Prato: facevano lavorare gli operai fino a 14 ore al giorno per 2 euro/ora, arrestati

Questa mattina il procuratore di Prato  Giuseppe Nicolosi ha illustrato i risultati di un’indagine condotta dalla Guardia di finanza e della polizia municipale

Due euro l’ora per 14 ore al giorno, fin quando un operaio si ribella, denuncia e  fa scattare inchiesta. Accade a prato dove degli impreditori che facevano lavorare gli operai fino a 14 ore al giorno per una paga oraria di 2 euro sono finiti in manette. Si trartta di  tre cittadini di origine cinese che impiegavano nove lavoratori – cinque africani e quattro cinesi. per loro l’accusa è di  sfruttamento della manodopera.

Questa mattina il procuratore di prato Giuseppe Nicolosi ha illustrato i risultati di un’indagine condotta dalla Guardia di finanza e della polizia municipale.

Ai domiciliari sono finite due donne di 40 e 50 anni e il marito di una di loro, quarantenne. Tutti e tre sono considerati i titolari di fatto della confezione ‘Venus Ark’ di via Toscana nel Macrolotto a Prato, (la stessa strada dove avvenne nel 2013 l’incendio della Teresa Moda in cui morirono tra le fiamme sette operai cinesi che vi alloggiavano pure) amministrata da un prestanome, anche lui cinese, il quale non è stato indagato.

L’inchiesta del sostituto procuratore Lorenzo Gestri ha avuto inizio con una denuncia presentata allo sportello anti-sfruttamento del Comune di Prato da un operaio nigeriano, che era stato assunto dai confezionisti cinesi e che si era ribellato al dover lavorare per loro tutto il giorno per pochi spiccioli. La Finanza e la Municipale hanno indagato sulle condizioni in cui lavoravano i suoi compagni di lavoro, che peraltro – è stato fatto rilevare – non hanno collaborato nella fase delle indagini temendo di essere licenziati. Gli africani sono tutti richiedenti asilo ospitati in due Centri di accoglienza straordinaria (Cas) di Prato e Poggio a Caiano. I responsabili dei Cas non si sarebbero accorti che i richiedenti asilo loro ospiti lavoravano per tutta la giornata rimanendo assenti.

Prato: ci sono due indagati per la morte della giovane operaia

La procura di Prato ha aperto un’inchiesta sulla morte di Luana D’Orazio ed ha iscritto ieri sera due persone nel registro degli indagati.

Le iscrizioni sarebbero legate agli accertamenti tecnici che si stanno anche concentrando sulla valutazione del funzionamento dei dispositivi di sicurezza del macchinario tessile, un orditoio, in cui è rimasta incastrata la giovane operaia il 3 maggio in una ditta di Montemurlo. La procura avrebbe individuato nell’assenza di una grata una possibile causa della tragedia. Omicidio colposo e rimozione dolosa di sistemi anti infortunio le contestazioni

La Procura di Prato è  al lavoro per capire se e cosa non abbia funzionato nel macchinario, compresa la fotocellula di sicurezza. E’ quanto fa sapere il procuratore capo Giuseppe Nicolosi riguardo all’inchiesta sulla morte di Luana D’Orazio, l’operaia di 22 anni, morta lunedì mentre lavorava a una macchina tessile di una ditta a Montemurlo.  “Abbiamo ricevuto i rilievi e nelle prossime ore nomineremo dei periti per gli accertamenti tecnici sui documenti raccolti dalla polizia giudiziaria – ha aggiunto Nicolosi. Sempre nell’ambito dell’inchiesta  alcuni dei colleghi che erano nella ditta sono già stati ascoltati dagli investigatori, mentre la procura ha messo sotto sequestro due orditoi: quello che ha generato l’incidente mortale ed uno identico, poco distante, che sarà utilizzato per compiere dei confronti tecnici. Attesa anche l’autopsia sul corpo per cui è già stato dato mandato.

Intanto per venerdì 7 maggio è stato proclamato uno sciopero generale di 4 ore con presidio dalle 10 alle 12 in Piazza delle carceri a Prato. “Ancora oggi si muore per le stesse ragioni e allo stesso modo di cinquant’anni fa. La morte di due ventenni nel giro di tre mesi deve far riflettere sugli investimenti operati in termini di formazione e di acquisizioni di competenze” dichiarano Cgil, Cisl e Uil nell’annunciare la mobilitazione.

Lavoro: Prato,sfruttano 30 migranti,arrestati 2 imprenditori

Due imprenditori cinesi agli arresti domiciliari e un terzo sottoposto a divieto di dimora a Prato dopo un’indagine durata oltre 10 mesi della polizia

Tre misure cautelari sono state eseguite all’alba dai poliziotti della squadra mobile di Prato nei confronti di altrettante persone accusate del reato di sfruttamento del lavoro ‘in condizioni di bisogno’.

Si tratta di tre cinesi – il datore di lavoro formale e due imprenditori occulti – che avrebbero sfruttato almeno 30 lavoratori, in gran parte bengalesi e pakistani. Lo sfruttamento, secondo le indagini, sarebbe avvenuto all’interno di una ditta di confezioni tessili. I particolari dell’operazione saranno illustrati oggi alle 12 in una conferenza stampa del procuratore Giuseppe Nicolosi.

Due imprenditori cinesi agli arresti domiciliari e un terzo sottoposto a divieto di dimora a Prato dopo un’indagine durata oltre 10 mesi della polizia su una ditta di confezione di abiti dove veniva sfruttata la manodopera. In particolare l’azienda impiegava uomini bengalesi e pachistani, clandestini, circa 30 lavoratori (tra loro pure un afgano ed un cinese) che erano in condizioni di bisogno. “Lavoravano in condizioni disumane – ha spiegato in una conferenza stampa il procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi – E’ una situazione che fa emergere una umanità dolente”. Secondo quanto accertato, nella ditta c’era un prestanome, e due imprenditori che nei fatti dirigevano la ditta: sono questi due gli indagati finiti ai domiciliari in base a un’ordinanza del gip. L’azienda, nella zona di Galciana, è stata posta sotto sequestro. Sigilli anche a 100 macchinari. Gli operai, hanno spiegato gli investigatori, lavoravano sette giorni su sette per 12-14 ore al giorno. Nei pressi dell’azienda alloggiavano in una casa-dormitorio in condizioni fatiscenti. Gli indagati sono accusati di sfruttamento lavorativo e immigrazione clandestina, secondo l’articolo 602 bis, che colpisce i proprietari della ditta in cui si verifica lo sfrutamento. Secondo gli accertamenti gli operai hanno dovuto lavorare anche durante i periodi di lockdown senza interruzioni. Inoltre un sequestro preventivo di 250 mila euro è scattato verso la proprietà cinese per i mancati versamenti degli oneri previdenziali.

Plauso del sindaco di Prato Matteo Biffoni a procura e squadra mobile della città toscana per l’operazione che ha portato all’esecuzione di misure cautelari contro imprenditori cinesi accusati di sfruttare il lavoro di 30 operai pakistani e bengalesi. “Un lavoro di indagine esemplare, che ha pochi uguali in Italia e di cui ringrazio la procura e le forze dell’ordine – afferma Biffoni -, perchè tutela la parte debole contro l’avidità di chi vuole lucrare sullo sfruttamento del lavoro altrui, senza alcun rispetto nè scrupoli per la dignità umana. Il rispetto dei principi democratici passa anche da inchieste come questa, perché il lavoro e i diritti dei lavoratori sono un bene da tutelare a tuti i livelli”

Prato: sfruttavano 44 operai, turni di lavoro non inferiori a 15 ore

Questa mattina i carabinieri di Prato stanno eseguendo cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere e alcune perquisizioni per ‘sfruttamento di manodopera in condizioni di bisogno’.

Le ordinanze emesse dal tribunale e richieste dalla procura che ha indagato, fanno sapere gli investigatori, riguarderebbero cinque imprenditori cinesi che avrebbero sfruttato, nel gestire tutti insieme un laboratorio tessile, 44 operai, 31 di origine cinese e 13 bengalese. Fra di loro, sempre secondo quanto riferito dai carabinieri, ci sarebbero anche una minorenne e una donna in avanzato stato di gravidanza.
I lavoratori sarebbero stati sottoposti a turni di lavoro non inferiori a 15 ore in situazione di sicurezza precarie e condizioni alloggiative, riferiscono i militari, degradanti, senza riposi o ferie e per una retribuzione mensile variabile tra i 400 e i 500 euro.
L’operazione sarà illustrata alle 12 nell’ufficio del procuratore della Repubblica Giuseppe Nicolosi, alla presenza dei due sostituti titolari delle indagini e dei vertici del comando provinciale dei carabinieri di Prato.
(notizia in aggiornamento)

Inchiesta presunti abusi su minori, indagati 9 religiosi

Nove religiosi, tra cui cinque sacerdoti, un tempo appartenenti a un’associazione di fedeli non più esistente, sospettati di abusi sessuali su due minori non ancora quattordicenni.

Presunte violenze sessuali di gruppo, questa l’ipotesi di reato, avvenute a Prato tra il 2008 e il 2012 e finite al centro di due inchieste: una della procura pratese, nata dopo un rapporto dell’ufficio dei servizi sociali del Comune, l’altra del tribunale ecclesiastico, con procedura penale interna, in seguito alla denuncia di una delle due presunte vittime, oggi ventenne. Il giovane insieme al fratello era stato affidato all’ex comunità ‘Discepoli dell’Annunciazione’, soppressa per volere del Vaticano a dicembre scorso e dove, come riferito da lui stesso alla Curia di Prato, avrebbe “subito abusi sessuali e psicologici”. Stessa sorte, in un’occasione almeno, sarebbe toccata al fratello.
“Non nascondo il mio dolore e la mia viva preoccupazione e vorrei sperare che gli addebiti mossi non risultino veri, ma voglio chiaramente dire che il primo interesse della Chiesa di Prato è quello della ricerca della verità. Per questo auspico che la magistratura, nell’interesse di tutti, possa portare quanto prima a termine le indagini”, le parole del vescovo di Prato, mons. Giovanni Nerbini, che a dicembre scorso si era recato in procura a raccontare quanto la Diocesi aveva appreso senza attendere le conclusioni del procedimento avviato secondo le norme del diritto canonico dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei confronti del fondatore dei ‘Discepoli dell’Annunciazione’, don Giglio Giglioli.
Cautela sull’inchiesta è stata espressa dal procuratore capo di Prato, Giuseppe Nicolosi: “Siamo nella fase iniziale delle indagini che si basano solo un dispositivo dichiarativo, non abbiamo certezze e stiamo cercando di approfondire”, ha spiegato. Intanto per i nove indagati sono scattate le perquisizioni eseguite dalla squadra mobile di Prato e accertamenti sono stati condotti anche nelle tre sedi dell’ex associazione: a Prato, ad Aulla (Massa Carrara) e in provincia di Lucca, a Calomini. Fondata dieci anni fa da don Gilioli, sacerdote veronese trasferitosi nella diocesi di Prato, la comunità, ha spiegato la stessa Diocesi, era “particolarmente dedita alla spiritualità mariana” e “aveva raccolto diversi giovani, provenienti da varie parti del mondo, intenzionati a diventare sacerdoti religiosi”. Riconosciuta, dal punto di vista del diritto canonico, come ‘associazione pubblica di fedeli’ nel 2010, aveva però mostrato “diverse criticità”.
Già nel 2013 la Curia pratese aveva disposto una verifica ufficiale a cui ne era seguita un’altra nel 2018, voluta direttamente dalla Santa Sede. Fino ad arrivare a dicembre scorso il Vaticano ne ha decretato la fine per “gravi mancanze riguardanti il carisma e lo svolgimento della vita religiosa all’interno della comunità, oltre che dal venir meno degli aderenti”.

‘Frode Carosello’: 200mln di euro di fatture inesistenti, 17 arresti

La GdF di Prato ha scoperto un presunto sodalizio illecito operante a Prato, Livorno, Pistoia ed in altre località, dedito da circa sei anni a reiterate ‘frodi carosello’ nel settore del commercio di materie plastiche. Il volume d’affari ricostruito si aggira oltre a 200 milioni di euro, ma la cifra potrebbe ancora salire. I presunti responsabili sono 17 per i quali sono state disposte le misure cautelari. 40mln di Iva evasa e 20mln di omessi tributi.

L’operazione che ha portato alla scoperta della ‘frode carosello’, coordinata dal pm Laura Canovai, è stata denominata ‘Gagaro’, titolo mutuato dall’appellativo ‘gagari’ (dal francese gagà), con cui i principali indagati si sarebbero chiamati fra loro: avrebbero tra l’altro condotto un elevato tenore di vita, ostentando l’immagine di imprenditori rampanti. Le indagini oggi hanno portato all’esecuzione di 17 misure di custodia cautelare, una in carcere, il resto ai domiciliari tra Prato (7), Livorno (3), Pistoia (3), Milano (2) e Alessandria (1).  Le 57 perquisizioni sono state eseguite 160 finanzieri che stanno provvedendo anche al sequestro preventivo di beni, per equivalente, per oltre 26 milioni di euro. In totale sono 39 gli indagati.
Dalle ricostruzioni della Guardia di Finanza circa 40 sono i milioni di Iva evasa e omessi tributi di imposta per 20 milioni di euro. Il volume d’affari fittizi ricostruito ammonta a circa 200 milioni di euro, ma la cifra è destinata a salire ulteriormente. Questo è quanto spiegato dal procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi e dal colonnello Massimo Ricciardello, comandante della guardia di finanza pratese, nella conferenza stampa. L’ipotesi di reato contestata è quella di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, quali la dichiarazione fraudolenta, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’omesso versamento di Iva e l’indebita compensazione.
L’illecito era stato ideato e coordinato da un 43enne, originario di Prato dove è domiciliato anche se residente in Slovenia. L’uomo è l’unico finito in carcere oggi. Gli altri 16 finiti ai domiciliari invece sarebbero suoi collaboratori nella gestione delle aziende fornitrici straniere nonché delle ‘società cartiere’ e di quelle ‘filtro’, altri quali amministratori o gestori di fatto delle ‘rivenditrici’. Tra gli altri indagati alcuni consulenti fiscali ed amministrativi.
Le operazioni della GdF sono partite da una verifica fiscale a una società di Prato operante nel settore del commercio di polimeri in granuli ricavati dal petrolio. I finanzieri avevano notato che, pur non avendo disponibilità di lavoratori dipendenti, depositi, magazzini ed attrezzature, nel primo anno di attività aveva realizzato un volume d’affari pari a quasi 20 milioni di euro, omettendo di versare 4,3 milioni di Iva.
Altri accertamenti erano stati avviati anche dalla Gdf di Livorno su una società di capitali di medie dimensioni con sede a Livorno, dallo straordinario start up, capace di vendere oltre 25 milioni di euro di materie plastiche in meno di tre anni. Le indagini sono state poi incrociate permettendo di accertare che le imprese risultate coinvolte sono 24, di cui 6 ‘fornitrici’ con sede all’estero, 12 ‘cartiere’, 3 ‘filtro’ e 3 ‘rivenditrici’.
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