Bimbo ucciso a Scarperia: padre già considerato ”socialmente pericoloso”

Era socialmente pericoloso e per questo doveva curarsi, ma poteva essere controllato coi farmaci. Queste le conclusioni di una perizia sul 34enne arrestato per aver ucciso il figlio di un anno venerdì scorso in Mugello (Firenze), di cui è stato convalidato ieri l’arresto.

La perizia per Niccolò Patriarchi, il 34enne di Figline Valdarno che settimana scorsa ha ucciso a coltellate il figlio di 1 anno, era stata richiesta prima del delitto dal gip, su richiesta della procura di Firenze, nell’ambito di un’inchiesta per condotte aggressive in famiglia, e discussa in incidente probatorio due giorni prima dell’omicidio.

Le indagini precedenti al delitto di venerdì scorso erano partite nel febbraio 2018. Il 34enne aveva colpito con una testata la compagna, per poi essere condotto dai carabinieri in pronto soccorso dove si sarebbe sottoposto a ricovero volontario nel servizio psichiatrico dell’ospedale di Borgo San Lorenzo. Fino a maggio era poi tornato a vivere con i genitori e aveva iniziato un programma di controlli in ambulatorio con visite programmate, tutte proseguite con esito positivo, e interrotte solo a giugno, quando l’uomo avrebbe manifestato all’Asl la volontà di rivolgersi ad un medico privato.

Dalla relazione sanitaria risulta che l’uomo sia stato seguito dal servizio di salute mentale in due periodi diversi, dall’aprile 2013 a febbraio 2014 e dal dicembre 2017 al maggio 2018. Anche altre fasi di cura presso servizi pubblici e medici privati risultano prima e dopo questi periodi, ma in tutti i casi i ricoveri erano volontari e l’uomo, secondo l’Asl, non sarebbe mai stato sottoposto ad alcun Trattamento sanitario obbligatorio.

Patriarchi, già pregiudicato per reati in materia di frode informatica, è padre anche di una bambina di 7 anni. Per questo oggi la procura dei minori di Firenze ha richiesto al tribunale la decadenza della potestà genitoriale.

Il servizio di Alice Sennati:

https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2018/09/180918_05_ALICE-SU-OMICIDIO-SCARPERIA.mp3?_=1

Bancarotta Ste, 5 anni e mezzo a Verdini

Denis Verdini è stato condannato per bancarotta fraudolenta della Società Toscana di edizioni (Ste) a 5 anni e mezzo. Il tribunale di Firenze ha poi condannato a 5 anni anche l’ex deputato Massimo Parisi.

Per entrambi i giudici hanno anche deciso l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Tre anni ciascuno per gli altri 3 imputati nel processo, tutti amministratori della Ste che pubblicava ‘Il Giornale della Toscana’. Il pm Luca Turco aveva chiesto 3 anni per Verdini e 2 anni per Parisi.

I tre ex amministratori della Ste condannati a tre anni dal tribunale sono Girolamo Strozzi Majorca Renzi, Enrico Luca Biagiotti e Pierluigi Picerno. Per tutti e tre anche interdizione dai pubblici uffici per 5 anni ciascuno.

Per quanto riguarda le parti civili alla curatela del fallimento Ste è stata assegnata una provvisionale di 300mila euro, mentre a 4 ex giornalisti del quotidiano che si erano costituiti parte civile è stata assegnata una provvisionale di 15mila euro ciascuno: i risarcimenti dei danni verranno poi stabiliti in sede civile.

Alla lettura del dispositivo nell’aula del tribunale Verdini era assente come gli altri imputati, ad eccezione di Pierluigi Picerno.

Renzi, toni accesi al processo Maiorano: spese in Provincia avevano finalità istituzionali 

Le spese alla Provincia di Firenze avevano finalità istituzionale, lo ha detto Matteo Renzi rispondendo alle domande dell’avvocato Carlo Taormina come parte civile al processo a Firenze che vede imputato di diffamazione nei confronti dell’ex premier Alessandro Maiorano, dipendente comunale. Uscendo dal tribunale il senatore Renzi ha anche dichiarato di voler avviare una fase di tolleranza zero rispetto alle fake news sul suo conto.

”Le spese erano da me controllate attraverso le voci del bilancio”, “la finalità istituzionale delle spese era asseverata dai dirigenti della Provincia”, “abbiamo avuto verifiche del Mef e della Corte dei conti ma non c’è stata mai nessuna condanna”- ha inoltre dichiarato l’ex premier Renzi.

L’avvocato Taormina, difensore di Maiorano, aveva chiesto quale fosse la finalità istituzionale di una serie di spese attribuite al cerimoniale della presidenza della Provincia quando a guidarla era Renzi. In aula l’ex segretario del Pd ha anche spiegato di aver querelato Maiorano perchè lo aveva accusato di ‘spese spazze’ “mentre stavo preparando come premier il bilancio dello Stato.”

”Aver detto che io avevo dilapidato il patrimonio di un ente pubblico è stato diffamatorio, per questo siamo in causa”. Nel confronto tra Taormina e Renzi ci sono stati anche momenti accesi. Mentre parlava l’ex segretario del Pd per due volte è poi intervenuto Maiorano: in entrambi i casi il giudice lo ha allontanato dall’aula, la seconda volta facendo intervenire anche un carabiniere dopo che il dipendente comunale ha detto a Renzi : “Stai prendendo per il c…il mio avvocato”.

Il senatore Matteo Renzi uscendo dall’aula del tribunale di Firenze, ha anche affermato di voler iniziare una fase nuova di tolleranza zero rispetto alle fake news sul suo conto. “Sono circondato da centinaia di frasi false, offese, insulti, dichiarazioni che assomigliano più a fake news che alla realtà. Abbiamo deciso di iniziare a querelare e a citare in giudizio per risarcimenti civili. Oggi abbiamo iniziato questa attività, chi dice fake news sarà perseguito e spero anche condannato.”

Droga: blitz contro spaccio vicino a scuola a Firenze

Dalle prime ore della mattinata, i Carabinieri della Compagnia di Firenze, della Stazione di Firenze-Peretola e gli Agenti della Polizia di Stato – Commissariato P.S. Rifredi Peretola – supportati da due unità cinofile antidroga, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Firenze su richiesta della Procura della Repubblica di Firenze, nei confronti di dieci cittadini di origine marocchina, senza fissa dimora, irregolari sul territorio nazionale, dediti all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti nella zona di Peretola.

L’attività investigativa, eseguita dal mese di ottobre 2017 ad oggi mediante numerosi servizi di osservazione, controllo e pedinamento, ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli arrestati e di altri tre connazionali denunciati a piede libero per lo stesso reato. Poliziotti e Carabinieri sono riusciti a documentare una persistente e fiorente attività di spaccio, che avveniva nell’arco dell’intera giornata, nell’area dove insiste uno stabile, all’epoca occupato anche dagli indagati, posto tra via Pistoiese e via dell’Osteria. L’immobile, di notevoli dimensioni e a più piani, si trova nelle immediate vicinanze di un istituto scolastico della zona ed era diventato la base logistica per gli spacciatori ove l’attività poteva essere effettuata ”senza rischi”: infatti la struttura, sia per grandezza sia per la presenza di numerose vie di ingresso/uscita, risultava di difficile controllo da parte delle Forze di polizia.

Inoltre, dai servizi di appostamento, si è potuto appurare come, pur non trovandosi in presenza di una struttura associativa, gli indagati fossero ben affiatati tra loro, organizzando servizi di vedetta al piano superiore dell’immobile o di ronda in bicicletta per verificare la presenza o meno delle pattuglie delle Forze dell’Ordine. L’attività ha fatto emergere un ormai noto spaccato di realtà: si è notato come la platea degli acquirenti fosse estremamente eterogenea, comprendendo giovani e meno giovani, uomini e donne, studenti e lavoratori, tutti spinti verso quell’area, ormai considerata franca, per l”acquisto dello stupefacente. Era talmente nota l’esistenza del luogo che molti acquirenti, spesso provenienti anche da fuori città, si avvicinavano a uno dei cancelli per ottenere quanto desiderato senza particolari formalismi, sicuri di soddisfare le proprie necessità. Gli odierni indagati dovranno rispondere di spaccio di sostanza stupefacente aggravato dal fatto che lo stesso fosse consumato nei pressi del vicino istituto scolastico. Nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti, sono stati rintracciati sette destinatari mentre tre allo stato sono irreperibili.

25 Aprile: contestazione a Firenze, scarcerati i 4 arrestati

Il giudice di Firenze Franco Attinà ha scarcerato i quattro manifestanti del corteo antifascista che a Firenze ieri mattina, 25 aprile, aveva tentato di raggiungere le due cerimonie ufficiali per la Liberazione in programma in piazza Santa Croce e in piazza della Signoria senza autorizzazione.

Nell’udienza il giudice ha convalidato tre arresti su quattro e ha rigettato la richiesta di obbligo di firma tre volte la settimana presso uffici di polizia chiesta dal pm Giovanni Solinas. Inoltre, il giudice ha fissato al prossimo 28 maggio la data del processo in cui i quattro imputati risponderanno delle accuse di violenza, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, e lesioni dopo che tre agenti delle forze dell’ordine sono rimasti feriti nei contatti di via Verdi.

Al termine dell’udienza i quattrosono tornati subito in libertà. Sempre il giudice Attinà, riferisce il difensore, avvocato Tiziano Checcoli di Pisa, ha disposto la trasmissione degli atti del procedimento alla procura di Firenze per una valutazione del comportamento delle forze dell’ordine del 25 aprile. In udienza la difesa ha mostrato dei video girati in strada. Fuori dal tribunale di Firenze i compagni degli arrestati hanno tenuto un presidio di solidarietà durante il quale hanno chiesto la loro scarcerazione.

Il corteo ”antifascista” era stato realizzato dalla nuova sigla Inziativa antagonista metropolitana (Iam), e dal Collettivo universitario autonomo (Cua) e Collettivo antagonista studentesco (Cas).

“Sono stati tutti liberati i giovani arrestati durante la manifestazione del 25 aprile. Si tratta di Aida, receptionist in un B&B, Luca, operaio della logistica, Franco, ricercatore, Simone, edicolante. Tutti liberati dall’ordinanza del giudice dopo la visione dei filmati che provano la realtà dei fatti: la polizia ha aggredito i manifestanti gratuitamente, in particolare chi aveva in mano megafono e amplificazione”. Lo scrivono in una nota le sigle fiorentine Iniziativa Antagonista Metropolitana, Collettivo Universitario Autonomo e Collettivo Antagonista Studentesco. “Togliere la voce ai manifestanti: così durante l’udienza di oggi la polizia ha descritto sfacciatamente l’obiettivo del proprio intervento violento”, scrivono ancora nella nota diffusa. “Evidentemente a 73 anni dalla Liberazione dal fascismo, in questo paese c’è ancora una polizia che pretende di decidere su chi ha diritto di parola, su cosa è lecito dire e cosa no. Abbiamo provato a raggiungere la celebrazione istituzionale per denunciare un ipocrisia intollerabile: da Renzi a Nardella, chi presenziava a quella celebrazione fa parte dello stesso partito e della stessa classe politica dei campi di concentramento in Libia e del razzismo istituzionale. Non sono loro a poter rappresentare né la resistenza partigiana né tanto meno l’antifascismo.  Siamo noi i nuovi partigiani. E oggi come ieri, essere la parte della ragione vuol dire essere trattati da criminali”.

Tribunale Firenze dichiara fallita Braccialini

Il tribunale fallimentare di Firenze, presidente Silvia Governatori, ha proceduto alla dichiarazione di fallimento della maison Braccialini dopo aver revocato l’ammissione al concordato preventivo e rigettato la domanda di omologa.

Il penultimo cda aveva chiesto l’ammissione al concordato preventivo nel giugno 2016 ma il tribunale fallimentare ha ora concluso che “nel caso della Braccialini vi era l’impossibilità tecnica di una gestione che, pur sgravata da oneri finanziari, dall’ansia delle azioni esecutive e supportata dalla collettività tramite ricorso massiccio a cassa integrazione, era ormai decotta”.

Per il tribunale c’è “una notevole alea rispetto a partite essenziali di attivo e passivo” e “plurime incertezze gravano sul concordato” quindi “non può ritenersi ‘assicurato’ il pagamento del 20% minimo ai creditori”. I marchi Braccialini e Tua nel 2017 furono venduti a Graziella Group che ne prosegue l’attività, mentre alla società originaria Braccialini, fallita, restano immobili, magazzino e marchi rimasti dalla precedente operazione.

Oltre alle difficoltà tipiche delle crisi aziendali, il tribunale fallimentare di Firenze, nel decreto in cui respinge la richiesta di concordato preventivo, rileva anche un aspetto particolare, e cioè che la casa di moda Braccialini spa avrebbe preso accordi con quattro fornitori, tutte aziende cinesi.

Accordi “relativi a duplicazioni di fatture e pagamento ‘per spalmatura’” di debiti pregressi, già maturati con gli stessi quattro fornitori, rinnovando i rapporti con questi quattro creditori con nuove forniture. Si tratta di operazioni nell’ordine complessivo di alcune centinaia di migliaia di euro che vennero pattuite nel periodo che va da febbraio a luglio 2016, cioè in tempi vicini, prima e dopo, alla richiesta di concordato.

Il tribunale fallimentare giudica ostativo all’ammissione di concordato questa emissione di fatture per pochi, selezionati creditori, un aspetto di cui i giudici rilevano “la natura fraudolenta e antigiuridica dell’effettuazione di pagamenti di debiti già maturati attraverso l’emissione plurima di fatture, in differenti versioni, cambiandone la data, e l’inclusione di creditori chirografari anteriori al concordato in nuove fatture attraverso la spalmatura di crediti anteriori al fallimento”.

In generale, uno dei legali della Braccialini spa, l’avvocato Francesco D’Angelo commenta il decreto del tribunale sottolineando “la trasparenza e la correttezza di questo consiglio d’amministrazione che ha ottenuto risultati significativi perseguendo sempre e solo l’interesse di tutti i creditori e i lavoratori”. La continuità aziendale, cioè produzione e commercializzazione di prodotti a marchio Braccialini con le maestranze storiche, prosegue ora sotto Graziella Group a cui i marchi Braccialini e Tua sono stati ceduti nel 2017 come rami d’azienda.

Invece sono tutti da capire i riflessi che la dichiarazione di fallimento potrebbe avere sull’inchiesta per bancarotta della procura di Firenze: ci sono oltre 25 indagati, ossia i membri dei cda in carica tra il 2011 e il 2014 e i collegi dei revisori di quegli anni in cui maturarono le difficoltà dell’azienda. Tra gli indagati risultano i fratelli Massimo e Riccardo Braccialini, della famiglia fondatrice, poi usciti dall’azienda.

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