Sab 27 Apr 2024

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Disco della settimana: Fool, di Joe Jackson

Ritorno in grande stile per Joe Jackson, con uno dei suoi album più ispirati, potenti, e completi di sempre. “Le canzoni parlano di paura, rabbia, alienazione e perdita, ma anche di cose che rendono ancora la vita degna di essere vissuta: l’amicizia, le risate, la musica o l’arte stessa. Non avrei potuto farlo nel 1979. Non avevo vissuto abbastanza.”


Accolto entusiasticamente dalla critica, Fool è il ventesimo lavoro in studio dell’artista e celebra i quarant’anni di carriera. Disponibile in diversi formati fisici e digitali (CD, LP + download, LP + vinile 7’’ + download, i quali includono anche 2 brani inediti), l’album è stato co-prodotto dal cantautore e dal produttore Pat Dillett (David Byrne, Sufjan Stevens, Glen Hansard, ecc). La band è la stessa che suona con Joe dall’uscita di Fast Forward: Teddy Kumpel alla chitarra, Doug Yowell alla batteria, e Graham Maby al basso, con cui collabora da lunghissimo tempo, proprio da quel primo album pubblicato quarant’anni fa.

A febbraio 2019, Joe e i suoi musicisti partiranno per un nuovo tour mondiale che li porterà negli Stati Uniti e in Europa e li vedrà suonare brani estratti da cinque album (Look Sharp, 1979, Night And Day, 1982, Laughter And Lust, 1991, Rain, 2008, e Fool, 2019), ma anche qualche traccia da altri album e qualche nuova cover.

Quattro le date italiane:
March 19 / Auditorium della Conciliazione / Rome, Italy
March 21 / Teatro Auditorium Manzoni / Bologna, Italy
March 22 / Teatro Dal Verme / Milan, Italy
March 23 / Teatro Colosseo / Torino, Italy

Così ne ha parlato Debaser: “FOOL” è uscito il 18 gennaio ed è un’album che definire “grandioso” credo sia riduttivo, è un’album “potente”, forse il più “potente” che Joe Jackson abbia mai composto, e per “potente” intendo un’album che ti entra subito dentro, è impetuoso, irriverente, ma anche caldo e avvolgente, insomma riesce a fondere tutte le diverse anime di Joe Jackson in soli 42 minuti di musica (8 canzoni), fonde l’anima più romantica e malinconica di Jackson con quella più rock e più spigolosa, dimostrando ancora una volta (e forse meglio di qualsiasi suo altro album) tutto il suo genio. Questo è forse il suo album più toccante, più caldo, più emozionante (nei brani lenti e romantici), e più impetuoso nei brani pop-rock, forse mai così geniali. Jackson si mette in qualche modo a nudo, si può percepire la sua anima, il suo cuore, come se lo strappasse dal suo petto e ce lo offrisse, a noi, il suo pubblico di ascoltatori. Come? Con un modo di cantare che non è mai stato così “partecipe”, sia nei brani più rock, sia in quelli più romantici, dove spesso Jackson sussurra, parla, e sembra volerci prendere per mano e volerci accompagnare dentro il suo mondo fatato, quello di un mago capace di incantare e stupire come pochi, anche con solo poche note di piano. Qui non siamo dalle parti di “FAST FORWARD”, l’eccellente album del 2015, che era fatto di arrangiamenti complessi e suonato con band piuttosto numerose (4 band per la precisione, una per ognuna delle 4 facciate dell’album), e nemmeno dalle parti di “RAIN”, il bell’album del 2008 (molto intimista e cantautorale) che presentava Jackson alle prese con un pop raffinato e “da camera”, però negli album sopra riportati, pur di alto livello, non raggiungevano i livelli di questo ultimo album, FOOL , un’album nei momenti più romantici e malinconici, ha qualcosa di davvero forte, saranno le melodie, sarà il modo di cantare di Jackson, ma qui il suo intimismo ha qualcosa di diverso dal solito, come se dentro esso si potesse percepire, anche nei momenti più languidi, una “felicità” e “un’energia vitale” che forse mancavano in altre occasioni. Qui Jackson si affida solo a 3 musicisti (ma che musicisti, viene da dire!): Teddy Kumpel alla chitarra, Doug Yowell alla batteria, e Graham Maby al basso , gli stessi musicisti che lo hanno affiancato nel “Fast forward tour” e per cui queste canzoni sono state pensate e scritte (e si sente, eccome, se si sente!) , canzoni che sono state registrare appena il giorno dopo l’ultima data del tour estivo (estate 2018), appena concluso il quale Joe e i suoi 3 musicisti sono corsi in studio per registrare l’album. Il 29 luglio Joe ha infatti chiuso il suo tour estivo all’Egyptian Theater di Boise, Idaho, e il giorno dopo si trovava già ai Tonic Room Studios della stessa città! Sul disco, Joe ha rivelato: “Quando ho realizzato che avrei registrato a fine luglio e mixato i brani intorno al mio compleanno, che è ad agosto, sono rimasto stupito dal fatto che questa cosa fosse già successa in passato, ma solo una volta. Ed era quando avevo lavorato al mio primo album, quarant’anni fa. Ci sono un sacco di canzoni che ho scritto, alcune addirittura solo a metà, e che non ce l’hanno fatta. Solo otto sono sopravvissute, e penso siano abbastanza. …. Solitamente, quando inizio a scrivere i brani non ho in mente un tema preciso, ma alle volte può capitare che nasca spontaneo. In questo caso parlo della commedia e della tragedia, e del modo in cui queste si intrecciano nelle nostre vite. Questi brani trattano la paura e la rabbia, l’alienazione e la perdita, ma anche tutto quello per cui vale davvero la pena vivere: l’amicizia, le risate, la musica e l’arte stessa. Non avrei potuto scrivere di tutto ciò nel 1979, perché non avevo vissuto abbastanza”. L’album parte con “BIG BLACK CLOUD” il cui iniziale rullare della batteria ci riporta immediatamente alla memoria l’inizio di “Obvious song” (canzone del 1991, contentuta in “Laughter and Lust”) poi però la canzone vera e propria è ben diversa, ed è il primo CAPOLAVORO dell’album. Il brano è incalzante e possente, un pop-rock dal ritornello assolutamente geniale. Un mix riuscito tra il primo “Night and day” e certe atmosfere (appunto) di “Laughter and lust” (che era comuque un grande album, uno dei suoi più sottovalutati). Grande anche il secondo brano, “FABULOUSLY ABSOLUTE”, forse non al livello della prima canzone, ma comunque grande musica , un rock-punk che ci riporta dalle parti dei primi 2 album di Jackson. Ritmo scatenato, canzone potente, energica, geniale. DAVE è il terzo brano, canzone in cui regna una grandissima atmosfera. La melodia è straordinaria e l’ispirazione di Jackson sfiora livelli davvero immensi. La sua voce è talmente ispirata che, specialmente nel ritornello, fa scorrere brividi lungo la schiena. Questo canzone è già un classico della discografia jacksoniana. Il quarto brano in scaletta è un’altro capolavoro e si chiama STRANGE LAND. Brano lento e di altissimo livello e altissima tensione emotiva. La voce di Jackson è quasi sussurrata e raggiunge livelli davvero toccanti nei falsetti del ritornello, talmente languidi ed emotivi da strapparti il cuore, mentre le mani dell’autore volano sui tasti del pianoforte come fossero le mani di qualche mago sceso sulla terra per polverizzare qualsiasi rivale. Il quinto brano è l’opposto del suo predecessore. FRIEND BETTER è infatti un grande brano pop, dall’incedere energico e allegro. Una pop song perfetta, di quelle che ogni tanto Jackson riesce a tirare fuori dal suo cilindro magico, “perfetta” nell’unione di un’altissima classe compositiva che riesce a fondersi con un’ascoltabilità e una fruibilità tipica dei pezzi da classifica. Perfetta anche in quella che sembra essere un’unione tra il ritmo “sixties” di “Down to London” e l’atmosfera divertita e stralunata di “Stranger than fiction”. Il sesto brano è forse il VERO CAPOLAVORO DELL’ALBUM, la title-track FOOL è infatti un brano che definire “GENIALE” forse è pure riduttivo. Jackson si mette il suo cappello da “giullare”(il “Fool” del titolo) e ne tira fuori un brano che vive in un’atmosfera “pazzoide”, scatanata, ricca di umorismo, l’atmosfera in cui vivono i sogni, quelli in cui vivoni i “fool”, i “pazzi” della società, talmente fuori dai giochi di potere da prendersi gioco del potere stesso. La voce filtrata di Jackson, il ritmo indiavolato e ballabilissimo, mirabile unione di orientale e occidentale che porta di nuovo l’album verso livelli esorbitanti, soprattutto nello stacco di piano centrale, uno stacco in stile “latino”, dove sembriamo di colpo essere di nuovo catapultati dentro “Night and Day”, come se la canzone fosse un juke-box impazzito in cui possono all’improvviso rivivere tutti i generi passati in rassegna da Jackson in 40 anni di carriera. Un brano che ha dell’incredibile. Sentire per credere! Ed eccoci arrivati agli ultimi due brani dell’album e quando partono le note di “32 KISSES” è come vedere miriadi di accendini accesi nel buio. Ecco, appunto, questo è uno di quei brani pop, talmente romantici e malinconici da farti scaldare il cuore all’improvviso, come fossero un buon vino d’annata che ti si infila nell’animo nel più freddo degli inverni. Ecco il piano di Jackson ed ecco la sua voce che vi si stende sopra divinamente. Il finale è davvero toccante e la melodia è davvero memorabile.Il finalissimo dell’album è affidato ad ALCHEMY, un brano suadente, come fosse un tappetto di velluto rosso steso davanti agli ascoltatori, come dire: “venite, seguitemi in questo mondo fatato di musica”. La voce di Jackson si stende sopra questo tappeto sonoro quasi sussurrando. Il finale è in crescendo con uno strumentale di chitarra elettrica che stende definitivamente al tappeto (se ancora siete rimasti in piedi a questo punto dell’album). Che dire in conclusione? FOOL è UN VERO CAPOLAVORO, un capolavoro creato da un’artista che definirei (senza paura di esagerare) il più grande autore di canzoni pop della storia.

Queste invece le parole di Rockol:  “I musicisti, quelli veri, li riconosci subito. Anche loro sbagliano i dischi, scrivono canzoni modeste, attraversano fasi calanti, ma in ogni loro album puoi trovare uno spunto, una performance, un’idea brillante. E magari, dopo quarant’anni, ancora pubblicano dischi che vale la pena ascoltare. Joe Jackson è uno di quei musicisti. Non un innovatore, non un trendsetter e nemmeno un maestro riverito, ma un cane sciolto con una voce (in senso lato) unica. Nel nuovo “Fool” fa quel che gli riesce meglio: scrive ed esegue canzoni sintetiche, dinamiche, penetranti, nello stile che l’ha reso celebre a cavallo fra anni ’70 e ’80. Un tempo – e con un tempo intendo prima che la politica dei pagamenti di Spotify incoraggiasse a produrre tante canzoni brevi e prima che ci si premurasse di riempire buona parte dei 78 minuti di un compact disc – i dischi somigliavano a questo: otto canzoni per una quarantina di minuti di durata complessiva. Joe Jackson pensa effettivamente a “Fool” come a un album con due lati complementari. L’ha inciso subito dopo la fine del tour di “Fast forward”, provando alcune canzoni in concerto, convinto com’è che la pratica migliori le esecuzioni. L’ha registrato velocemente, una cosa che – dice – non gli accadeva dai tempi dell’esordio “Look sharp!” di cui cade il quarantennale guarda caso proprio in questo gennaio 2019. Non è un ritorno alle origini e “Fool” non è un disco per nostalgici di un tempo, di un’energia e di una freschezza che non torneranno più. È il disco di un musicista che ha sviluppato un suo linguaggio: progressioni di accordi potenti, interplay fra tastiere e percussioni, frasi melodiche di pianoforte semplici e cantabili, un suono scarno e assieme incisivo, un certo gusto per il ritmo, un modo originale d’essere assieme diretto e sofisticato. È uno stile talmente rodato e sfruttato in passato che alcune canzoni suonano famigliari al primo ascolto. È il caso di “Dave” che potrebbe essere scambiata per una outtake di “Night and day”. Succede, quando si diventa classici. E Jackson è sufficientemente dotato e scaltro da trasformare questa sensazione di familiarità in un pregio. Prodotto da Pat Dillett e suonato con il chitarrista Teddy Kumpel, il bassista Graham Maby e il batterista Doug Yowell, “Fool” non difetta di momenti brillanti. Come “Fabulously absolute”, canzonetta bruciante che ha tutta l’aria dell’attacco a chi divide il mondo in buoni e cattivi. Il bello è che è scritta dal punto di vista di chi, di questi tempi, sta dalla parte del torto: “Forza, dimmelo in faccia cosa dovrei fare per sentirmi parte della razza umana, o magari sussurrami all’orecchio quel che dovrei voler sentire, tipo che sono fascista o un pazzo che non ha frequentato scuole snob, uno che sbaglia quando usa il telecomando, figuriamoci quando vota”. Questo elemento di irrazionalità ricorre nel disco a partire dalla canzone piena di piccoli colpi di scena che gli dà il titolo. “Fool” è il giullare che diventa supereroe che incarna le virtù di ironia e humour. L’album ha anche un lato cupo. “Strange land” parla di alienazione, mentre “Big black cloud” evoca con distorsioni di chitarra elettrica e note ribattute di pianoforte riprese in modo crudo il senso paranoico di minaccia che molti percepiscono in questi anni. Ci sono momenti più concilianti a partire da “Friend better”, che può ricordare la fusion pop modello Steely Dan, oppure “Alchemy” che chiude l’album con un velo di mistero e sensualità.“Fool” non è solo il lavoro di un autore brillante e di un musicista dallo stile consolidato che sceglie la via dell’immediatezza dopo essersi cimentato in passato con opere più complesse. È anche il disco di una band e si sente nelle performance, nell’energia, nell’interplay. Non avrà lo spirito giovanile di dischi anni ’70 o il songwriting elegante degli ’80, ma è uno dei dischi migliori dell’ultimo Joe Jackson.”

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