Ven 26 Apr 2024

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Livorno: ucciso in agguato 19 anni fa, 3 arresti

Livorno: a 19 anni di distanza arrestati il presunto esecutore, un complice e l’uomo che averebbe fornito la pistola per l’omicidio di Alfredo Chimenti, 47 anni, livornese.

L’uomo fu ucciso il 30 giugno 2002 davanti alla sua abitazione di piazza Mazzini a Livorno. Un agguato per gli inquirenti il cui movente sarebbe individuabile nei contrasti, sorti all’epoca del fatto nel mondo delle bische clandestine e del gioco d’azzardo.

I tre arresti sono avvenuti nell’ambito di un’operazione, denominata ‘La Garuffa’ dal nome del circolo di cui Chimenti faceva parte, condotta da carabinieri e guardia di finanza di Livorno e coordinata dalla procura della città toscana, che ha portato in totale a 11 misure cautelari eseguite tra Livorno e Pisa: i reati contestati, a vario titolo, sono omicidio premeditato, associazione per delinquere, usura aggravata, estorsione aggravata e porto abusivo di armi da sparo.

La vittima dell’agguato, come si legge nell’ordinanza del Gip, era diventato un soggetto non gradito alla “batteria” per i suoi comportamenti “prepotenti ed ostativi” nei confronti del gruppo criminale, come ad esempio il no all’assunzione al circolo La Garuffa di una persona vicina alla stessa “batteria”.

Non solo, secondo le risultanze investigative, con i suoi comportamenti dimostrava di non aver timore dei rivali finendo per eroderne il prestigio criminale. Da qui la decisione di “levarlo di mezzo”. Le ulteriori indagini, che la Procura di Livorno ha riattivato proseguendo l’attività della Dda di Firenze, e condotte dai Carabinieri con il determinante contributo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Pisa, hanno portato alla luce anche l’attività di un’associazione per delinquere, che operava da tempo nel capoluogo, finalizzata all’usura ai danni di persone in difficoltà economiche, e estorsioni nei confronti di esercenti attività commerciali. Definito “originale” dagli stessi inquirenti il sistema che avrebbero utilizzato per l’usura: il “contratto” prevedeva che le vittime acquistassero dall’usuraio oggetti in oro ad un prezzo notevolmente più alto dell’effettivo valore (circa il doppio e a volte anche il triplo), rivendendoli al loro prezzo corrente a compro-oro compiacenti. Le vittime, in tal modo, ottenevano dagli stessi compro-oro l’immediata liquidità di cui avevano bisogno, ma rimanevano debitori nei confronti dell’usuraio di una cifra pari a quasi il doppio di quella ricevuta.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti le vittime maturavano anche interessi passivi da corrispondere unitamente alla quota-capitale, allo stato quantificati in 150 euro a settimana. Le scadenze imposte dagli “strozzini” erano settimanali, quindicinali o mensili, indicate in gergo dagli indagati come “settimane” e “mesate”. Paradigmatico il “contratto” con una delle vittime, che – per far fronte ad impellenti bisogni di liquidità – in poco tempo avrebbe maturato complessivamente un debito di circa 48 mila euro. La vittima avrebbe corrisposto 1.000 euro al mese, in due tranche pagate ogni 15 giorni, e 150 euro a settimana a titolo di interessi, per un totale di 1.600 euro mensili. Nel corso delle indagini sono stati documentati alcuni episodi particolarmente cruenti, come quello del marzo 2018 quando, il giorno dopo che uno degli indagati aveva parlato di “schiacciare la testa”, la vittima dell’estorsione, minacciata con un coltello ed un’arma da sparo, ha subito un sanguinoso pestaggio.

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