Jonathan Jeremiah, “Horsepower for the streets”. Disco della settimana.

Un viaggio nel soul cinematico più denso e sofisticato. Con il sontuoso «Horsepower for the streets» l’anglo/indiano/irlandese Jonathan Jeremiah potrebbe finalmente raggiungere il grande pubblico.

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Londinese, anglo indiano per parte di padre e irlandese per parte di madre,   Jonathan Jeremiah è apparso sulle scene nel 2011 ed ha già cinque album all’attivo. Artefice di un sofisticato, elegantissimo sound in bilico tra il soul contemporaneo (alla Michael Kiwanuka, per capirci), classici della tradizione black (Terry Callier e Bill Withers su tutti) e il tocco cinematografico di compositori come Lalo Schifrin o il grande John Barry, stimatissimo da colleghi e addetti ai lavori, con «Horsepower for the streets» mostra invece di avere tutte le carte in regola per arrivare al grande pubblico.

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Scritto a Saint-Pierre-De-Côle, nelle vicinanze di Bordeaux, durante le pause del primo tour che lo ha portato in giro per la Francia, è stato registrato a Bethlehemkerk, una chiesa restaurata di Amsterdam, assieme ai venti elementi dell’orchestra d’archi della Amsterdam Sinfonietta. Anticipato da una manciata di singoli, il disco, sofisticato, elegantissimo, ricco di groove e riferimenti agli anni ’70 più cinematici è composto da 11 brani ed è il nostro “Disco della settimana”.

Dropkick Murphys: “This Machine Still Kills Fascists”. Disco della settimana

“This Machine Still Kills Fascists” è il titolo del nuovo album dei Dropckik Murphys. L’intero disco è un tributo al cantautore statunitense Woody Guthrie (1912-1967), del quale la band riporta in vita le parole.

Il video del primo singolo che ha anticipato il disco, “Two 6’s Upside Down“, diretto da Dave Stauble, presenta immagini della band che suona davanti alla statua di Woody Guthrie, situata nella sua città natale Okemah, Oklahoma.
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Prodotto dallo storico collaboratore della band Ted Hutt al The Church Studio di Tulsa, l’album è interamente in acustico ed è incentrato su testi di Woody Guthrie. Nel disco manca un membro fondamentale del gruppo, il cantante Al Barr, in temporanea pausa da tutti i suoi impegni professionali per motivi familiari.

I Dropkick Murphys raccontano: “Prima di tutto, Woody Guthrie incarna lo spirito della vera ribellione. Sempre uno a difendere il lavoratore ed a combattere contro il fascismo. Come la sua famosa chitarra ha coraggiosamente dichiarato -Questa macchina uccide i fascisti-, riprendiamo il titolo per il disco. Non si tratta della prima collaborazione con Guthrie. Nel 2004 abbiamo trovato un testo inedito negli archivi di Woody intitolato ‘Shipping Up To Boston’, e l’abbiamo trasformato in una canzone. Con Al Barr in pausa, tutti noi volevamo registrare nuova musica, ma non fare un tipico album dei Dropkick Murphys senza di lui… così abbiamo pensato che questo fosse il momento perfetto per riconnetterci con le parole di Woody.”. Ed è stata la figlia del cantautore statunitense a riavvicinarsi alla band proponendo di rielaborare alcuni versi inediti scritti dal padre e di attingere liberamente dal suo storico archivio.

Nasce così questo nuovo disco dei Dropkick Murphys, 10 tracce per mezz’ora di musica, che, nonostante il discostamento dal sound classico della band, rappresenta comunque una naturale evoluzione del loro percorso artistico.

This Machine Still Kills Fascists” è il nostro “Disco della settimana

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I Dropkick Murphys sono un gruppo di Boston attivo fin dagli anni 90. Nati dagli ambienti “Oi”, oggi, la loro musica, che risente delle influenze di Stiff Little Fingers, The Pogues e The Clash, viene definita “celtic punk”. I concerti dei Dropkick Murphys sono spesso seguiti da gruppi di skinhead, sia di destra che di sinistra. Antimilitaristi, noti per il loro appoggio alle cause della classe operaia, hanno comunque dichiarato di non simpatizzare né per il movimento Skin88, né per quello Redskin o per estremismi in genere.

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1. Two 6’s Upside Down feat. Woody Guthrie
2. Talking Jukebox
3. Ten Times More feat. Woody Guthrie
4. Never Git Drunk No More feat. Nikki Lane
5. All You Fonies
6. The Last One feat. Evan Felker of Turnpike Troubadours
7. Cadillac, Cadillac
8. Waters Are A’risin
9. Where Trouble Is At
10. Dig A Hole

Con Doggerel dei Pixies torna il “Disco della settimana”

“Doggerel” è l’ottavo disco dei Pixies, il quarto dalla reunion del 2004, un disco solido e maturo anche se non rivoluzionario come i dischi degli esordi che definirono indelebilmente l’identità dell’alternative rock.

“Doggerel” è l’ottavo disco dei Pixies, il quarto dopo la reunion del gruppo di Boston avvenuta nel 2004. A tre anni di distanza dal loro ultimo lavoro, “Beneath The Eyrie”, gli americani tornano con un album solido e maturo, in continuità con le ultime uscite, di certo non rivoluzionario come i dischi degli esordi, quelli che definirono indelebilmente l’identità dell’alternative rock, eppure pieno di buone canzoni, sempre in bilico tra ironia ed inquietanti visioni escatologiche.

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Durante la loro prima fase, gli iconici Pixies hanno indubbiamente definito la scena alt-rock, per poi riunirsi nel 2004 e dedicarsi ad atmosfere più oscure e sofisticate, e il loro ritorno li ha visti aggiungere altri tre album da Top 10 in UK ai tre precedenti. Doggerel è uscito il 30 settembre su BMG, anticipato dal singolo singolo “There’s A Moon”.

Doggereldi (pronunciato “daw-​ger-​uhl”, stile ampio e di misura irregolare dall’effetto comico o anche segnato da banalità o inferiorità) è un album maturo e viscerale che unisce folk inquietante, pop da sala da ballo e rock brutale, il tutto in una miscela infestata dai inquietanti fantasmi guidata da forze cosmiche e in grado di concepire una vita digitale nell’aldilà.
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Come ha detto il chitarrista Joe Santiago “Questa volta siamo cresciuti. Non abbiamo più canzoni da meno di due minuti. Abbiamo piccole pause, arrangiamenti più convenzionali ma ci sono ancora i nostri colpi di scena”

Il cantante e chitarrista Black Francis aggiunge: “Stiamo cercando di fare cose molto grandi, audaci e orchestrate. La roba punk, mi piace molto suonarla ma non la puoi creare artificialmente. C’è un altro modo per farlo, ci sono altre cose che possiamo fare con questa energia speciale in cui ci siamo imbattuti”

Oscurità e bellezza si intersecano per tutta la durata dell’album, concepito in maniera piuttosto insolita: invece di prendere vita in studio dalle idee di tutti i membri della band, Doggerel è stato creato partendo da 40 brani finiti che Black Francis ha presentato ai colleghi. Le sessioni sono iniziate a fine 2021 nel Massachussetts, con il produttore Tom Dalgety (Royal Blood, Ghost) al lavoro insieme a Francis, che si sono poi spostati a Los Angeles per finire il lavoro insieme al resto della band. Santiago ha contribuito per la prima volta alla scrittura di due brani dei Pixies, con la musica di “Dregs Of The Wine” e il testo di “Doggerel”.

Per i feticisti patologici Doggerel è disponibile in diversi formati: CD Deluxe, vinile rosso e vinile giallo in negozi indipendenti selezionati, vinile arancione e cassetta rossa in esclusiva sullo store ufficiale della band e ovviamente su tutte le piattaforme digitali.

E’ il nostro “Disco della settimana“!

Fantastic Negrito “White Jesus Black Problems”. Disco della settimana.

Un ambizioso progetto multimediale su razzismo, capitalismo, storie di antenati ed il significato stesso di libertà, su ritmi africani e suoni “delta blues”. Sarà anche un film “White Jesus Black Problems” di Fantastic Negrito, intanto è il nostro “Disco della settimana“.

Scritto e registrato a Oakland, dove Fantastic Negrito è nato e risiede, ‘White Jesus Black Problems’ è un progetto multimediale basato sulla storia vera della nonna scozzese bianca di settima generazione di Negrito, nonna Gallamore era una serva a contratto sposata con il nonno afroamericano di settima generazione, nonno Courage. La relazione era una sfida alle leggi razziste e separatiste della Virginia coloniale del 1750.

Pubblicato dalla sua stessa etichetta, la Storefront Records, ‘White Jesus Black Problems’ è il progetto di Fantastic Negrito più ambizioso ad oggi. La pubblicazione sarà accompagnata anche da un film, creato dallo stesso artista, e basato sulle musiche del nuovo lavoro e del quale possiamo già guardare il trailer.

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Nel corso dell’ultimo anno Negrito ha scritto oltre 50 brani ispirati a Gallamore e Courage, riducendo infine la raccolta a un mix di 13 canzoni ed intermezzi che hanno catturato la lotta e il trionfo della giovane coppia. Per la prima volta, Negrito ha inoltre registrato il nucleo di ogni traccia dal vivo, in studio, insieme al suo batterista James Small (che interpreta nonno Courage nel film), prima di mettere insieme altri strumenti da solo e coinvolgere collaboratori esterni come il bassista Cornelius Mims, il chitarrista Masa Kohama, il tastierista Lionel LJ Holoman e la violoncellista Mia Pixley.

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Fantastic Negrito arriva sulla scena internazionale nel 2015, quando si aggiudica l’NPR Tiny Desk Contest. Da allora ha continuato a conquistare successi, premi e riconoscimenti, tra cui un Grammy Award per il miglior album di blues contemporaneo per ognuno dei tre dischi che ha pubblicato: ‘The Last Days of Oakland‘ (2017), ‘Please Don’t Be Dead‘ (2019) e ‘Have You Lost Your Mind Yet?’ (2020).

La sua storia è davvero avvincente e radicata nella lotta e nella contesa: dai massimi di un contratto discografico da un milione di dollari ai minimi di un incidente stradale quasi fatale, che lo lasciato in coma, danneggiando permanentemente la sua mano e cambiando la sua visione della vita. Dalle strade di Oakland al palcoscenico mondiale, la musica di Fantastic Negrito trasuda schiettezza, tra black music, roots, punk e blues, testi autobiografici e di condanna, testi di speranza e sincerità. 

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Al di fuori della musica, Xavier mette in atto il suo essere socialmente progressista e ha creato Storefront Market, un mercato gratuito per il pubblico, con venditori che rappresentano la comunità di West Oakland e i quartieri circostanti. Gestisce inoltre la sua fattoria urbana, Revolution Plantation, dove insegna alla comunità a fare giardinaggio, uno sforzo per trasmettere pratiche che possono sostenere allo stesso modo i quartieri locali e il nostro pianeta, mentre si connette con i suoi antenati Free Negro Farmer appena scoperti.

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Wilco, “Cruel Country”. Disco della settimana.

Cruel Country, dodicesimo album dei Wilco, è una fotografia amara ed appassionata degli Stati Uniti e un ritorno alle radici del folk e del contry.

Pubblicato dalla loro dBpm Records, Cruel Country è il nuovo doppio album dei Wilco. Ben ventuno tracce, per settantotto minuti, registrate integralmente live-in-studio. A tre anni di distanza da Ode to Joy, del 2019, i Wilco ritornano con un album prodotto, come il precedente, da Jeff Tweedy e da Tom Schick. L’album è nato durante il primo lockdown nello stesso periodo in cui Jeff Tweedy registrava il disco solista Love Is the King, pubblicato nell’ottobre del 2020.
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Il disco è un ritorno alle radici country e folk del gruppo sempre più “ripulite” dagli elementi innovativi del retaggio “alternative”; eppure la padronanza della materia è tale che, lontano da semplici esercizi di stile, ogni brano di questo disco, tra i fantasmi di Byrds, Neil Young e Greateful Dead, suona inconfondibilmente “Wilco”.
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“Amo il mio Paese, stupido e crudele”, canta nel pezzo che dà il titolo all’album, album che racconta l’alienazione sociale e politica degli Stati Uniti, le paranoie per l’immigrazione nel confine sud,  un patriottismo liberale tradito per la perdita della libertà a causa del Covid in un Paese che un tempo era una frontiera sconfinata, le esperienze di gente comune che cerca di dare un senso a un mondo frantumato e indecifrabile(“Nell’occhio del ciclone la gente si arrangia e fa la propria vita”), lo sconforto nel vedere come l’idea di eccezionalismo americano sia stata deformata fino a diventare estremismo bellico (“Non c’è via di mezzo quando l’altra parte preferisce ammazzare piuttosto che scendere a compromessi”).
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Anticipato dai singoli “Falling Apart (Right Now)” e “Tired of Taking It Out on You”, Cruel Country è il dodicesimo disco in studio del gruppo ed è il nostro “Disco della settimana“.

The Partners In Crime, “Chain Breakers”. Disco della settimana.

Rockabilly, country-blues, swing e molto altro; “Chain Breakers” dei nostrani The Partners in Crime è una scorribanda nei generi più amati dalla band suonata con attitudine e stile.

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The Partners in Crime tornano sulla scena musicale con un nuovo disco intitolato “Chain Breakers” (prodotto dall’etichetta tedesca Topsy Turvy Rec).
Foto di Valentina Tontoli

Il disco è stato presentato negli studi di Controradio all’interno de L’Acrobata, la trasmissione a cura di Giustina Terenzi.

 

 

 

 

La band siculo-toscana capitanata da Simone di Maggio e Angelo Castiglione fondata nel 2014 propone un repertorio di brani inediti e rivisitazioni fortemente influenzate dalla Roots Music americana degli anni ’50 e dalle contaminazioni europee della metà dei ’60. La forza della band sta proprio nella naturale unione degli stili musicali da cui provengono i due principali interpreti, e così che il rockabilly, il surf e lo swing s’intersecano con il jump blues, il soul e il “black rock’n’roll”, creando un irresistibile cocktail ad altissima carica energetica. Dopo il loro primo lavoro discografico, Hoodoo Souls (Goompa Rec, 2018) e l’EP digitale Locked Up  i The Partners in Crime presentano il loro nuovo disco Chain Breakers (aprile, 2022) prodotto dall’etichetta tedesca Topsy Turvy Rec.

Il disco Chain Breakers – così come Hoodoo Souls – è un prontuario della Roots Music americana tanto amata dalla band. Trattata con grande rispetto della tradizione, è allo stesso tempo evidente la necessità dei The Partners in Crime di contaminarla con idee nuove. Accade così che Blues, Rockabilly, Garage e il caratteristico “Hoodoo Sound” della band si mescolano spontaneamente in un crescendo musicale dai sapori forti.

E’ il nostro“Disco della settimana”.

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