Al Teatro Fabbricone arriva la grande letteratura con Il Giocatore

Da giovedì 8 a domenica 11 febbraio (feriali ore 20.45, sabato ore 19.30, domenica ore 16.30), al Teatro Fabbricone la grande letteratura si fa teatro con Il Giocatore, tratto dal romanzo di Fëdor Dostoevskij, riletto e adattato da Vitaliano Trevisan per la regia di Gabriele Russo.

I tintinnii delle slot, la pallina che gira nella roulette, il fruscio delle carte e il rumore più assordante, quello delle pulsioni dei personaggi ossessionati dal gioco, sono gli elementi che popolano la spirale fatta di azzardo, di passioni e di compulsioni dello spettacolo. La rilettura metaforica e contemporanea di Trevisan e la regia di Gabriele Russo, in bilico tra dramma e commedia, trasportano il romanzo in un’ambientazione atemporale. In questa atmosfera la figura della baboulinka ricorda quella odierna di una vecchina, sola, in preda al vizio del gioco; e il giocatore assomiglia a un giovane perso in un video poker.

Lo spettacolo è una catarsi non lineare in cui le storie del protagonista Aleksej e di Dostoevskij si fondono l’una nell’altra intrecciando tre diversi piani narrativi: da una parte c’è la vita dello scrittore indebitato a causa del gioco e con in pendenza un accordo con l’editore Stellovskij, nel quale c’è l’impegno a cedergli per nove anni i diritti delle sue opere, anche quelle future, nel caso non riesca a produrre un nuovo libro da dare alle stampe entro il novembre del 1866 (tratta dalle Note biografiche reali della vita di Fëdor Dostoevskij, anche lui perso nel vizio del gioco). In scena, quindi, assistiamo al dissidio dello scrittore che, preso dalle scadenze e dai tormenti passionali, sembra incapace di poter rispettare gli impegni. Solo grazie all’intervento di Anna Grigor’evna, una stenografa assunta per velocizzare la stesura del romanzo, riuscirà a portare avanti la storia e alla fine a tenere fede al contratto.

Il secondo piano narrativo è dato dalla genesi del romanzo stesso e della storia. Gabriele Russo ce lo fa vivere quasi come se fosse un viaggio nella mente e nella fantasia dello scrittore, con Dostoevskij e la Grigor’evna a intervenire tra gli attori per mettere a punto la stesura e correggere punti che non vanno.

Il terzo piano è quello della storia stessa, drammatica, in cui operano personaggi persi nelle loro debolezze e nei loro vizi, incatenati da amori improbabili e il diabolico gioco della roulette di “Roulettenbourg” (un luogo non meglio precisato in Germania, forse Wiesbaden) destinati a vivere una vita in bilico tra debiti, amori solo di convenienza e dipendenza dalla fatidica pallina, che oltre a scorrere da un numero all’altro, con il pathos di chi mette in gioco la propria vita, scorre anche sul destino di ognuno dei personaggi, incapaci di vedere l’ineluttabile buio alla fine del tunnel che li sta avvolgendo.

«Il gioco non è solo l’oggetto centrale dell’opera, ma è presente –spiega Gabriele Russo – in forma di metafora o di allusione, ovunque. È nelle relazioni ossessive tra i personaggi, nei continui “rilanci” a cui le circostanze li costringono, nelle vane speranze a cui sono aggrappati e che li fanno stare sospesi; come si è sospesi quando si è in attesa che la pallina cada sul rosso o sul nero. Così si arriva alle analogie con l’oggi e con ciò che è il gioco d’azzardo nella nostra società: quando vedremo la baboulinka o il giocatore perdere tutti i loro soldi al casinò, forse per un attimo ci dimenticheremo che si tratta dei personaggi di Dostoevskij e vedremo, più genericamente una vecchina, sola, in preda al vizio del gioco o un giovane compulsivo perso in un video poker. Per amplificare e sostenere il dialogo con l’oggi senza perdere il rapporto con il testo e con la narrazione, ho scelto un’ambientazione che fosse “atemporale”, creata da contaminazioni fra passato e presente, antico e moderno; questo vale per la scena, per i costumi, per le musiche e, naturalmente, per il linguaggio».

 

 

Prato, ‘Biancaneve’ ad inaugurare la stagione di MET Ragazzi

Lo spettacolo della compagnia del Teatro del Carretto domani al Teatro Fabbricone, nel pomeriggio. Prima e dopo lo spettacolo il servizio MET Ragazzi Merenda

Ad inaugurare la rassegna MET Ragazzi 2017/2018 al Teatro Fabbricone domani, sabato 18 novembre, alle ore 17.00 ci sarà Biancaneve, primo spettacolo allestito dal Teatro Del Carretto nell’83, quasi un Manifesto della poetica teatrale della Compagnia, con attori e creature in cartapesta, oggetti smisurati o lillipuziani, parola e brani del melodramma, voci e rumori, luci, superfici e colori a trasformare il tessuto narrativo della fiaba dei fratelli Grimm in gioco scenico.

Sulla traccia drammaturgica di Maria Grazia Cipriani che segue fedelmente la fiaba dei Grimm, la scena si apre su una meravigliosa scatola teatrale che all’inizio si presenta come un normale teatro di marionette e che poi si apre come un armadio magico, svelando scomparti, celando trabocchetti, rinnovando continuamente e simultaneamente l’idea di palcoscenico.

È lì che appaiono la grande Matrigna, impersonata da una vera attrice – Elena Nené Barini -, e una microscopica Biancaneve, i nani a grandezza naturale che arrivano a sorpresa dal fondo sala per diventare piccolissimi, e poi teste, paesaggi, personaggi veri, oggetti misteriosi di grandezza spropositata, e la miniera dei nani, tutte opere d’arte create da Graziano Gregori, che prendono vita nelle mani – nascoste e sapienti – di Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani e Jonathan Bertolai.

“Biancaneve, nato in assoluta ingenuità e libertà creativa, è già un contenitore di segni di quella che possiamo dire nostra poetica – afferma Maria Grazia Cipriani. L’incontro tra l’essere umano e l’inanimato (chi dei due è più vero?); la maschera quale elemento distintivo di una ricerca rivolta a un teatro non realistico; il gioco delle proporzioni tra gigantografia e miniatura; musica, suono e parola come ritmo interiore; spazio scenico e costumi che vanno oltre ogni descrizione naturalistica… Segni tutti proporzionati al disegno drammaturgico.”

Il servizio Met Ragazzi Merenda sarà attivo quest’anno prima e dopo lo spettacolo del cartellone con le appetitose merende proposte da I Frari delle Logge.

La compagnia Scimone Sframeli porta ‘Amore’ al Fabbricone di Prato

Lo spettacolo vincitore di due premi Ubu nel 2016 in scena a Prato fino a Domenica 12 Novembre

Sarà la Compagnia Scimone Sframeli – una delle poche realmente indipendenti e senza teatri riconosciuti alle spalle, che ha inventato una narrazione surreale e visionaria del presente e dell’io contemporaneo, forte di una rielaborazione in chiave originale delle esperienze letterarie e drammaturgiche che hanno segnato il Novecento, da Beckett a Pinter – a portare AMORE al Teatro Fabbricone, da domani a domenica 12 novembre, uno spettacolo vincitore dei premi Ubu 2016 “Miglior allestimento scenico” e “Novità o nuovo progetto drammaturgico” e finalista come “Miglior spettacolo dell’anno” (feriali ore 20.45, sabato ore 19.30, domenica ore 16.30).

Scritto da Spiro Scimone, Amore vede in scena quattro personaggi: una coppia di vecchietti (lo stesso Spiro Scimone e Giulia Weber, una novità perché, anche se l’elemento femminile è sempre centrale in tutti i lavori precedenti, questa è la prima volta che si vede in scena un’attrice) che, tra pannoloni da cambiare, creme da spalmare e dentiere da lavare, con ironia e amari motivi comici, si accudiscono ancora teneramente, dopo anni di convivenza; e una coppia omosessuale, il comandante (Francesco Sframeli) e il pompiere (Gianluca Cesale) che, dopo decenni di amore clandestino, di incontri segreti e mai soddisfacenti, si sono stancati di nascondersi e allora si baciano, si abbracciano, fino a giungere insieme sulla soglia del silenzio.

Quattro figure che non hanno nome e si muovono tra le tombe di un cimitero, in un tempo sospeso dove la vecchiaia è una condizione rovesciata della vita, dove tutto si fa ricordo e la partita si gioca tra le occasioni mancate e l’estrema possibilità di soddisfare il proprio desiderio. “Queste due coppie sono vicine alla morte, ma con leggerezza infantile parlano di quello che hanno provato da giovani e di ciò che forse non è ancora perduto”  spiega Spiro Scimone.

Entrambe le coppie si abbandonano ai ricordi, creando un universo parallelo abitato da memorie, rimpianti e occasioni perse “quando eravamo giovani”, giocose affettuosità, dimenticanze e amari sorrisi, con dialoghi quotidiani e surreali, ritmi serrati che intercettano relazioni, attenzioni e richieste fisiche che celano necessità sul limite tra la verità e la tragedia del quotidiano. L’intimità è scandita al ritmo di parole ripetute e ossessive che delineano dettagli di familiarità domestica, ormai trasfigurati dalla nebbia della vecchiaia.

Il tema che si dispiega fino a scendere negli angoli più nascosti, teneri, patetici e tragicomici dell’umano è la poeticissima consapevolezza del limite, ovvero del corpo e della morte: l’Amore allora è una condizione estrema e, forse, eterna.

Info Teatro Metastasio – tel 0574 608501 www.metastasio.it

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