupefacente il confronto tra il testo e la nostra contemporaneità. Alla fine non ci troviamo davanti a una tragedia, piuttosto si tratta di un dramma grottesco: Borkman è un super uomo ridicolo e con certe caratteristiche perfino nietzschiane, si può dire; in realtà, lui è un uomo ossessionato da una mitologia assurda che si identifica con una produzione di tipo venale: la corsa economica, con la convinzione di creare felicità nell’uomo, rinunciando, invece, a ciò che è davvero essenziale nella vita: l’amore. Nel testo è presente una battuta lancinante: Borkman dice alla sua ex amante, forse l’unico amore della sua vita, che “se c’è una buona ragione per farlo, una donna può essere sempre sostituita con un’altra…” Ecco perché Borkman può dirsi ‘un eroe ridicolo’ o meglio ‘grottesco’, questa è la definizione più corretta.”

 

Forse l’aspetto più affascinante è che John Gabriel Borkman si identifica come un testo sul potere e le sue implicazioni, ma allo stesso tempo costituisce anche una fonte di riflessione sul rapporto tra femminile e maschile…

“Sì, non c’è dubbio; il testo è caratterizzato da un totale fraintendimento del destino identitario dell’uomo che acquista un senso solo quando è capace di raggiungere il potere e il comando, un’autorevolezza totalitaria dell’essere. E ciò vale anche per le donne: nonostante Ibsen sia stato un autore quasi protofemminista – Ibsen ha scritto dei personaggi femminili straordinari – in quest’opera vige comunque nelle donne un’ossessione legata al potere. Questo discorso, per esempio, si ritrova nella figura della madre in rapporto con il figlio, attraverso il quale lei sogna insensatamente di riscattare le colpe del padre, oppure nel personaggio dell’amante e seconda madre che ha il desiderio altrettanto insensato di possedere Borkman affettivamente. È un testo contro i totalitarismi dell’anima, tutti i personaggi sono talmente tormentati dalla realizzazione dei propri insensati desideri, che vengono portati a negare un principio fondamentale dell’essere: la libertà e quindi l’ascolto degli altri. Certamente il contrasto tra maschile e femminile in questo testo è molto forte; la narrazione, per citare Bergman, è costituita da tante “scena da un matrimonio” dove il conflitto è l’unica forma di comunicazione che possa esistere tra l’uomo e la donna.”

 

John Gabriel Borkman è un classico; in che modo questo testo è capace di ricondurci alla nostra attualità?

“Noi viviamo in una società allarmante in cui abbiamo, soprattutto attraverso l’uso dei social media, l’illusione di parlarci gli uni con gli altri. In realtà, questo nostro mondo rappresenta la mitologia dell’individualismo: non viviamo in una società che comunica, anzi, nella nostra collettività ognuno individualmente, e anche un po’ apocalitticamente, emana i propri editti. In questo senso, un’opera come John Gabriel Borkman costituisce un ritratto assai amaro del mondo attuale.”

 

E dal punto di vista della regia, qual è l’idea che ha perseguito?

“Mi sono soffermato principalmente su un’ambientazione di stampo contemporaneo, rinunciando così alle atmosfere tipiche del mondo ottocentesco, proprio con l’illusione di riuscire a parlare con più veemenza al tempo presente. Le scelte musicali sono quasi provocatorie, nel senso che, per esempio, si sente la musica di un artista come Tom Waits e lui sa raccontare bene il lato grottesco dell’animo umano. Inoltre mi sono concentrato anche sul rapporto tra i vari personaggi, cercando di togliere ogni tipo di pateticismo o di melodramma. Credo sia uno spettacolo basato su un’idea molto antica: l’uomo è crudele all’uomo, ovvero ogni essere umano è nemico di ogni altro essere umano.”

 

Teatro della Pergola: Luca Zingaretti dirige Luisa Ranieri in “The Deep Blue Sea”

Luca Zingaretti dirige Luisa Ranieri in The Deep Blue Sea, capolavoro di Sir Terence Rattigan, uno dei più popolari drammaturghi inglesi del XX secolo. Al Teatro della Pergola da venerdì 9 a domenica 18 novembre

“È una straordinaria storia di passione – afferma Luisa Ranieri – una riflessione su cosa siamo capaci di fare per inseguire il nostro amore. Rattingan disegna ruoli di potenza straordinaria e forza assoluta. In mezzo a loro, il mio personaggio, Hester Collyer Page, incarna l’essenza stessa della capacità di amare, resistere e rinascere delle donne.” The Deep Blue Sea indaga infatuazioni e innamoramenti che sconvolgono mente e cuore; l’amore folle che tutto travolge, a cominciare dal più elementare rispetto di se stessi.

In scena con Maddalena Amorini de iNuovi, Giovanni Anzaldo, Alessia Giuliani, Flavio Furno, Aldo Ottobrino, Luciano Scarpa, Giovanni Serratore. Giovedì 15 novembre, ore 18, Luisa Ranieri e la Compagnia incontrano il pubblico. Coordina Matteo Brighenti. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.

Sir Terence Rattigan nasce a Londra, quartiere South Kensinghton, nel 1911, da una famiglia di estrazione protestante. Suo nonno era Sir William Henry Rattingan; suo padre, Frank, era un diplomatico. Non stupisce, quindi, che i suoi lavori siano ambientati in quella che potremmo chiamare “upper middle class”. Si definiva un “omosessuale inquieto” e un outsider. Nelle sue pièce amava trattare “problemi di frustrazione sessuale, relazioni fallite e adulteri” e rappresentare un mondo di repressioni e reticenze. È morto ad Hamilton, capitale dell’isola di Bermuda, nel 1977.

The Deep Blue Sea, scritto nel 1952, contiene uno dei più grandi ruoli femminili mai scritti nella drammaturgia contemporanea, quello di Hester Collyer Page. Al Teatro della Pergola, da venerdì 9 a domenica 18 novembre, è interpretato da Luisa Ranieri, per la regia di Luca Zingaretti. In scena con Maddalena Amorini de iNuovi (la compagnia di neodiplomati della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ e di altre scuole italiane che hanno in gestione il Teatro Niccolini di Firenze), Giovanni Anzaldo, Alessia Giuliani, Flavio Furno, Aldo Ottobrino, Luciano Scarpa, Giovanni Serratore. Le scene sono di Carmelo Giammello, i costumi di Chiara Ferrantini, le luci di Pietro Sperduti, le musiche di Manù Bandettini. Una produzione Zocotoco Srl, Teatro di Roma, Fondazione Teatro della Toscana. 

“Hester è una donna estremamente complessa, molto complicata – rivela Luisa Ranieri ad Angela Consagra sul foglio di sala dello spettacolo – una figura femminile arsa da amori che la distruggono, la lacerano e la annientano. Una donna che ama in maniera assoluta, senza aver praticamente nulla in cambio, ma sa anche rinascere dalle sue ceneri.”

The Deep Blue Sea è una storia di strade perse e ritrovate, di fatalità e indeterminatezze, ma, soprattutto, una storia sulla casualità della vita. La vicenda si svolge durante l’arco di un’unica giornata. Inizia con la scoperta, da parte dei suoi vicini di appartamento, del fallito tentativo di Hester Collyer Page di togliersi la vita con il gas. La donna ha lasciato il marito, facoltoso e influente giudice dell’Alta Corte, perché innamorata del giovane Freddie Page: un contadino, ex pilota della Raf, ormai dedito all’alcool. La relazione, nata sull’onda della passione e della sensualità, si è però andata raffreddando. Le difficoltà economiche (Freddie è da tempo disoccupato) e le differenze di età e ceto hanno logorato il rapporto, lasciando Hester sfinita e disperata. Lo shock per il suo tentato di suicido e la discussione che ne segue non migliorano le cose. 

“Hester è persa sicuramente nel “profondo mare azzurro” della passione, che rappresenta però – interviene Ranieri – il suo lato oscuro. Accanto a questo amore convive anche il mare profondo della disperazione, l’altra faccia della medaglia. In dodici ore, il tempo in cui si svolge il dramma, la protagonista è sommersa da questo amore e da questa disperazione; lei risale e viene inghiottita, poi risale ancora.

A complicare le cose, arriva la notizia che Freddie ha finalmente trovato lavoro come collaudatore di aerei: dovrà, però, trasferirsi in South Carolina. Alla fine, grazie all’intercessione di Mr Miller (un inquilino del palazzo, ex dottore, radiato dall’albo per ragioni sconosciute), Hester, per continuare a vivere, sarà costretta a prendere una decisione particolarmente difficile. Questi due reietti, emarginati dalla società per il loro eccesivo “amare”, si scopriranno legati da una curiosa e commovente solidarietà.

“C’è tanta solitudine ed egoismo nel mondo maschile di The Deep Blue Sea. I protagonisti maschili – conclude Luisa Ranieri – sembrano volere Hester, ma in realtà ognuno di loro vuole solo una parte di lei, desiderano la sua messa in scena: la compagna all’altezza dello status sociale di un ricco magistrato, la donna materna che ama senza disturbare. Hester è l’unica che brucia di un amore gratuito, di una passione che non ha giustificazioni, né secondi fini. È una donna che si accontenta di una carezza, per dare in cambio tutta se stessa.”

 

Intervista a LUISA RANIERI

di Angela Consagra

Hester Collyer Page, la protagonista femminile di The deep blue sea, che donna è?

“È una donna estremamente complessa, molto complicata; una figura femminile arsa da amori che la distruggono, la lacerano e la annientano. Una donna che ama in maniera assoluta, senza aver praticamente nulla in cambio, ma sa anche rinascere dalle sue ceneri.” 

Dal suo particolare punto di vista, in quale “profondo mare azzurro” è persa la protagonista?

“Sicuramente il mare profondo della passione, che rappresenta però il suo lato oscuro. Accanto a questo amore convive anche il mare profondo della disperazione, l’altra faccia della medaglia. In dodici ore, il tempo in cui si svolge il dramma, la protagonista è sommersa da questo amore e da questa disperazione; lei risale e viene inghiottita, poi risale ancora.” 

In una battuta del film – non so se si ritrova anche nella messinscena teatrale – Hester dice che “l’amore conforta come un raggio di sole dopo la pioggia”; dopo essersi immersa nel mondo dell’autore, Terence Rattigan, che cosa ha capito dell’amore?

“C’è tanta solitudine ed egoismo nel mondo maschile di The Deep Blue Sea. I protagonisti maschili sembrano volere Hester, ma in realtà ognuno di loro vuole solo una parte di lei, desiderano la sua messa in scena: la compagna all’altezza dello status sociale di un ricco magistrato, la donna materna che ama senza disturbare. Hester è l’unica che brucia di un amore gratuito, di una passione che non ha giustificazioni né secondi fini. È una donna che si accontenta di una carezza, per dare in cambio tutta se stessa.”

Teatro della Pergola: Prima Conferenza delle Capitali europee della Cultura

Prima Conferenza delle Capitali europee della Cultura, seguita dalla conferenza internazionale dei Sindaci Unity in Diversity, martedì 6 novembre ore 21.15 al Teatro della Pergola di Firenze

In occasione della Prima Conferenza delle Capitali europee della Cultura, seguita dalla conferenza internazionale dei Sindaci Unity in Diversity, martedì 6 novembre ore 21.15 al Teatro della Pergola di Firenze verrà presentato tra gli eventi speciali “Solo Goldberg Variations”, in scena Virgilio Sieni con Andrea Rebaudengo al pianoforte sulle “Variazioni Goldberg” di J.S. Bach.

Questo Solo è emblematico della ricerca sviluppata da Virgilio Sieni sui linguaggi del corpo e della danza in continua relazione con la pittura italiana dal 1300 al 1600.
La musica di Bach definisce una metrica e un’architettura immateriale in cui la danza fa affiorare memorie figurative mai citate direttamente, ma evocate in un percorso intimo che chiede condivisione.

Queste le parole di Virgilio Sieni sullo spettacolo: “Non vi è percorso nelle Variazioni Goldberg di Bach. Allo stesso tempo uso il termine improvisation per definire questo lavoro non fondato sull’improvvisazione ma sul riconoscimento e il rinnovamento. Certo, improvviso. Mi lascio cogliere da quella che non è mai una sorpresa ma un divenire impercettibile nell’atto dell’esserci. Spoglio il corpo di quelle pratiche che comunque appaiono nel segno della danza e nel canone sacro della musica finalizzata alla costruzione di una città aurea, vero sogno, vera realtà. ‘Sbrandello’ con rigore il corpo, fissandomi con fatica e dolore, così come con leggerezza e voglia di attraversamento (di essere attraversati da qualcos’altro), sul senso di sparizione: muoversi per sparire, far pesare il corpo per lasciare solo orme e tracce. Penso che le Variazioni Goldberg non siano un invito alla danza, ma un atto di riflessione e introspezione dove niente appare se non un corpo ‘spellato’. Ecco che questo lavoro mi appare come un manifesto, qualcosa di più di un vocabolario di percorso, un atto sulle debolezze, le imperfezioni, lo sforzo, le pieghe e le polveri, qualcosa che vuol trapassare il corpo per donarsi alla figura, qualcosa che rende il corpo pagliaccio tragicomico dell’oggi”.

Teatro della Pergola: Roberto Andò dirige “Bella Figura” di Yasmina Reza

Al Teatro della Pergola, da martedì 30 ottobre a domenica 4 novembre, Roberto Andò dirige per la prima volta in Italia Bella Figura di Yasmina Reza, una “tragedia divertente”, secondo la definizione che ne ha dato il regista inglese Matthew Warchus

“Non so se le commedie di Yasmina Reza siano leggere – riflette Roberto Andò – perché in lei rimane sempre qualcosa di difficile da definire: il suo è umorismo nero, tutto si gioca sul lato del cinismo in cui l’essere umano sicuramente parte svantaggiato nei meccanismi della vita e deve quindi muoversi.”

Un disguido tra due amanti in una macchina parcheggiata davanti a un ristorante: Boris confessa ad Andrea che il ristorante in cui intende portarla gli è stato consigliato dalla moglie. Bella Figura esplora la notte che segue a quell’errore fatale l’errore, i legami segreti con una seconda coppia, Eric e Françoise, le reazioni improvvise, i comportamenti irrazionali che si creano senza che ce ne rendiamo conto.

Non si tratta di inventare grandi storie, ma di estrarre dal tempo presente tutto ciò che contiene uno spazio drammatico. “Nelle mie opere – afferma Yasmina Reza – non racconto mai vere e proprie storie, a meno che non si consideri l’incerta e ondeggiante trama della vita, di per se stessa, una storia”.

Come i lavori precedenti della poliedrica Yasmina Reza (attrice, scrittrice, sceneggiatrice e drammaturga), anche in Bella figura, diretto per la prima volta in Italia da Roberto Andò, al Teatro della Pergola da martedì 30 ottobre a domenica 4 novembre, le contraddizioni e le nevrosi dei personaggi, interpretati da Anna Foglietta, Paolo Calabresi, Lucia Mascino, David Sebasti e Simona Marchini, sono spinte all’eccesso, e si ribaltano a volte nel loro contrario, creando effetti capaci di provocare al contempo un disagio sottile e risate clamorose. La traduzione è di Monica Capuani, la scena e le luci sono di Gianni Carluccio, i costumi di Gemma Mascagni. Una produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo.

“Yasmina Reza afferma che il suo lavoro – racconta Roberto Andò ad Angela Consagra sul foglio di sala dello spettacolo – è quello di estrarre una trama dai suoi testi, un racconto che sostanzialmente sia un accostamento fortuito di momenti diversi generatori del sentimento della vita. In questo senso, una delle prerogative di Yasmina Reza si identifica con la creazione di pièce dove ci si trova davanti a situazioni estreme – penso sia a questo spettacolo che all’altro di questa autrice, Le Dieu du Carnage, messo in scena da me precedentemente – e in un luogo in cui si alternano il sarcasmo e il dramma, come anche la commedia per certi versi. Per un momento il percorso ordinato della vita deraglia; questo è un aspetto sempre presente nelle sue opere: c’è un momento in cui tutto salta, anche se ci si trova in un interno borghese come, per esempio, in un salotto o in questo caso un ristorante che diventa un luogo di ricapitolazione dei vari aspetti delle relazioni tra le persone lì radunate.”

Un uomo e una donna sono nel parcheggio di un ristorante fuori città. Lei, Andrea (Anna Foglietta), madre single e impiegata in una farmacia, è ancora in macchina. Il suo amante, Boris (David Sebasti), un piccolo imprenditore di verande, sta cercando di convincerla ad uscire, malgrado il passo falso che ha appena commesso: farsi scappare che quel ristorante gli è stato consigliato da sua moglie. Poco dopo, una seconda coppia entra in scena: Eric (Paolo Calabresi) e Françoise (Lucia Mascino), insieme a Yvonne (Simona Marchini), la madre di Eric. In breve emerge che sono legati alla prima coppia da un segreto imbarazzante. La pièce si svolge quasi interamente all’aperto, mentre il giorno volge al termine.

“Credo che Yasmina Reza – continua Andò – indiscutibilmente abbia la caratteristica di riuscire a stabilire un rapporto con il pubblico che non sia inerte: gli spettatori ridono o sono a disagio, seguendo quindi una vicenda senza noia, e da questo punto di vista è un’autrice, tra le poche di oggi, capace di scrivere dei testi. Inoltre, Yasmina Reza è stata anche attrice e questo si riflette nella sua opera: lei sa scrivere per gli attori, crea dei dialoghi che abbiano un senso in scena per gli attori che li pronunciano.”

Reza padroneggia in modo impareggiabile l’oscillare di tono della sua scrittura, e in particolare la sua cifra più originale, l’humor paradossale, quello che l’ha fatto amare da registi e scrittori come Milan Kundera e Roman Polanski. Bella Figura è stato scritto per il regista Thomas Osthermeier e la compagnia del teatro Schaubühne di Berlino, e ha riscosso, sia in Germania, sia in Francia, dove l’ha messo in scena la stessa Reza per l’interpretazione di Emmanuelle Devos, un grande successo di pubblico e di critica.

“Un punto fondamentale è l’orchestrazione delle voci e dei tempi, delle sospensioni come li chiama lei stessa – conclude Roberto Andò – soprattutto, in Bella figura il testo è scritto come se si trattasse di cinema: lo spettatore assiste a una dualità di luoghi che si intrecciano: all’inizio la vicenda si svolge in un parcheggio, poi ci si sposta su una specie di terrazza dove viene preso un aperitivo, di nuovo l’azione cambia e siamo in un bagno e alla fine si ritorna di nuovo al tavolo di un ristorante, in un’altra scena ancora nel parcheggio… Di solito ciò in teatro non avviene, mentre in questo spettacolo la dualità di ambientazione è diventata per me e lo scenografo Gianni Carluccio una possibilità per costruire delle azioni in contemporanea: si vede l’azione di un personaggio e nello stesso tempo altri personaggi si muovono in un altro luogo, creando una compresenza di avvenimenti.”

Un gioco di tensione, crudele e tenero, con una lucidità che non ammette soluzioni. Il disagio che vivono i personaggi è reale e tangibile. Ognuno di loro ha qualcosa di non risolto come succede nella vita di tutti.

Intervista a ROBERTO ANDÒ

di Angela Consagra

Yasmina Reza – l’autrice di Bella figura – dice che in genere non racconta storie, piuttosto si concentra sul racconto della vita. È questo l’aspetto forse che più l’ha convinta a mettere in scena questo spettacolo?

“Yasmina Reza afferma che il suo lavoro è quello di estrarre una trama dai suoi testi, un racconto che sostanzialmente sia un accostamento fortuito di momenti diversi generatori del sentimento della vita. In questo senso, una delle prerogative di Yasmina Reza si identifica con la creazione di pièce dove ci si trova davanti a situazioni estreme – penso sia a questo spettacolo che all’altro di questa autrice, Le Dieu du Carnage, messo in scena da me precedentemente – e in un luogo in cui si alternano il sarcasmo e il dramma, come anche la commedia per certi versi. Per un momento il percorso ordinato della vita deraglia; questo è un aspetto sempre presente nelle sue opere: c’è un momento in cui tutto salta, anche se ci si trova in un interno borghese come, per esempio, in un salotto o in questo caso un ristorante che diventa un luogo di ricapitolazione dei vari aspetti delle relazioni tra le persone lì radunate.”

È questo allontanarsi dall’ordinario che più l’attrae in questa autrice?

“È molto difficile per me dire perché mi piaccia il lavoro di Yasmina Reza: il suo è un tipo di teatro molto diverso da quello che ho amato e che ho sempre fatto. Io provengo da una generazione che ha contrastato il teatro tradizionale: i miei miti sono stati autori come Kantor o Bob Wilson, poi ad un certo punto mi sono imbattuto nel teatro di parola e ho cominciato ad amarlo. Credo che Yasmina Reza indiscutibilmente abbia la caratteristica di riuscire a stabilire un rapporto con il pubblico che non sia inerte: gli spettatori ridono o sono a disagio, seguendo quindi una vicenda senza noia, e da questo punto di vista è un’autrice, tra le poche di oggi, capace di scrivere dei testi. Inoltre, Yasmina Reza è stata anche attrice e questo si riflette nella sua opera: lei sa scrivere per gli attori, crea dei dialoghi che abbiano un senso in scena per gli attori che li pronunciano.”

Qual è l’idea originaria per la costruzione della sua regia?

“Un punto fondamentale è l’orchestrazione di queste voci e dei tempi, delle sospensioni come li chiama lei stessa; soprattutto, in Bella figura il testo è scritto come se si trattasse di cinema: lo spettatore assiste ad una dualità di luoghi che si intrecciano: all’inizio la vicenda si svolge in un parcheggio, poi ci si sposta su una specie di terrazza dove viene preso un aperitivo, di nuovo l’azione cambia e siamo in un bagno e alla fine si ritorna di nuovo al tavolo di un ristorante, in un’altra scena ancora nel parcheggio… Di solito ciò in teatro non avviene, mentre in questo spettacolo la dualità di ambientazione è diventata per me e lo scenografo una possibilità per costruire delle azioni in contemporanea: si vede l’azione di un personaggio e nello stesso tempo altri personaggi si muovono in un altro luogo, creando una compresenza di avvenimenti.”

È affascinante questa unione tra teatro e cinema: gli attori di questo spettacolo, infatti, sono attori di teatro identificabili anche molto con il mondo cinematografico…

“Sì, gli attori condividono teatro e cinema: fanno film e hanno un’educazione teatrale. Mi pare che ormai sia naturale questa frequentazione con il teatro da parte della gente del cinema ed è un fatto importante, qualcosa che serve agli attori ma anche al pubblico. Non ci possono essere barriere in questo mestiere, anzi, è la creatività che deve necessariamente esprimersi a trecentosessanta gradi.”

Yasmina Reza ha definito Bella figura come “una tragedia divertente”…

“Anche a me piace scoprire il lato comico e grottesco delle situazioni, per mescolarlo all’andamento drammatico dell’esistenza. E questo si ritrova nel mio lavoro, anche in opere completamente diverse tra loro, da film come Viva la libertà al recentissimo Una storia senza nome: il lato comico è sempre presente, anche se a volte si nasconde basta fissare lo sguardo per metterlo in evidenza. L’aspetto divertente delle cose rende più interessante la vita, secondo me, e in un certo senso ha molto a che fare con il sentimento della leggerezza. Detto questo, per quanto riguarda in particolare Yasmina Reza non so se le sue commedie siano leggere, perché in lei rimane sempre qualcosa di difficile da definire: il suo è umorismo nero, tutto si gioca sul lato del cinismo in cui l’essere umano sicuramente parte svantaggiato nei meccanismi della vita e deve quindi muoversi.”

 

Tournée

Empoli (FI) – Teatro Excelsior 5 novembre 2018

Salerno – Teatro Verdi dall’8 all’11 novembre 2018

Ancona – Teatro delle Muse dal 15 al 18 novembre 2018

Teramo – Teatro Comunale 20 e 21 novembre 2018

Pistoia – Teatro Manzoni dal 23 al 25 novembre 2018

Pontedera (PI) – Teatro Era 30 novembre 2018

Orvieto – Teatro Mancinelli 1 e 2 dicembre 2018

Fasano (BR) – Teatro Kennedy 12 dicembre 2018

San Severo (FG) – Teatro Verdi 13 dicembre 2018

Barletta – Teatro Curci dal 14 al 16 dicembre 2018

Roma – Teatro Ambra Jovinelli dal 9 al 27 gennaio 2019

Biglietti

Intero

Platea 34€ – Palco 26€ – Galleria 18€

Ridotto OVER 60

Platea 30€ – Palco 22€ – Galleria 16€

Ridotto UNDER 26

Platea 22€ – Palco 17€ – Galleria 13€

Ridotto Soci Unicoop Firenze

Platea 26€ – Palco 19€ – Galleria 14€

Terza edizione del ciclo ‘Sulla scia dei giorni’ sul tema della Dignità

E’ la Dignità il tema della terza edizione del ciclo di incontri ‘Sulla scia dei giorni’. Il via sabato 27/10 alle 10.30 al Teatro della Pergola con Neri Marcorè

E’ la Dignità il tema della terza edizione del ciclo di incontri ‘Sulla scia dei giorni’ ideato e promosso da Fondazione CR Firenze col Patrocinio del Comune di Firenze e in collaborazione col Teatro della Toscana. Il calendario prevede 12 appuntamenti, fino ad aprile 2019, con personalità che operano in molteplici campi e di diverse competenze. Il primo incontro è sabato 27 ottobre alle ore 10.30 al Teatro della Pergola con l’attore Neri Marcorè (ingresso libero con prenotazione obbligatoria fino a esaurimento dei posti – www.fondazionecrfirenze.it). Il tema del suo intervento è ‘Dignità e spettacolo’ e Marcorè è introdotto dal regista Pier Paolo Pacini.

Gli altri relatori sono: Eliana Leotta (10 novembre), Gabriele Lavia (24/11), Gherardo Colombo (1/12) Michela Murgia (19/1/2019), don Gino Rigoldi (26/1), Alessia Zecchini (9/9), Simona Atzori (23/2), Massimo Mercati (9/3), Serra Yilmaz (23/3), Marco Vichi e Carlo Lucarelli (13/4), Paolo Grossi (27/4). Tutti gli incontri si svolgono alle 10.30 al Teatro della Pergola salvo diversa indicazione.

“Ancora una volta è stato scelto un tema assai impegnativo – dichiara il Presidente della Fondazione CR Firenze Umberto Tombari – che bene si aggiunge a quelli delle precedenti edizioni quali il Limite e la Responsabilità. Siamo spronati nella scelta dal grande favore che il pubblico ha tributato a questi incontri. Un segnale, l’ennesimo, del desiderio che oggi noi tutti abbiamo di confrontarci con argomenti alti. Del resto la dignità è quel rispetto che l’uomo, consapevole di sé e del suo stato, deve a se stesso ed è il primo valore da salvaguardare in quanto chiunque deve essere trattato con rispetto al di là di qualunque condizione sociale, età, etnia, religione, disabilità”.

 

Neri Marcorè, classe 1966, debutta in tv nel 1988 ne “La Corrida”. In seguito compare nei varietà Rai “Stasera mi butto”, condotto da Gigi Sabani, e “Ricomincio da due” con Raffaella Carrà. Negli anni successivi lavora al fianco di Corrado e Sabina Guzzanti nella trasmissione “Pippo Chennedy Show” (1997) e ne “L’Ottavo nano” (2001). Ottiene grandi successi anche al cinema e, nel 2003, arriva la sua prima nomination (miglior attore protagonista) ai David di Donatello per la pellicola “il cuore altrove”. Tra le sue imitazioni più celebri nel programma “Parla con me”, accanto alla Dandini: Luciano Ligabue, Antonio Di Pietro, Zapatero, Clemente Mastella, Jovanotti, Piero Fassino e Alberto Angela. Ha recentemente fatto parte del cast della celebre fiction musicale televisiva “Tutti pazzi per amore”.

 

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