A Sollicciano i detenuti realizzano presepe artistico

Un presepe artistico è stato realizzato dai detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano. L’opera, che sarà esposta all’interno del ‘Giardino degli incontri’ del penitenziario, sarà inaugurata il prossimo 23 dicembre, alle ore 11, dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, in occasione della messa natalizia.

La realizzazione del presepe ha visto coinvolti, per oltre un anno e mezzo, detenuti di diverse culture, estrazioni e religioni. E così, precisa una nota, da un incontro nato quasi per scommessa nell’estate del 2017 tra la direzione del carcere fiorentino ed i soci di Firenze dell’Associazione italiana amici del presepio, Massimo Pucci e Giuseppe Mazza, si è deciso di dare vita al progetto della costruzione di un presepio all’interno del ‘Giardino degli incontri’ del carcere.
Sotto la guida costante di Pucci e Mazza, i detenuti si sono cimentati per la prima volta con fogli di polistirene, colori acrilici e colla a caldo ed hanno appreso, e nello stesso tempo messo in pratica, le principali tecniche costruttive.
L’ambientazione è quella di uno scenario popolare del ‘400 nel quale i particolari architettonici delle facciate dei vari edifici sono completati dalla cura degli interni delle abitazioni, ove nulla è lasciato al caso. A fare da sfondo all’ambientazione, un cielo azzurro ed una catena montuosa dalla quale le fasi del giorno e della notte si alternano per dare dinamicità all’allestimento. Non manca, ovviamente, la vegetazione ed una fontana centrale, con acqua vera.
Il presepio del carcere di Sollicciano resterà esposto, in maniera permanente, perché il suo messaggio sia sempre vivo, in ogni momento dell’anno.

Giornata della Fraternità, il cardinale Ayuso Guixot: “Non c’è alternativa al dialogo tra religioni”

La Giornata della Fraternità, promossa dall’Opera di Santa Croce con la Comunità dei Frati francescani minori conventuali, si è aperta con una stretta di mano. L’evento si è svolto a 800 anni dall’incontro tra San Francesco e il sultano. Il principe El Hassan bin Talal di Giordania, chair del Royal Institute for Inter-Faith Studies di Amman, e il cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso, protagonisti del confronto di questa mattina. Firenze si conferma città del dialogo, un punto di riferimento dell’incontro tra religioni e culture.

Lo speciale di Raffaele Palumbo.

“È un documento storico, c’è una nuova prospettiva di pace per i cristiani, per i musulmani, per i credenti di altre religioni e per tutte le persone di buona volontà. È la famiglia umana ad essere interpellata e coinvolta. C’è una lunga storia alle spalle di questo Documento fatta anche di dispute, alle volte violente, di pregiudizi e di contrapposizione. Sappiamo bene che la strada del dialogo interreligioso è stata spesso in salita e piena di ostacoli, ma stavolta si è voluto andare oltre. C’è un’urgenza dettata dall’attuale situazione mondiale che ha fatto mettere da parte pregiudizi, indugi e difficoltà”, ha detto il cardinale Ayuso Guixot.

“La pace è possibile soltanto attraverso il sacrificio del sé. C’è un Dio onnipresente non confinato in un unico Credo. Grazie all’incontro storico tra il sultano e Francesco oggi possiamo celebrare e coltivare la pace, ma dobbiamo continuare a lavorare insieme per il dialogo. E non dobbiamo privarci di nessuno strumento per promuoverlo, anche i Social, se ben utilizzati, possono dare un contributo”, ha detto invece il Principe di Giordania. “Siamo di fronte a un crocevia, o andiamo verso l’odio e la distruzione oppure verso il rispetto e la condivisione. L’Europa e i singoli paesi hanno un ruolo decisivo”,ha continuato.

“Devono essere le città, a partire da Firenze, il cuore di un nuovo e concreto modo di vivere, dove l’alterità è ricchezza”, ha affermato il sindaco di Firenze Dario Nardella nel suo saluto di apertura della giornata.

La presidente dell’Opera di Santa Croce Irene Sanesi, ha invece detto: “Con la Giornata della Fraternità Santa Croce si conferma luogo privilegiato del dialogo, cooperatrice di un rinnovato progetto di relazione tra i popoli e le fedi religiose. È il nostro tempo che ci chiede di costruire nuovi ponti, culturali e spirituali”.

Ha partecipato al confronto, moderato dal vice presidente dell’Opera Alessandro Andreini, anche il prefetto di Firenze Laura Lega, padre Paolo Bocci, rettore della Basilica di Santa Croce, l’Imam di Firenze Izzedin Elzir, il prefetto Michele Di Bari, Capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno, e Alessandro Martini, assessore ai Rapporti con le confessioni religiose del Comune di Firenze.

Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, e padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi, hanno sottolineato la contemporaneità della spiritualità di Francesco d’Assisi. Firenze città del dialogo è stata inoltre il tema dell’intervento di Giulio Conticelli, dell’Università degli Studi di Firenze e consigliere dell’Opera, che si è soffermato sulla profetica e concreta azione di Giorgio La Pira per il dialogo tra le religioni e tra i popoli del Mediterraneo a partire dalla fine degli anni ‘50.

Santa Croce, luogo chiave della spiritualità francescana, è simbolica perchè conserva la memoria dell’incontro epocale tra Francesco e il sultano in tre opere: il dipinto di Coppo di Marcovaldo nella Pala Bardi, l’affresco di Giotto per la Cappella Bardi, e il rilievo di marmo scolpito da Benedetto da Maiano sul pulpito della navata centrale.

Betori: Monito Vangelo e Costituzione è ‘prima i poveri’

Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nell’omelia per la messa in Duomo dedicata a San Giovanni Battista, patrono della città. Il Cardinale di Firenze ha parlato di ‘pericolo di corrosione dell’umano”

“Abbiamo bisogno di fiducia nell’altro, che non è un temibile concorrente da schivare o un nemico da abbattere o un intruso da cacciare, ma il fratello di una convivenza in cui ciascuno cresce grazie al riconoscimento nell’altro e dell’altro e ci si edifica nella rete delle relazioni che formano il tessuto di una comunità e di una società, tanto più ricca quanto più ampia, includente, armonicamente varia”.
Betori ha criticato “la diffusione di processi che intaccano il concetto fondamentale di uguaglianza degli esseri umani, con l’introduzione di formule di priorità che negano la pari dignità di ogni persona e, per quanto ci riguarda, vanno a confliggere con il fatto che se c’è una priorità ammessa dal Vangelo, e lo stesso ritengo che si possa di dire della nostra Costituzione, è quella che va riconosciuta ai poveri”. Per Betori, “abbiamo bisogno di fiducia in Dio, che la cultura odierna troppo spesso identifica con un limite imposto all’uomo e quindi come una presenza da emarginare e negare, perché non si riconosce che solo il legame con la trascendenza libera l’uomo dai suoi limiti, lo innalza oltre la schiavitù dei bisogni materiali e di quelli indotti dal sistema dei consumi, per aprirlo agli orizzonti gratificanti della verità, della bontà e della bellezza”.

“Occorre purificare il pensare comune, a cominciare dal superamento del politicamente corretto, per ricostruire un giudizio critico, oltre i luoghi comuni, e la progettualità, oltre il ‘si è fatto sempre così’. La corrosione dell’umano ha raggiunto livelli preoccupanti”  ha aggiunto  Betori, nell’omelia.
“Ci troviamo in scenari in cui da una parte la specificità della persona umana non si distingue più dal mondo animale e dalla natura in genere – ha aggiunto Betori -, mentre dall’altra ci si prospetta il trapasso verso un post-umano o un trans-umano che, in forza di un biologismo esasperato e del potere del pensiero artificiale, uccidono la coscienza, dissolvono il legame tra materia e spirito, azzerano le ragioni della solidarietà”. “Abbiamo bisogno di ribadire con forza le ragioni della persona e dei suoi legami sociali – ha concluso -, ritornando alle radici più autentiche del nostro umanesimo”.

“Di fronte a noi c’è il compito urgente di ricostruzione del soggetto umano nelle sue dimensioni costitutive” rispetto alla “destrutturazione in atto nella nostra cultura della natura propria della generatività, senza cui non c’è storia per l’umanità. È quanto sta accadendo con i tentativi di legalizzare la cosiddetta ‘gestazione per altri’, come viene definita nella neo-lingua di stampo orwelliano la mostruosa pratica dell’utero in affitto, ultima, per ora, forma di mercificazione del tutto, che giunge a toccare il corpo della donna e il mistero della nascita” ha proseguito  Betori.

Per Betori, “riconoscere la nascita come una benedizione è incomprensibile per una società dalle culle vuote, che in questa disaffezione alla vita esprime la sua mancanza di speranza e di futuro. Se vogliamo dare una svolta alla crisi sociale in cui siamo precipitati, tutto dovrebbe ripartire proprio da questo sguardo positivo sulla vita, vincendo la paura che ci tarpa le ali”. “Abbiamo bisogno di fiducia nel futuro – ha detto ancora Betori -, riscoprendo la vicenda umana come un progetto spalancato sul domani, da costruire nella fatica ma anche nella gioia di sentircene protagonisti”.

Zeffirelli: il giorno dei funerali e del lutto cittadino

Oggi a Firenze è il giorno del lutto cittadino, proclamato dal sindaco Dario Nardella, in concomitanza con i funerali di Franco Zeffirelli, celebrati nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Un lungo applauso all’arrivo; un altro quasi interminabile all’uscita dalla chiesa quando il carro funebre si e’ fatto largo tra la folla. Firenze ha voluto tributare il suo personale omaggio al maestro Franco Zeffirelli nel giorno dei suoi funerali. La città, in cui il sindaco per oggi ha proclamato il lutto,  si e’ stretta attorno al feretro del regista nel corteo funebre che dalla camera ardente allestita a Palazzo Vecchio ha raggiunto la basilica di Santa Maria del Fiore. Nella sua omelia il cardinale di Firenze Giuseppe Betori ha voluto tracciare gli elementi che hanno caratterizzato la vita del regista.

Franco Zeffirelli riposerà tra i ‘grandi fiorentini’, nella tomba di famiglia nel cimitero delle Porte Sante, accanto alla millenaria abbazia di San Miniato: secondo quanto reso noto dal figlio adottivo Pippo, il corpo del regista sarà cremato e le sue ceneri saranno tumulate domani mattina in una cerimonia privata.

Il ricordo del maestro, prima della conclusione della celebrazione, e’ stato affidato al suo amico Gianni Letta. Tra le autorita’ il sindaco fiorentino Dario Nardella e il ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli.

L’amministrazione comunale ha inoltre deciso di sospendere le attività istituzionali previste per la giornata di oggi. La camera ardente allestita nel Salone ha visto un flusso continuo di visitatori, stimati in oltre 8mila.

Il sindaco della città di Firenze, Dario Nardella ha espresso così il suo cordoglio: “Oggi è una giornata triste come quella di ieri, Firenze sta restituendo al Maestro tutto ciò che lui ha dato alla città.” “Penso soprattutto alla Fondazione – ha aggiunto – e al centro internazionale per le arti dello spettacolo”. Il sindaco, prima di entrare nel Duomo per i funerali di Franco Zeffirelli ha aggiunto: “sono attese tante personalità perché Zeffirelli ha portato Firenze nel mondo e il mondo a Firenze.”

Prendendo la parola nella cattedrale di Santa Maria del Fiore durante le esequie, Dario Nardella ha detto: “Franco Zeffirelli non era solo un mirabile regista, un grande intellettuale, un artista di rara bravura, era un geniaccio fiorentino con tutti i pregi e i difetti dei fiorentini: era ribelle, polemico, libero, appassionato, geniale”.
“Il maestro Zeffirelli – ha proseguito Nardella – ci lascia uno dei progetti a cui ha lavorato di più negli ultimi anni, il centro internazionale delle arti e dello spettacolo che ha sede con la sua fondazione qui a Firenze. Siamo onorati, orgogliosi di ricevere questo testimone. Mi auguro che lo Stato italiano e le grandi istituzioni culturali ci possano aiutare per farle crescere, per far crescere quella scuola a cui il maestro guardava, un centro internazionale rivolto soprattutto ai giovani, lui che ha vissuto una gioventù difficile”.

Il sindaco ha poi ricordato che il regista fiorentino “amava questa città come una madre, una figlia, una sorella, e litigava anche con questa città come a volte litighiamo con le nostre sorelle, figlie e madri senza mai recidere un legame profondo e straordinario”. Nel finale del suo intervento, Nardella ha detto che “oggi preghiamo perché possa vivere nell’abbraccio e nella luce eterna del nostro Dio e ci impegniamo solennemente affinché qui sulla terra ciascuno di noi possa far vivere ciò che lui ha dato noi e che noi dobbiamo restituirgli”.

“Oggi è stato emozionante – afferma Pippo Zeffirelli, figlio dell’artista – meglio di così non si poteva fare, è stato un saluto unico, eccezionale a un artista meraviglioso, a un uomo che ha diffuso l’arte a livello internazionale, in giro per il mondo, rappresentando sempre Firenze perché era fiero di essere fiorentino”. Uscendo con il fratello Luciano, Pippo ha detto: “Siamo molto emozionati e contenti di quello che è successo oggi a Firenze, un abbraccio straordinario di tutte le autorità, della città, una grande emozione. Purtroppo adesso gli abbiamo dovuto dire ‘ciao Franco, ciao maestro'”.

Pasqua: Betori ‘tuona’ contro interessi ‘etnici o nazionali’

Nella sua omelia il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo edi Firenze, si caglia contro l’egoismo. he ci domina quando mettiamo a tacere le voci dei tanti che soffrono per le guerre, per condizioni di vita inumane, per privazione di diritti e di libertà

DI SEGUITO IL TESTO DELL’OMELIA PRONUNCIATA DAL CARDINALE GIUSPEPPE BETORI

Lasciate che oggi introduca una più profonda comprensione della Pasqua del Signore con le parole di una poesia. Se lo merita, perché quest’anno compie duecento anni. Ci è utile, perché, dopo la parola di Dio, sono i poeti che riescono a dire al meglio gli interrogativi e la ricerca del senso della vita, come l’allora ventenne Giacomo Leopardi. Ascoltiamo:

L’Infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Non mi avventuro di certo nell’interpretazione del testo. Non è nelle mie competenze e poi sto qui a fare un’omelia. A me basta ascoltare il poeta per suscitare qualche interrogativo nel nostro intimo, a partire da una constatazione, se si vuole banale, ma che colpisce ogni lettore senza pregiudizi ideologici. Ciò che è in gioco in questi versi è la tensione che si crea tra il nostro limite, che quella siepe misura, e l’attesa, perfino l’impaurirsi, il timore di ciò che è oltre, di ciò che non ha misura, l’infinito, precisamente. Perché è nel far vivere questa tensione, senza perdere i poli da cui essa si crea, che sta il senso di una vita piena, di un mare in cui, secondo la poesia, è dolce naufragare.

Dentro ciò che è circoscritto e misurato ci sono i nostri giorni – le stagioni del poeta –, giorni pieni di fatti, di cose, di persone, di relazioni, esperienze che, se vissute a prescindere dall’altro polo, quello dell’infinito, si finisce per considerarle solo in termini di possibilità, di efficienza, di utilità, di profitto. Si spiegano così la poca considerazione per la vita nella sua fragilità, in specie al suo inizio e al suo termine naturale; la preoccupazione per la salvaguardia di sé, persona, gruppo di interesse, perfino etnia e nazionalità, quasi che la dignità che è di ogni persona umana non basti a giustificare il prendersene cura, in ogni caso, senza distinzioni; la disattenzione con cui ci poniamo nei riguardi dell’ambiente, quasi che esso possa esistere a prescindere da noi, senza una responsabilità verso il futuro e, nel presente, verso i più deboli; l’egoismo che ci domina quando mettiamo a tacere le voci dei tanti che soffrono per le guerre, per condizioni di vita inumane, per privazione di diritti e di libertà; la solitudine che amareggia l’età avanzata e la malattia di uomini e donne che hanno dato tanto nella loro vita e non hanno più nessuno a cui appoggiarsi; aggiungerei anche la sempre più netta linea di demarcazione che poniamo tra i nostri interessi e quelli della comunità, il venir meno dell’impegno per il bene comune. Potemmo continuare, ma ritengo che questi esempi siano sufficienti a descrivere il mondo che limita lo sguardo al di qua della siepe, quando vien meno la forza di pensare oltre, verso l’ultimo orizzonte, gli interminati spazi, i sovrumani silenzi e la profondissima quiete.

Di questo sguardo che vada oltre abbiamo bisogno per non affogare nel quotidiano e per dare slancio e profondità alla nostra vita. E non ci mancano sollecitazioni a questo, perché al di qua della siepe non mancano i segni dell’infinito e dell’eterno, come lo stesso poeta segnala, cogliendo nel vento che stormisce tra le piante dell’ermo colle qualcosa che permette di legare tra loro la voce di quaggiù e il silenzio infinito. L’amico poeta Davide Rondoni ci invita a cogliere in quest’immagine un riflesso di una nota pagina biblica: il manifestarsi di Dio al profeta Elia sull’Oreb nel «sibilus aurae tenuis» – come leggeva Leopardi nella Bibbia, testo per lui di ripetuti e attenti studi nella sua biblioteca –, «il sussurro di una brezza leggera», leggiamo oggi, o, meglio, ancor più alla lettera: «una voce di esile silenzio» (1Re 19,12). L’oltre, il divino c’è, ed è ciò che solo può dare senso alla vita, proiettandola oltre se stessa.

Che quanto si attende possa divenire realtà è l’annuncio della Pasqua. Sì, finalmente sono giunto a parlare della Pasqua, ma il lungo cammino, che ho voluto fare con una poesia di duecento anni fa, era per dirvi che quando proclamiamo che Cristo è risorto non diciamo qualcosa che ci porta fuori dalla vita, ma stiamo annunciando qualcosa che ci deve premere assolutamente, perché in quell’evento accaduto duemila anni fa si è composta per sempre la tensione del cuore dell’uomo tra il limite e l’infinito, il tempo e l’eterno, la carne e lo spirito, l’uomo e Dio, la tensione di cui quella poesia è testimone e denuncia. Perché Pasqua è proprio questo: non solo il chinarsi di Dio sulle miserie dell’uomo – questo lo contempliamo già a Natale! –, ma l’assumere la carne dell’uomo, quella ferita, martoriata, crocifissa, e portarla nel cuore eterno di Dio. Quel che in Giacomo Leopardi, e nel cuore dell’uomo, è una tensione, diventa realtà compiuta nel corpo risorto di Cristo e, per chi si unisce a lui, diventa promessa di un compimento che si manifesterà alla sua venuta, ma che intanto già fiorisce nei segni di amore di cui siamo resi capaci. È quanto l’apostolo Paolo ci ha rammentato nel testo della lettera ai cristiani di Colossi.

Per nutrire questo legame dobbiamo saper cogliere i segni che il Signore ci offre nel cammino della vita, esili impronte di lui, l’Infinito: i gesti di amore che pur non mancano attorno a noi, i sentimenti di speranza che animano la vita di tanti e aiutano ad andare avanti pur tra sofferenze e difficoltà, la fede salda della nostra gente che non si lascia travolgere dal pensiero unico che tende tutto a materializzare. Questa gente, magari di una fede semplice e che fatica a dirsi, non si lascia turbare da venti forti, fuochi divoranti e terremoti devastanti, per usare le immagini della storia di Elia, cioè le tante manifestazioni di forza con cui i poteri di questo mondo vorrebbero farci credere che, in cambio di una presunta illusoria felicità, possiamo cedere loro la chiave del nostro cuore. Non è così Dio, perché egli si fa spazio nella nostra vita in quella tensione tra limite e infinito che ogni giorno ci interroga, e, attraverso la fragilità dei segni, si mostra e si propone, discretamente, nel pieno rispetto di una coscienza libera.

Di segni da cogliere è intessuto anche il cammino della fede nel Risorto. Lo vediamo nella pagina evangelica che è stata proclamata e che riferisce del primo incontro dei discepoli con il mistero della risurrezione del Signore: Maria di Magdala ne esce sconvolta e senza comprendere; Pietro non si sottrae a quanto la donna annuncia, ma giunto al sepolcro vede senza però riconoscere; solo il cuore dell’altro discepolo, colmo dell’amore di Gesù, dal segno dei teli di lino, posti là dove avevano fasciato il corpo di Gesù ma ora senza più quel corpo, e dal segno del sudario, misteriosamente avvolto a parte, giunge alla fede nella risurrezione di Cristo, una fede che la Scrittura confermerà e illuminerà.

Abbiamo bisogno di un cuore colmo d’amore per vedere le tracce del Risorto attorno a noi. Non lasciamoci confondere dai rumori di questo mondo, dalla voci allettanti che vorrebbero soffocare l’attesa del cuore, e prestiamo attenzione al vento leggero, alla voce di esile silenzio con cui Dio si manifesta e ci si rivela come l’infinito che finora ci ha interrogato:

«La risurrezione come un movimento

già iniziato nelle cose»

(Davide Rondoni, “Verso Sansepolcro”, in Avrebbe amato chiunque, Guanda 2003).

Caritas diocesana, Riccardo Bonechi è nuovo direttore

L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori ha nominato nuovo direttore della Caritas diocesana Riccardo Bonechi, dopo le dimissioni di Alessandro Martini.

Bonechi, 66 anni, sposato, due figli, è già vicepresidente della Fondazione Solidarietà Caritas Onlus che ha in carico la gestione operativa dei servizi (mense, centri di ascolto, case d’accoglienza ecc), ed è presidente della Cooperativa editrice del settimanale Toscana Oggi.
Sotto la guida di Bonechi, si legge in una nota, la Caritas proseguirà con l’attività pastorale nelle parrocchie, nelle famiglie, nelle scuole per accrescere una spiritualità di comunione ecclesiale della carità e del servizio ai poveri.
“Ringrazio Riccardo Bonechi per aver accettato questo incarico che ha una grande valenza pastorale – dice il cardinale Giuseppe Betori -. La Caritas è l’espressione di una chiesa che attraverso la carità testimonia il Vangelo. La Caritas è uno strumento significativo per far conoscere a tutta la comunità situazioni di sofferenza e di bisogno perchè ognuno si senta coinvolto e stimolato ad un impegno generoso. Ed è sempre più importante svolgere un’azione formativa e informativa nelle nostre parrocchie, fra i ragazzi per mettere al centro l’uomo, educare al rispetto della dignità delle persone, confrontarsi con le problematiche della marginalità sociale e dell’immigrazione.
Sul tema educativo la Caritas da tempo è poi anche impegnata nel proporre la visione cristiana della salvaguardia del creato, di cui l’uomo è chiamato ad essere custode: da qui le iniziative per il rispetto dell’ambiente, contro lo spreco alimentare, o per promuovere uno stile di vita sostenibile”.
“Assumo con responsabilità l’impegno che mi è stato chiesto a servizio della Chiesa fiorentina – commenta Riccardo Bonechi -. Ringrazio l’arcivescovo per la fiducia accordatami e sono lieto di portare il mio contributo per continuare a promuovere nella nostra comunità la cultura della solidarietà e dell’attenzione al prossimo, soprattutto quello più fragile e in difficoltà”.
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