Kinkaleri al Museo Novecento

Firenze, 21 giugno 2019 – Una performance site specific intitolata Novecento, quella che i performer del gruppo Kinkaleri presenteranno lunedì 24 giugno dalle 18:30 alle 21 negli ambienti che ospitano la collezione permanente Alberto Della Ragione. Primo evento di un trittico che vedrà impegnati prossimamente tra luglio e ottobre il gruppo di ricerca e performance di Tel Aviv Public Movement e la coreografa e danzatrice Cristina Kristal Rizzo.

Con Novecento, Kinkaleri propone un percorso immaginario che mette in relazione alcune opere del XX secolo con il corpo danzante dei performer, un atto motorio che coinvolge la dinamica, l’immagine e la “scrittura”. Sì, perché i performer che si esibiranno faranno uso di un particolare codice – il CodiceK, inventato dagli stessi Kinkaleri -, un alfabeto gestuale che permette di trascrivere il simbolo alfabetico attraverso il proprio corpo, in continua dinamica nello spazio e nel tempo; una pratica coreografica dove una griglia rigida di traduzione tra alfabeto e gesto spalanca un luogo di libertà individuale sviluppando tutte le funzioni di un corpo impegnato in un movimento. La performance, realizzata nella sala della collezione permanente del Museo Novecento, nasce con la traduzione fisica/verbale dei titoli delle opere esposte, e instaura un dialogo tra il luogo che la contiene e il flusso di forme che produce. Come atto non unico, la performance sarà replicata, in modo sempre inedito, il 24 giugno e il 18 luglio prossimi.

“Un corpo si muove – spiegano i Kinkaleri- pronuncia attraverso se stesso cosa gli sta attorno in una prossemica gestuale senza tensione. Il corpo, come lo sguardo, si appropria dello lo spazio; nessun tentativo drammaturgico apparente, solo la persistenza. Esso traccia linee, costruisce forme, in un tempo dilatato; volume verso volumi nel silenzio di una sala dedita alla contemplazione, interrotto sporadicamente dal suono di alcune lettere pronunciate dalla sua bocca, che, come frecce colpiscono lo spazio, gli astanti, la storia dell’arte”.

“ Con il progetto Novecento di Kinkaleri – dice il direttore Sergio Risaliti – non solo avviamo un’ospitalità rivolta ai protagonisti della ricerca nel campo performativo e coreografico nazionale e internazionale, perché in questo caso si tratta anche di un affondo sul ‘corpo’ del patrimonio artistico del Museo stesso. Un’azione ermeneutica e creativa che serve a ridefinire e plasmare con altri linguaggi, diversi da quello espositivo e storico-artistico, la relazione del pubblico con le opere esposte nel Museo, agendo al tempo stesso sul doppio termine, o registro, di collezione e permanente, così come su quello di corpo e alfabeto. Questo di Kinkaleri è solo il primo episodio di un trittico che nei prossimi mesi vedrà coinvolti Public Movement (il 2 e 3 luglio) e Cristina Kristal Rizzo, un progetto all’insegna di una interdisciplinarietà che non può mancare al Museo Novecento”.

Kinkaleri nasce a Firenze nel 1995. I componenti si incontrano, unendo le loro esperienze e studi precedenti maturati in vari campi, con l’intenzione di realizzare dei progetti specifici, sollecitando quindi la volontà di operare intorno a delle idee concrete e curando sempre tutti gli aspetti necessari alle creazioni della propria attività. Kinkaleri opera fra sperimentazione teatrale, ricerca sul movimento, performance, installazioni, allestimenti, materiali sonori, cercando un linguaggio non sulla base di uno stile ma direttamente nell’evidenza di un oggetto. I lavori del gruppo hanno ricevuto ospitalità presso numerose programmazioni in Italia e all’estero, teatri, centri d’arte contemporanea, festival e spazi espositivi fra cui il Triennale/Teatro dell’Arte – Milano, Teatro Fabbricone – Prato, Teatro Grande – Brescia, Sophiensaele e KunstHalle Deutsche Bank – Berlino, Centre Pompidou – Parigi, Kaaitheater e KunstenFESTIVALdesArts – Bruxelles, Centro Pecci – Prato, Fondazione Gulbenkian – Lisbona, Kitazawa Town Hall – Tokyo, Oriental Pioneer Theatre – Pechino, Mercat de les flors – Barcellona, La Batie Festival – Ginevra, Festivan di Santarcangelo – Santarcangelo, Palazzo Strozzi – Firenze, Biennale Danza – Venezia, MAXXI – Roma. Dal 2001 Kinkaleri ha sede operativa a Prato nello spazioK, uno degli spazi dell’ex-area industriale Campolmi nel centro storico della città. Dal 2013 lo spazioK è Centro di Residenza Regionale sviluppando percorsi artistici appartenenti ai diversi campi della creazione e rivolti alle giovani generazioni, lo spazio è anche il luogo di is it my world? E Body To Be serie di appuntamenti curati dalla compagnia sulle arti della scena. Il gruppo è formato attualmente da Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti

“Scene da Faust” al Fabbricone di Prato

Da domani a domenica 19 maggio, al Teatro Fabbricone di Prato debutterà “Scene da Faust” di Johann Wolfgang Goethe, nella versione di Fabrizio Sinisi e la drammaturgia di Federico Tiezzi.

In “Scene da Faust” il testo goethiano risulta proiettato verso gli schemi del teatro epico: la prima parte del mito di Faust – sapiente studioso di teologia, filosofia e scienze naturali che vende l’anima a Mefistofele firmando col sangue un contratto in cambio di nuove conoscenze, potere e giovinezza – sarà costituita da dodici scene, dove risulta centrale la figura di Mefistofele (Sandro Lombardi), che si pone come il doppio speculare di Faust (Marco Foschi), la sua metà, il suo alter ego e, freudianamente, la proiezione del suo inconscio.

La scena è occupata dal dramma della conoscenza: l’insoddisfazione per un sapere vecchio, inefficace e inadatto a soddisfare le istanze conoscitive dell’uomo, non più capace di concepire e spiegare il mondo e i suoi fenomeni sulla base della verità religiosa. Nello stesso tempo vi è un’indagine sui moventi del desiderio e del sentimento, nell’esplorazione del rapporto tra Faust e Margherita (Leda Kreider), ma anche del rapporto tra Faust e Mefistofele, immaginato come un rapporto di ‘amanti’ (si ama se stessi nell’altro), di esseri interdipendenti che si scambiano i ruoli, come due facce della stessa medaglia.

“Questo spettacolo – afferma il regista – parla della crisi della soggettività, della crisi dell’io nel suo rapporto con la realtà, in special modo quella storica e naturale. Una rivisitazione degli elementi costitutivi dello Sturm und Drang alla luce della contemporaneità”.

Ultima nuova produzione del Teatro Metastasio di Prato per questa stagione, realizzata con la Compagnia Lombardi-Tiezzi in collaborazione con Teatro Laboratorio della Toscana e Manifatture Digitali Cinema Prato, “Scene da Faust” vede in scena Sandro Lombardi, Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Nicasio Catanese, Valentina Elia, Fonte Fantasia, Marco Foschi, Francesca Gabucci, Ivan Graziano, Leda Kreider, Luca Tanganelli, Lorenzo Terenzi. Le scene e i costumi sono di Gregorio Zurla. Il coreografo è Thierry Thieû Niang, mentre il lavoro sulle voci è affidato a Francesca Della Monica. Allo spettacolo partecipano inoltre alcuni attori del Laboratorio Teatrale della Toscana.

Lo spettacolo sarà in tournée nella prossima stagione toccando molte città tra cui, Siena, Pistoia, Lugano, Napoli, Modena, Milano.

Domenica 12 maggio a fine replica sul palco del Fabbricone ci sarà l’ultimo incontro del ciclo “Lo spettatore attento” con il critico Gianfranco Capitta, che approfondirà i temi dello spettacolo insieme al regista.

Anagoor omaggia Eschilo con l’Orestea al Fabbricone

Dal 12 al 17 marzo al Teatro Fabbricone di Prato, per meditare sul valore del cambiamento e sulla pratica della giustizia, sul male e sulla fragilità del bene, Anagoor rende omaggio al teatro del pensiero di Eschilo, e racconta l’epopea di un mondo in rivolta quale quello descritto ne l’Orestea utilizzando le tecniche sceniche della visione, del canto e dell’orazione.

I Greci hanno inventato l’idea che l’essere finisca nel niente, sprofondando per sempre l’Occidente nel dolore. La filosofia nasce per portare rimedio a questo dolore che sta alla base dell’Occidente: per noi ogni cosa che muta transita per una fine assoluta, un annientamento totale che ci toglie il fiato e ci rende folli. La conseguenza tremenda di questa follia è che ogni esistenza percepisce la minaccia dell’annientamento ed è pronta a osare tutto.

Eschilo, con il suo teatro che inizialmente è pratica filosofica, è il primo nella storia a dire no per mezzo del pensiero, un no assoluto a questo dolore.
Oggi a noi mancano categorie in grado di farci percepire la scossa del sacro con cui il cittadino ateniese assisteva alle rappresentazioni tragiche.

Anagoor affronta l’Orestea di Eschilo a partire da questa distanza incommensurabile.

Il re di Argo torna dalla guerra vittorioso e carico di ricchezze. L’Orestea si apre con un capitolo tremendo, l’Agamennone, che non nasconde le colpe di un potere che per conseguire i propri obiettivi non evita di sacrificare i beni più preziosi, la felicità, gli affetti più cari.

Il trono di Argo si erge su un cumulo di cadaveri di figli: il cumulo delle ricchezze ricavate dalla conquista è prezzo pagato con il sangue. Su questo coacervo di violenza pregressa e continua, che vede nello scambio di valori (ori/esistenze) il suo primo motore, l’errore primigenio, si innesta una catena di episodi cruenti dettati della cultura della vendetta e che, esplodendo furiosamente in seno alla famiglia, formano la trama dolorosa dell’Orestea: un padre uccide la figlia, una sposa uccide lo sposo, un figlio uccide la madre.

L’Occidente, di cui questa trilogia costituisce una pietra miliare, poggia sulla frana di una casa. Un precipizio che per essere arrestato richiede una sospensione straordinaria, un enorme sforzo di civiltà, un atto divino o di pensiero: il culmine del pensiero, o Zeus, è il vertice a cui aggrapparsi nel vortice della follia.

Il teatro di Eschilo è un teatro del pensiero, anello di congiunzione tra mito, festa ed esercizio della filosofia. Teatro del pensiero come filosofia pratica e collettiva, capace come un giano bifronte di guardare dalla sua posizione aurorale tanto alla notte che precede il sorgere della città, quanto alle contraddizioni sottese alla nascita della politica. Un guardare insieme a occhi aperti l’orrore, l’errore dello scambio dei valori, l’inconciliabilità delle scelte, il sacro che svela le strettoie.
Nel poeta dell’Orestea convivono una radicata fede in un ordine luminoso e la comprensione tremenda dei contrasti della vita: Eschilo è il titano che con sforzo tellurico muove guerra alla montagna olimpica, ma contemporaneamente anche il dio sorridente che stende il palmo come argine al caos: così il dramma è insieme velo e rivelazione del vuoto del mondo.

Maschile e femminile, padri e figli, materno e generazioni, uomini e divinità, mondo di sopra e mondo di sotto, potere e convivenza civile, fortuna materiale e gioie reali, felicità e fragilità del bene, violenza, colpa, sofferenza, e conoscenza hanno, a monte, l’irrisolto orrore per il “non c’è più”, la morte, il non-essere, a valle, la necessità di ripensare al valore del cambiamento e alla pratica della giustizia.
Scritta in una fase cruciale di rivolgimenti politici, l’Orestea è infatti anche la storia di un mondo in rivolta. Di fronte a nodi inestricabili, in assenza di possibili soluzioni, la rivoluzione, che pretende un taglio netto col passato, la tabula rasa, è atto desiderato, sentito come necessario, spesso praticato con inaudita violenza eppure, paradossalmente, capace, nella cecità della furia, di preparare soltanto le condizioni per la rigenerazione del vecchio. Ciò che serve è una conversione collettiva, moto che nasce dall’interno, e i cui esiti non si danno come eterni.
Il testo eschileo è inizialmente assunto nella sua integralità, tradotto espressamente per questa creazione. Tuttavia i nuclei fondamentali del testo sono condensati ed espansi con linguaggi e tecniche cari ad Anagoor (la visione, il canto, l’orazione), fino a tradirlo, affiancandolo o sostituendolo con un arcipelago intertestuale che complica l’orizzonte della meditazione sul male e sulla fragilità del bene, e sulla lingua che li descrive.
Sullo sfondo il discorso ontologico che è l’impalcatura di pensiero di tutto l’Occidente, la sua intima contraddizione e la sua pericolosità; in primo piano la fiducia in una parola persuasiva capace di incanto, che dissolva come nebbia al sole, o domi dolcemente, il dolore che proviene dalla fede assoluta che l’essere finisca nel niente.

anagoor

INFO:

Teatro Fabbricone, via Ferdinando Targetti, 10/8, 59100 Prato

 0574 690962

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“Shakespeare/Sonetti” al Fabbricone di Prato

Al Teatro Fabbricone di Prato ha debuttato ieri, 14 febbraio, lo spettacolo “Shakespeare/Sonetti”, una produzione TPE-Teatro Piemonte Europa, Centro Teatrale Bresciano e Teatro di Dioniso. Sarà in scena fino a domenica 17 febbraio.

Enigma filologico, impenetrabile documento, lettera d’amore a un destinatario sconosciuto, i Sonetti di Shakespeare diventano qui a pieno titolo uno dei testi teatrali shakespeariani: forse l’unico vero monologo maschile della sua teatrografia.

L’ordine dei componimenti viene ricostruito in una nuova lingua e una nuova drammaturgia, un complesso romanzo d’amore con quattro figure e una sola voce: con il Narratore dei Sonetti Shakespeare crea infatti uno dei suoi grandi protagonisti, un personaggio clownesco e sboccato, straziante e disperato, di allucinata modernità.

Una fra le più complesse e grandiose opere di poesia dell’età moderna diventa in questo spettacolo un altare sacrificale, un evento di grazia e furore, canto e lamento, beffa e bestemmia, che anticipa i grandi canzonieri d’amore del Novecento, da Auden a Pasolini, da Salinas a Testori.

Con Shakespeare/Sonetti Valter Malosti torna dopo molti anni a collaborare con Michela Lucenti e il suo gruppo di lavoro, fra i più importanti e riconosciuti ensemble di teatro-danza contemporanei, e conclude così la sua trilogia sullo Shakespeare ‘non teatrale’ iniziato con Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia.

INFO:

Teatro Fabbricone, Via Ferdinando Targetti, 10/8, 59100 Prato

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Nina’s Drag Queens al Fabbricone con “Queen Lear”

Da martedì 22 a domenica 27 gennaio al Teatro Fabbricone di Prato arriva Queen Lear, una tragicommedia musicale en travesti ispirata a Re Lear di Shakespeare, diretta e interpretata dalle Nina’s Drag Queens.

Nato da un’idea di Francesco Micheli, scritto dalla drammaturga inglese Claire Dowie e musicato dal compositore italiano Enrico Melozzi, lo spettacolo è coprodotto dal Teatro Metastasio di Prato insieme a Aparte Soc. Coop. e a Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano.

Attrici, danzatrici e imitatrici, partendo dal genere della rivista e dell’happening performativo le Nina’s Drag Queens manipolano il già esistente con ironia dissacrante e comicità grottesca, lavorano per associazione di idee, per costruzioni di immagini che dialogano con altre immagini, con il playback e il citazionismo, non rappresentando tanto il femminile, quanto la forma del femminile, l’immagine della donna prima che la donna, le sue piccole e grandi frenesie, gli eccessi, il sentimento nascosto.

Inserendosi nel percorso di rilettura e riscoperta dei classici teatrali che ha contraddistinto il loro lavoro negli ultimi anni (due stagione il Met ha ospitato il cabaret agrodolce DragPennyOpera, che rileggeva L’opera del Mendicante di John Gay), Queen Lear è uno spettacolo popolare e alto al tempo stesso, che prende forza dalle contaminazioni tra i generi facendo dialogare la musica classica con composizioni musicali originali, pop e elettroniche e trasformando i blank verse in poesie, rap, melologhi e canzoni, con la maschera postmoderna, eclettica e eccessiva della drag queen a declinare al contemporaneo il fool shakespeariano.

La tragedia shakespeariana viene calata nella realtà contemporanea, dove i castelli sono monolocali e le brughiere ospizi, dove la pazzia è demenza senile e le guerre si combattono a colpi di citazioni pop.

La storia è infatti quella di Lea Rossi, emigrata durante gli anni ’70 nel Regno Unito, dove ha aperto un negozio di giocattoli, la cui insegna recita “Lea R.”. Il tempo è passato e per l’anziana signora è giunto il momento di chiudere l’attività. Alle prese con il decadimento fisico e la senilità, si scontra con le tre figlie e la fedele amica Kent, che cercano di prendersi cura di lei. In questo mondo, come grandi squarci, si aprono le visioni epiche della vecchia “regina”.

Queen Lear raccoglie temi scomodi del nostro tempo – la vecchiaia, l’integrazione, la malattia e la morte – uniti al racconto di un dramma familiare che riflette quello di una società disgregata, nella quale i padri lasciano in eredità ai figli un futuro più incerto e cupo di quello che hanno ricevuto.

Intorno allo spettacolo, venerdì 25 gennaio a fine replica sul palco del Teatro Fabbricone, il critico ATTILIO SCARPELLINI contestualizza il lavoro delle Nina’s Drag Queens e approfondisce i temi dello spettacolo in un incontro del ciclo LO SPETTATORE ATTENTO.

A seguire, è previsto un DJ SET a cura delle Nina’s ad ingresso libero, con la partecipazione degli iscritti al Laboratorio intensivo di teatro en travesti MAMMA MIA!, previsto nei giorni delle repliche pratesi.

Nina's

INFO: Fabbricone (Via Targetti 10/12, 59100 Prato )

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Al Fabbricone arriva Katie Mitchell con “La maladie de la mort”

Da martedì 20 a venerdì 23 novembre alle ore 20.45 al Teatro Fabbricone, l’acclamata regista britannica Katie Mitchell, tra le più innovative e trasgressive della scena europea, presenta “La maladie de la mort”, una rilettura in chiave cinematografica dell’opera omonima di Marguerite Duras, provocatoria e perturbante, portata sulla scena da Laetitia Dosch Nick Fletcher, con la voce narrante di Jasmine Trinca, in una grande coproduzione internazionale cui partecipa anche il Teatro Metastasio di Prato. Lo spettacolo, in lingua francese e italiana sovratitolato in italiano, è consigliato ai maggiori di 18 anni.

 

Profonda esplorazione dell’intimità, del genere, della pornografia e del sesso, la pièce racconta l’impossibilità d’amare insinuandosi nel legame inquieto di un uomo e una donna che, in una stanza d’hotel, stabiliscono una relazione sessuale perversa basata sulla dominazione maschile senza riuscire a entrare in autentica intimità, emotiva e carnale. Lui vorrebbe imparare a amare, a conoscere un corpo femminile, e paga lei per soddisfare tutti i suoi desideri. Notte dopo notte la osserva, indagandola, cercando il suo segreto, annaspando nella violenza di un’intimità negata. Ma nulla può unire il divario che separa l’uomo e la donna, sono inconciliabili, è questa la “malattia della morte” di cui parla la Duras.

 

Mantenendo la dimensione misteriosa da thriller psicologico in cui già la Duras aveva inserito il confronto uomo-donna, nella riscrittura di Alice BirchKatie Mitchell restituisce la profondità del divario tra maschile e femminile imprimendo alla scena una lettura “cinematografica”. Sul palco è di fatto allestito un vero e proprio set, con tre macchine da presa che seguono morbosamente, in presa diretta, la dinamica tra i due protagonisti mostrandola al pubblico filtrata attraverso gli occhi di lui, in un gioco di rimandi e visioni con regole voyeristiche.

 

«La storia è stata scritta nel 1982 da Marguerite Duras. La giovane drammaturga Alice Birch ne ha data una nuova interpretazione – dichiara Katie Mitchell – Nel testo originale si tratta prevalentemente del punto di vista dell’uomo, invece qui si tratta soprattutto del punto di vista della donna: com’è essere la vittima di quel tipo di uomo? Volevamo usare le telecamere nello spettacolo per capire come l’uomo scruta il corpo della donna, interrogarci su come il suo corpo appare all’uomo, bilanciare il punto di vista maschile con il punto di vista femminile. Nelle prove abbiamo lavorato, ripresa dopo ripresa, su ogni singolo passo del testo. È stato un processo molto lento. Volevo offrire qualcosa che sapevo essere al di fuori di uno spettacolo teatrale “normale”. Così, quando lo guardi, in basso vedi “il teatro”, e in alto vedi sugli schermi le riprese che mostrano come quell’uomo che stai guardando sta scrutando il corpo della donna proprio in quel momento».

 

Intorno allo spettacolo, sabato 24 novembre alle ore 16 nella saletta conferenze del Met, il critico Marco Menini contestualizza il lavoro dell’artista e approfondisce i temi dello spettacolo in un incontro di ‘riflessioni’ del ciclo LO SPETTATORE ATTENTO (su prenotazione a cometa@metastasio.it o 0574/27683, dal lunedì al venerdì in orario 9.30/13.00).

 

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