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Mar 19 Ago 2025
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ToscanaPoliticaPietrasanta: 3 anni di Daspo per aver contestato pacificamente Salvini

Pietrasanta: 3 anni di Daspo per aver contestato pacificamente Salvini

Tre anni di Daspo per un attivista che ha contestato Salvini a Pietrasanta. Il questore parla di tutela dell’ordine pubblico. Un caso che riaccende il dibattito sulla repressione del dissenso.

Un attivista di Ultima generazione che ha contestato direttamente il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini l’11 agosto scorso alla Versiliana, non potrà recarsi nel comune di Pietrasanta per i prossimi 3 anni. Il Daspo è stato emesso dal questore di Lucca per evitare, dice il provvedimento, che le sue esternazioni causino allarme e insicurezza nel pubblico che prende parte agli incontri politici e culturali che si tengono nel parco di viale Morin. Lo riportano La Nazione e Il Tirreno. L’uomo, 64 anni, di Lido di Camaiore, mentre Salvini era ospite del Caffè, ha manifestato insieme ad altri sul lungomare. Poi si è introdotto nel parco con una bandiera della Palestina e ha gridato “Palestina libera” e “Siete complici del genocidio”, frase rivolta al Governo italiano. L’uomo è stato allontanato dagli agenti della Digos e identificato. Nei giorni seguenti gli è stato successivamente notificato il Daspo per 3 anni dal comune di Pietrasanta.

Questa vicenda solleva nodi estremamente delicati sul rapporto tra libertà di espressione, ordine pubblico e la crescente tendenza a limitare – se non reprimere – il dissenso politico in Italia. Un attivista di Ultima Generazione, contestando pubblicamente il ministro Salvini durante un evento culturale, non ha compiuto atti di violenza né minacciato l’incolumità di persone: ha semplicemente espresso slogan politici, legati tanto alle politiche climatiche quanto alla tragedia in Palestina. L’intervento della Digos, conclusosi con la sua identificazione e l’allontanamento, appare già come una misura sufficiente in termini di gestione dell’ordine pubblico. L’applicazione di un Daspo urbano per tre anni, invece, va letta in una cornice ben più problematica. Il provvedimento del questore giustifica il divieto di accesso temendo che simili gesti possano generare “allarme e insicurezza” nel pubblico. Ma questa motivazione rischia di scivolare pericolosamente verso la criminalizzazione della protesta pacifica: ciò che viene sanzionato non è un comportamento aggressivo, bensì l’imbarazzo, il fastidio, il turbamento che le parole di un contestatore possono suscitare in un consesso prevalentemente favorevole al politico ospite. In pratica, si trasforma il dissenso in una minaccia di ordine pubblico. La Corte Costituzionale e la CEDU hanno più volte affermato che la libertà di espressione, specie in ambito politico, gode di una tutela rafforzata. Le opinioni critiche nei confronti dei governi e delle figure istituzionali devono poter trovare spazio anche se forti, disturbanti o sgradevoli. L’estensione del Daspo, nato come misura contro la violenza negli stadi, a eventi culturali o politici solleva seri dubbi di proporzionalità e legittimità. È l’ennesima conferma di come strumenti emergenziali e repressivi, introdotti in contesti circoscritti, vengano progressivamente normalizzati contro chi dissente. Colpire attivisti climatici o solidaristi con la Palestina con strumenti tipici del controllo penale straordinario contribuisce a fabbricare l’immagine del “sovversivo pericoloso” da allontanare dalla scena pubblica. Ciò ha un duplice effetto: da un lato intimidire e scoraggiare la partecipazione popolare, dall’altro rafforzare l’idea che la politica vada fruita solo come spettacolo passivo, non disturbato da contestazioni reali. In questo senso, la misura contro l’attivista colpisce non solo il singolo, ma il diritto collettivo dei cittadini ad esprimere opinioni critiche in sedi pubbliche. È difficile non leggere questo episodio nella cornice più ampia della gestione securitaria del dissenso: fogli di via, multe spropositate, processi per blocchi stradali, fino a misure preventive come i Daspo urbani. Tutti sintomi di una tendenza: non affrontare le ragioni della protesta, ma silenziarle. Paradossalmente, proprio mentre si moltiplicano i richiami alla “libertà di parola” come valore assoluto, questa viene compressa se a esercitarla sono soggetti marginali, minoritari o dichiaratamente critici verso il potere.