Indian Nation 2023, un viaggio nella terra dei Navajo: “Epilogo”

Tutto quello che hai visto, ricordalo, perché tutto quel che dimentichi ritorna a volare nel vento (canto Navajo).

Ritorno alla vita quotidiana, piena di nostalgia del bellissimo viaggio appena concluso. Di fronte agli immensi spazi americani, tutto mi sembra piccolo. Mi mancano i cirri bianchi nei cieli a perdita d’occhio sui deserti dell’Arizona, le scure conifere giganti delle Montagne Rocciose, il serpeggiare del Colorado in fondo a canyons profondissimi, con gli insediamenti pueblos nascosti nelle anse delle pareti inaccessibili.  Ma mi sono rimaste nel cuore soprattutto le persone. Le popolazioni native, così resilienti, fiere e gentili, dopo aver subito l’espropriazione delle loro terre, dei loro averi e della loro cultura. Siamo entrati nelle loro terre, una volta definite “riserve”, oggi parchi naturali di incomparabile bellezza, che gestiscono e di cui proteggono l’integrità. Quella natura immensa e grandiosa è sempre stata la loro casa, in una simbiosi equilibrata fra uomo e territorio. Ho provato amarezza nel museo di Window Rock, la capitale della Navajo Country, all’ombra della iconica montagna forata, nel vedere quanto spazio viene dedicato dalla comunità Navajo alla narrazione della Long Walk, la marcia della morte, nella quale il Popolo della Terra è stato costretto a trascinarsi per più di 700 chilometri da quel Kit Carson, il cinico colonnello principale responsabile della devastazione dello splendido Canyon de Chelly e della capitolazione del Popolo della terra per fame e sete.

Un ricordo che ancora oggi è vivo fra la popolazione ed è rappresentato nel museo in modo interattivo, con centinaia di bigliettini che gli eredi di quelle famiglie, nipoti o bisnipoti, attaccano alle pareti col il nome dei propri nonni o bisnonni che erano stati protagonisti di quella immane tragedia. E mi ha colpito l’intera sala dedicata al Trattato del 1868, esposto in originale, foglio dopo foglio e letto parola per parola, a ciclo continuo, da una voce narrante in lingua navajo, perché quel momento non venga mai dimenticato. Perché con quel Trattato finì la persecuzione nei loro confronti ed i Navajos poterono finalmente ritornare nelle loro terre. E le sale riservate alle foto dei veterani navajo della Seconda guerra mondiale ed alle attrezzature walkie-talkie con le quali i nativi-soldati trasmettevano le comunicazioni belliche, nel loro linguaggio criptico, incomprensibile per il nemico. Si sente l’orgoglio identitario, di appartenenza ad una stirpe antica e nello stesso tempo l’orgoglio per aver dato un importante contributo al Grande Paese, dal quale pure avevano ricevuto tanto male in passato.

E che suggestione ispirano le riproduzioni artistiche dei miti fondativi, la Prima Donna ed il Primo Uomo, che erano convinti di poter vivere separati sulle rive opposte di un grande fiume, fino a che si resero conto di soffrire e di non poter vivere gli uni senza le altre, di dover trovare insieme un equilibrio. Non dimentichiamoci che le donne navajo erano le padrone delle pecore e gli uomini dei cavalli. E la società era matrilineare e dopo il matrimonio erano i giovani Navajo a trasferirsi a casa delle suocere…  Il mio mito preferito rimane la Donna Ragno, che abita in cima alla Spider Rock ed insegna ai popoli l’arte della tessitura, la quale rappresenta la Madre Natura, protettrice degli umani, “vecchia come il tempo, giovane come l’eternità”, benevola ma anche severa con i bambini cattivi, che cattura con la sua rete e divora, in cima alle sue torri di roccia. E che secondo l’antropologa femminista Clarissa Pinkola Estès rappresenta l’archetipo della Donna Selvaggia, colei che, fra le figure di donne “che corrono con i lupi” delle varie culture tribali di tutto il mondo, tesse il fato degli esseri umani e degli animali, delle piante e delle pietre. Che tiene insieme natura ed umanità, la parte razionale e l’”io selvaggio” che alberga nascosto dentro di noi. E la sua rete è rappresentata in modo simbolico dagli “acchiappasogni”, come quello che si è “fatto trovare” da me in terra, perduto da chissà chi, nella plaza di Albuquerque, come un segno del destino.

E mi sono rimasti nel cuore le giovani Navajos, sorridenti e gentili, che lavorano nella gestione dei parchi, nell’accoglienza, negli spacci dove si vendono i preziosi oggetti di artigianato, gioielli di argento e di turchese e tappeti morbidissimi. E la giovane e bellissima ranger, che generosamente ci ha aiutato a risolvere un bel guaio in cui uno dei nostri compagni di viaggio era incorso… Abbiamo avuto meno occasione di conoscere meglio i Nativi di altre etnie, come le enigmatiche popolazioni Pueblo, per una serie di sfortunati contrattempi, che non ci hanno consentito di visitare da vicino il pueblo di Mesa Verde, per un problema di prenotazione né quello ancora abitato a Taos, a causa di una festa rituale. Questa antica popolazione in passato affidava la propria sopravvivenza mimetizzando le loro città color dell’argilla nelle pieghe delle pareti dei canyon, rendendole fisicamente inaccessibili ai nemici, ma non ai loro fucili, come testimonia l’insediamento nel Canyon cosiddetto del Massacro. E sono rimasti inaccessibili anche a noi.

Abbiamo vissuto con emozione la vertigine della City in The Sky, ma non abbiamo potuto percorrere il sentiero che ci avrebbe permesso di discendere a piedi dal picco su cui l’insediamento è collocato, fatto di costruzioni Pueblos in adobe (mattoni di fango e paglia cotti al sole) senza elettricità o acqua corrente ma solo piovana, che sono ancora abitate, come “seconde case” dai nativi, che hanno riadattato alle esigenze moderne con generatori, bombole, bagni chimici ed infissi di recupero ( come spesso facciamo anche noi con le case dei nonni nei borghi antichi). Ci dovremo tornare, per completare queste bellissime esperienze!

Finisco questo post nostalgico con un ricordo ed un saluto affettuoso al gruppo di viaggiatori e viaggiatrici con cui abbiamo condiviso risate, incanti, vertigini, riflessioni e contrattempi. Persone rare, colte e divertenti. Con una parte di loro avevamo già viaggiato (in Canada, in Islanda). Con altri ci siamo incontrati per la prima volta in Indian Nation, ma è come se ci fossimo sempre conosciuti. Ed un ringraziamento speciale al nostro Tour Leader Maximo, Super-Gimmy Tranquillo, innamorato dell’America, che ci ha condotti a spasso per più di 3500 chilometri con la sua vulcanica energia, che non è venuta mai meno, anche quando “una serie di sfortunati eventi” (per definire così le varie sfighe che ci hanno perseguitato) hanno complicato il viaggio, nel quale regnava sovrana la Murphy’s Law (se una cosa può andare storta, state certi che lo farà). E che è riuscito a trovare sempre soluzioni ingegnose e creative per rendere il nostro viaggio davvero indimenticabile. Alla prossima!!

Marina Capponi

🎧 Manifestazione per chiudere la sede di CasaPound a Firenze

Firenze, alcune centinaia di persone hanno partecipato sabato sera ad una manifestazione con corteo nell’Oltrarno, zona Ponte alla Vittoria, per chiedere la chiusura della sede di CasaPound di via dei Vanni.

La manifestazione è iniziata in piazza Pier Vettori, da dove è partito il corteo che era aperto dallo striscione ‘Firenze è Antifascista’ e che si è mosso intorno alle 17:00, verso il Ponte alla Vittoria. Presenti molti altri striscioni e bandiere di realtà antifasciste locali e vi hanno partecipato anche famiglie con bambini.

“La sede di Casa Pound in via dei Vanni è una provocazione alla città intera – hanno spiegato i promotori del corteo – a cui gli antifascisti e le antifasciste di Firenze hanno il compito di rispondere”.

Tornando verso piazza Pier Vettori lungo via Bronzino, il corteo si è fermato per qualche minuto davanti al retro della sede e ha intonato cori come “siamo tutti antifascisti” e “fascisti carogne, tornate nelle fogne” e altri ancora.

La manifestazione è stata vigilata dalle forze dell’ordine sia in divisa sia in abiti civili e non risultano al momento disordini.

Notevoli le ripercussioni sul traffico poiché Ponte alla Vittoria è uno degli snodi nevralgici verso i viali di circonvallazione e il centro storico, in particolare il sabato sera per chi cerca di raggiungere i locali provenendo dalla direttrice Firenze-Pisa-Livorno e dall’area di Scandicci e Le Signe.

“Speriamo veramente che, – ha detto la consigliera comunale di ‘Sinistra Progetto Comune’, Antonella Bundu, intervistata da Gimmy Tranquillo alla manifestazione – così come ha già chiesto la proprietà, liberino i locali, perché anche per una questione di ordine, una questione anche di far vivere l’intero quartiere in tranquillità, noi non possiamo avere queste persone che si richiamano a quello che è un vero e proprio neofascismo”.

“Mi pare di capire che anche il contratto stesso sia stato in qualche modo sottoscritto da altre persone, nel senso non era a CasaPound in prima persona, dunque spero che anche questo possa valere per poter recedere dal contratto, noi comunque siamo qui, saremo qui, torneremo qui anche altre volte, perché non vogliamo assolutamente una sede di CasaPound non solo in questa zona, ma che non ci sia da nessuna parte a nostro parere”.

‘Rosso di sera’ per la rassegna ‘Critico per un giorno’

Firenze, ‘Rosso di sera’ è stato il nuovo appuntamento con ‘Critico per un giorno’, l’iniziativa del Controradio Club e del Cinema La Compagnia, in cui socio del Controradio Club ha l’occasione di diventare ‘Critico per un giorno’ andando a vedere gratuitamente al Cinema La Compagnia, per poi recensirlo.

Il documentario ‘Rosso di sera’ è il secondo capitolo della trilogia che Emanuele Mengotti dedica agli Stati Uniti, con protagonista indiscussa Las Vegas, ritratta in un periodo molto particolare della sua storia, che ha visto sovrapporsi, lo scoppio della pandemia da Covid, con la campagna elettorale per le elezioni presidenziali che vedeva Donald Trump in lizza per la rielezione a Potus.

Con un uso della telecamera molto discreto, il regista segue per le deserte  vie di Las Vegas, deserte dopo che il governatore del Nevada chiude i casinò e i servizi non essenziali, tre personaggi, Mike, medico che deve affrontare la minaccia della crisi sanitaria; Mindy, ex attrice di b-movies, che ha deciso di entrare lizza per diventare la candidata del Partito repubblicano a supporto di Donald Trump e Steve, che vive nei pressi dei canali sotto il livello stradale, che servono per convogliare le rare ma molto improvvise violente piogge alluvionali del deserto del Nevada.

Nuovo Teatro di Fiesole, apre dopo circa vent’anni dalla posa della prima pietra

Fiesole si concluderà con l’inaugurazione ufficiale del 21 novembre con il concerto dell’Orchestra V. Galilei e Alexander Lonquich e poi, nei giorni successivi, con Edoardo Bennato, Glauco Mauri e Roberto Sturno, la lunga e travagliata gestazione del Nuovo Teatro di Fiesole.

La progettazione del Nuovo Teatro di Fiesole risale infatti al lontano 2001 con la posa della prima pietra avvenuta nel 2003, poi una serie di complicazioni, tipiche delle strutture pubbliche italiane come errori e fallimenti di imprese, hanno rallentato la costruzione fino a bloccarla definitivamente.

In podcast l’intervista alla sindaca di Fiesole Anna Ravoni, a cura di Gimmy Tranquillo.

L’ultima tappa del lungo processo, che aveva condannato il Teatro ad essere solo un involucro vuoto per un ventennio, arriva nel 2018 quando, quando l’Amministrazione Ravoni lancia un bando pubblico, controverso ma risolutivo, per affidare sia il completamento della costruzione sia la gestione per i prossimi cinquanta anni ad un soggetto esterno al Comune di Fiesole.

Dopo il primo bando andato deserto, si fa avanti la “Teatro di Fiesole Srl.”, frutto dell’intesa tra Essevuteatro New, AdArte Spettacoli, e Prg, che dopo aver completato la struttura degli arredi e degli impianti esterni la gestirà.

Articolato in più livelli, con camerini, ampio foyer e terrazza panoramica, il complesso ha come cuore lo spazio scenico con un palco che si apre su una sala di 300 posti, equamente divisi fra platea e galleria.

Il Nuovo Teatro di Fiesole è ora una struttura all’avanguardia disposta su cinque livelli, con 316 posti tra platea e galleria, una sala espositiva e ampie terrazze che si affacciano sulla valle.

Il progetto si caratterizza dall’uso di soluzioni acustiche innovative e complesse ideate per rispondere alle esigenze delle diverse anime del mondo dello spettacolo: in questo luogo sarà possibile passare da un’acustica naturale ad una con un tempo di riverbero fortemente controllato per le sorgenti amplificate, una sala moderna per idee e avanzate soluzioni progettuali.

Il Nuovo Teatro di Fiesole, progettato originariamente dall’allievo di Renzo Piano architetto Emilio Guazzone e completato poi dall’architetto Carlo Carbone, costruito in Largo Piero Farulli (ex Piazza del Mercato) in stretta relazione con il Teatro Romano, sarà inaugurato il prossimo 20 novembre alle ore 18 con un pre-opening con la proiezione del film “Dante” del regista Pupi Avati.

Il 21 novembre alle 21 salirà sul palcoscenico la Scuola di Musica di Fiesole che si esibirà con l’orchestra V. Galilei con Alexander Lonquich, pianista e direttore. Il 22 (ore 21) sarà la volta di Edoardo Bennato, il suo chitarrista Giuseppe Scarpato e il quartetto d’archi Flegreo e il 23 Glauco Mauri e Roberto Sturno porteranno il “Canto dell’Usignolo” a Fiesole, in collaborazione col Teatro della Pergola.

“Ci siamo impegnati al massimo per la realizzazione di un’autentica gemma nel panorama culturale del territorio metropolitano fiorentino – spiegano i responsabili Federico Babini, Claudio Bertini, Massimo Gramigni, Lorenzo Luzzetti e Giovanni Vernassa -. Abbiamo lavorato duramente per garantire alla comunità un luogo polifunzionale in grado di soddisfare molteplici esigenze e al tempo stesso garantire standard qualitativi di livello assoluto. Ci piace pensare che il nuovo teatro, moderno e all’avanguardia, dialoghi idealmente con quello romano a pochi passi di distanza, tra i più antichi del nostro paese”.

🎧 ‘Artist Invasion’, Mostra diffusa nella città di Firenze

Firenze, nell’ambito dell’Eredità delle Donne per la sezione Off, si terrà la mostra Artist Invasion | EQUILIBRISTE | Firenze| Mostra diffusa nella città.

‘Artist Invasion’ è diffusa in cinque sedi in prossimità o nel centro di Firenze, e nelle è dedicata a 21 artisti, si tratta di un evento promosso da Lauraballa art, a cura di Penelope Filacchione, con le grafiche di Luisa Valenzano artist , le traduzioni per il catalogo di Rosalind Keith e il lavoro incessante di tutte e tutti.

In podcast l’intervista alla curatrice della mostra, Penelope Filacchione, a cura di Gimmy Tranquillo.

Il festival si svolge dal 21 al 23 ottobre e presentando ogni giorno degli eventi speciali, nonché una visita guidata, alle 5 sedi della mostra, passeggiando attraverso Firenze il sabato mattina con il generoso contributo della guida Elisabetta Pini, alias Elisabetta Florence on demand.

Artist Invasion è un progetto nato da Lauraballa a Prato: un’invasione di arte in Italia e ovunque nel mondo, ed è un progetto completamente autofinanziato e autogestito.

Programma:

L’Eredità delle Donne è un progetto di Elastica, partner fondatori Fondazione CR Firenze e Gucci, con la co-promozione del Comune di Firenze, il contributo di Amazon, Atlantia, eBay, la partecipazione di Manifattura Tabacchi, sede principale del festival, la collaborazione di alFemminile, il portale punto di riferimento per il pubblico femminile di tutte le età, il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il patrocinio della Regione Toscana.

Scopri di più su: https://www.alfemminile.com/sp/ereditadelledonne/2022

‘Critico per un giorno’ presenta: “Sirens”. Le interviste ai soci del Controradio Club

Firenze, riparte ‘Critico per un giorno’, l’iniziativa del Controradio Club e del Cinema La Compagnia, in cui socio del Controradio Club ha l’occasione di diventare ‘Critico per un giorno’ andando a vedere gratuitamente al Cinema La Compagnia, per poi recensirlo.

Il film scelto per questo appuntamento per ‘Critico per un giorno’, è stato ‘Sirens’, Un documentario elettrizzante quanto le sue protagoniste: la prima band metal femminile del Medio Oriente.

Prodotto da Maya Rudolph e Natasha Lyonne, e diretto da RIta Baghdadi, Sirens è un film che va oltre gli stereotipi del documentario musicale e diventa un’osservazione su cosa significa essere donne queer e indipendenti in un paese conservatore e in tumulto come il Libano. Un documentario elettrizzante quanto le sue protagoniste: la prima band metal femminile del Medio Oriente.

Sirens è parte della programmazione del ‘Florence Queer Festival’ organizzato dall’associazione IREOS di Firenze, con una ricca programmazione culturale che si snoda tra cinema internazionale a tematica LGBTQIA+, eventi, mostre e incontri.

Questa del ‘Florence Queer Festival‘, in programma dall’11 al 16 ottobre, è la 20°edizione della più importante rassegna toscana dedicata alla cultura LGBTQIA+

Anche per questa edizione le consuete proiezioni in sala saranno affiancate da quelle online nella sala virtuale PiùCompagnia.

Le recensioni dei partecipanti:

Sirens propone molte tematiche intriganti: una buona band death metal tutta al femminile che sfida i palinsesti del Libano conservatore, i rapporti tra le musiciste, l’esercizio della leadership, i compromessi tra la necessità di coesione del gruppo e le pulsioni identitarie dei membri, le preferenze sentimentali e l’orientamento queer, inaccettabili nella famiglia tradizionalista della capitale, l’amarezza di constatare che la pace, i diritti civili, la serenità di poter vivere una esistenza libera non appartengono al Libano, percosso da una profonda crisi civile, politica ed economica, aggravata dall’esplosione del 2020 nel porto di Beirut e, soprattutto, la voglia di suonare nonostante tutto e tutti. Nonostante la buona fotografia, la ghiotta opportunità narrativa di questo insieme di elementi non viene completamente utilizzata. Tutti quei temi sembrano restare come sullo sfondo di un racconto cinematografico che non emerge, affidando la pellicola ad una esposizione a tratti documentaristica, che non trasmette le emozioni attese e che, per questo, non coinvolge. (Matteo)

Anche se “Sirens” è stato presentato come un documentario sulla musica, dal momento che la narrativa principale è incentrata sulla vita di un gruppo di ragazze musiciste, questo lavoro tratta tematiche socio-culturali molto più profonde. In effetti, il documentario rende in maniera chiara, e nello stesso tempo sottile, tante di quelle problematiche presenti in un paese con forti retaggi tradizionalistici e omofobici, oltre alla presenza continua della violenza in un paese sempre sull’orlo di una guerra. Le giovani donne devono affrontare discriminazione per il loro genere e, anche, per il tipo di musica che suonano in un contesto moralmente molto rigido, come può essere il Libano, anche se è una delle nazioni più liberali nel Medio Oriente.
Il documentario, che in realtà è molto vicino a un film per come è stato girato e per il suo svolgimento, segue le relazioni di queste musiciste, in particolare le due chitarriste fondatrici della band heavy / dark metal, e le difficoltà di accettare, e fare accettare, la loro sessualità queer in un paese tradizionalista / omofobico. Il documentario, oltre ad essere informativo, ha un impatto emotivo potente. (Sirpa & Marcello)

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