Jonathan Jeremiah, “Horsepower for the streets”. Disco della settimana.

Un viaggio nel soul cinematico più denso e sofisticato. Con il sontuoso «Horsepower for the streets» l’anglo/indiano/irlandese Jonathan Jeremiah potrebbe finalmente raggiungere il grande pubblico.

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Londinese, anglo indiano per parte di padre e irlandese per parte di madre,   Jonathan Jeremiah è apparso sulle scene nel 2011 ed ha già cinque album all’attivo. Artefice di un sofisticato, elegantissimo sound in bilico tra il soul contemporaneo (alla Michael Kiwanuka, per capirci), classici della tradizione black (Terry Callier e Bill Withers su tutti) e il tocco cinematografico di compositori come Lalo Schifrin o il grande John Barry, stimatissimo da colleghi e addetti ai lavori, con «Horsepower for the streets» mostra invece di avere tutte le carte in regola per arrivare al grande pubblico.

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Scritto a Saint-Pierre-De-Côle, nelle vicinanze di Bordeaux, durante le pause del primo tour che lo ha portato in giro per la Francia, è stato registrato a Bethlehemkerk, una chiesa restaurata di Amsterdam, assieme ai venti elementi dell’orchestra d’archi della Amsterdam Sinfonietta. Anticipato da una manciata di singoli, il disco, sofisticato, elegantissimo, ricco di groove e riferimenti agli anni ’70 più cinematici è composto da 11 brani ed è il nostro “Disco della settimana”.

Curtis Harding “If Words Were Flowers”. Disco della settimana.

L’artista di Atlanta, Curtis Harding, presenta il nuovo album ‘If Words Were Flowers’ in uscita su Anti- Records, una sontruosa parata di brani a cavallo fra rock, soul, funk, psichedelia, folk, R’&’B’ sulla linea immaginaria che unisce Curtis Mayfield a Michael Kiwanuka.

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Scritto e registrato nel corso dei due tumultuosi anni appena passati, ‘If Words Were Flowers’ è un bouquet vivace e inebriante, vario ed affascinante. Attingendo a soul vintage, R&B, hip-hop, garage rock e psichedelia, le canzoni sono sincere e grintose, alimentate da ritmi serrati, sezioni di fiato intense e dalla produzione avventurosa di Harding e Sam Cohen (Kevin Morby, Benjamin Booker).

“Nina Simone disse che il compito dell’artista è quello di riflettere il proprio tempo,” spiega Harding. “Penso che sia importante vivere il momento in cui si è. Se lo fai e sei onesto e sensibile, puoi entrare in contatto con le persone che hanno bisogno di essere raggiunte.”

Parlando delle ispirazioni dell’album, Curtis racconta che sua madre era solita dirgli, “Regalami i fiori mentre sono ancora qui”. La frase è rimasta impressa nella mente del talentuoso cantante e poli-strumentista, un monito a mostrare amore e apprezzamento alle persone che gli sono care prima che sia troppo tardi.

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Riflette Harding “Questo è l’album. Sono io che regalo fiori al mondo, a chiunque abbia bisogno di ascoltare cosa dicono queste canzoni in questo momento.”

Anche nel 2017 Harding aveva fatto squadra con Cohen per l’album Face Your Fear, arricchito dalla presenza e collaborazione con il super produttore Danger Mouse. Il successo del disco lo ha portato a suonare con gente del calibro di Jack White e Lenny Kravitz, a partecipare a famosi festival tra cui Newport Folk, Lollapalooza, e Austin City Limits, e ad ottenere i 60 milioni di streaming su Spotify.


“Curtis Harding is an artist who has raised soul revivalism to an art form.” – Soul Tracks

“Curtis Harding captures the unshakable energy of a 1960s groove”Consequence
“With elements of psych rock, hip-hop, soul and funk, Harding’s new tune effortlessly combines warm, vintage sounds with impeccable contemporary production, and the result is infectious.” – Cool Hunting
“A great tsunami mixing gospel, soul, r & b. Even with a “Hendrix” guitar. Sumptuous.” – Liberation (FR)
“The great comeback of a soul genius” – Numéro (FR)
“This is pure soul magic” – Rob Da Bank, BBC Radio 1 (UK)
“Hopeful is a powerful reflection on the past 12 months that sits on a par with other conscious soul masterpieces by Curtis Mayfield, Isaac Hayes and more recently Michael Kiwanuka and Childish Gambino. It’s goosebump-inducing stuff. Great video, too…” – The New Cue (UK)

‘If Words Were Flowers’ è il nostro Disco della settimana.

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Tracklist:

1. If Words Were Flowers
2. Hopeful
3. Can’t Hide It
4. With You
5. Explore
6. Where Is The Love
7. The One
8. So Low
9. Forever More
10. It’s A Wonder
11. I Won’t Let You Down

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats, Disco della settimana.

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The Future di Nathaniel Rateliff & The Night Sweats è il nostro Disco della settimana. Southern soul, country cosmico, gospel bianco, echi della Stax (non a caso l’etichetta che pubblica il lavoro). Suoni in stile Muscle Shoals Studio, schegge di Dylan, Van Morrison e The Band e uno staff produttivo assolutamente contemporaneo e di prim’ordine.

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats hanno appena pubblicato il terzo album in studio The Future per Stax Records/Universal. Registrato nel nuovo studio di Rateliff in Colorado, The Future è prodotto da Bradley Cook (Bon Iver, Kevin Morby, The War On Drugs) insieme a R.M.B. ossia il trio di produttori composto dallo stesso Rateliff, da Patrick Meese (The Night Sweats) e da James Barone (Beach House). La stessa squadra vincente di And Its Still Alright, l’acclamato album solista uscito nel 2020. Il musicista, ingegnere del suono e produttore Elijah Thompson (Father John Misty, Richard Swift) ha contribuito alla produzione finale mentre Jenny Lewis, Jess Wolfe (Lucius) e Amelia Meath hanno partecipato come ospiti all’incisione dell’album.

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats sono: Rateliff (voce e chitarra), Joseph Pope III (basso), Meese (batteria e percussioni), Luke Mossman (chitarra), Mark Shusterman (tastiere), Andreas Wild (sax), Daniel Hardaway (tromba) e Jeff Dazey (sax).

Rateliff è nato a St. Louis, nel Missouri, il 7 ottobre 1978. È cresciuto nelle zone rurali del Missouri, imparando a suonare la batteria all’età di sette anni e unendosi alla banda evangelica della sua famiglia. Quando Rateliff aveva 13 anni, suo padre morì in un incidente d’auto. Da autodidatta ha iniziato a scrivere le sue canzoni alla chitarra. A diciotto anni, Rateliff si trasferì a Denver, Colorado, da missionario, lì intraprese infine la carriera di musicista. Dal 2013 Nathaniel Rateliff si esibisce con i Night Sweats approdando alla leggendaria Stax.

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Tracklist:
1. The Future
2. Survivor
3. Face Down In The Moment
4. Something Ain’t Right
5. Love Me Till I’m Gone
6. Baby I Got Your Number
7. What If I
8. I’m On Your Side
9. So Put Out
10. Oh, I
11. Love Don’t

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Disco della settimana: Introducing… Aaron Frazer

Dopo la pausa festiva torna la rubrica “Il Disco della settimana” con ‘Introducing …’. Esordio di Aaron Frazer (già con Durand Jones & The Indications), prodotto da Dan Auerbach dei Black Keys, uscito l’8 gennaio per Dead Oceans

L’esordio solista di Aaron Frazer è un album di dolcissimo soul prodotto dal grande Dan Auerbach dei Black Keys, anticipato le settimane scorse dai singoli ‘Bad News’ e ‘Over You’, oltre che dal nuovo ‘I Got It’.

Aaron Frazer è il batterista e corista dei Durand Jones & The Indications, band che in tempi recenti ha dato nuova linfa e vigore ad uno dei più classici sound americani. ‘Introducing …’, esordio di Aaron, è una co-produzione in uscita per Dead Oceans e Easy Eye Sound, label fondata dallo stesso Auerbach.

Un vero e proprio testamento di gratitudine verso i grandi artisti soul che hanno definito il suo gusto e influenzato lo stile (con un occhio di riguardo per le atmosfere soft alla Brenton Wood). ‘Introducing …’ combina la passione di Aaron per il grande soul degli anni ’70 con la particolare sensibilità produttiva di Dan Auerbach, con influenze disco, gospel e doo-wop.

Il disco è stato prodotto in una settimana presso lo studio di Dan Auerbach a Nashville con una band di turnisti incredibili. Alle registrazioni hanno partecipato il percussionista Sam Bacco, membri del mondo Daptone e Bg Crown e turnisti che avevano partecipato alla registrazione di classici come ‘Son of A Preacher Man’ di Dusty Srpingfield e ‘You Make Me Feel Like A Natural Woman’ di Aretha Franklin.



Album info: https://deadoceans.com/records/introducing

 

Disco della settimana: Bette Smith “The Good, The Bad and The Bette”

Rock, Garage, Soul e Southern Soul, attitudine e personalità da vendere nel secondo album di Bette Smith, esuberante ed energica soul singer newyorkese.

“The Good, The Bad and The Bette”, registrato a Water Valley, Mississippi, affonda le radici nell’infanzia trascorsa nel quartiere Bedford-Stuyvesant di Brooklyn: la musica gospel che l’artista ha inserito nel suo ultimo progetto l’ascoltava in chiesa da bambina, mentre il soul risuonava per le strade affollate della cittadina americana.

Nella registrazione la Smith è stata supportata da professionisti di prim’ordine come il produttore Matt Patton dei Drive-By Truckers, famoso per le sue collaborazioni con Jimbo Mathus e Dom Flemons, e dall’eccellente ingegnere del suono Bronson Tew. Racconta la cantante: “Il sound si è evoluto, all’inizio era solo blues. Ho iniziato ad ascoltare Aretha Franklin e Billie Holiday. Quando ero molto piccola ascoltavo principalmente Mahalia Jackson perché mia madre era molto religiosa. E ha sempre ascoltato lei e Miriam Makeba, che era una cantante sudafricana. Quindi quelle sono le due persone con cui sono cresciuta. Per questo lavoro ho spiegato a Patton la mia visione; volevo un suono tra il southern rock, il soul e Aretha Franklin”. Patton invita alcuni grandi musicisti (ben otto chitarristi!) come ospiti tra cui Luther Dickinson dei North Mississippi Allstars ed il suo collega Patterson Hood (anche lui nei Drive-By Truckers). Aggiunge Patton: “Volevamo la loro parte rock, perfino nelle ballate, e pensavamo a vecchie registrazioni di Ike & Tina Turner, Betty Wright e Betty Davis”. Il risultato finale non è lontano dalle produzioni dei Bellrays di Lisa Kekaula.

Per quello che riguarda la scrittura, la Smith ha scavato a fondo in se stessa per confrontarsi con la sua infanzia: “Ho raccontato a Matt del rapporto con mia madre. I rapporti personali sono diventati il tema centrale dell’album”. La vita dell’artista raccontata quasi cronologicamente: dopo essersi fatta conoscere come la donna forte che oggi, Bette ripercorre gli eventi traumatici ed il vuoto emotivo che per anni ha cercato di riempire con la spensieratezza. Spiega Bette Smith: “La storia raccontata dal punto di vista di una bambina e dopo di un’adulta che porta ancora con sè le cicatrici della sua infanzia. Ma si parla anche di continuare a vivere con speranza, forza ed ottimismo. Dalla maggior parte delle persone vengo percepita come una donna forte e sicura, ma non sanno gli ostacoli ed i traumi che ho dovuto affrontare”. Infine, ‘Human’ è dedicata al suo cane che si merita anche la presenza in copertina, “per avermi insegnato, tra fiducia e vulnerabilità, ad amare incondizionatamente”.

 

Disco della settimana: Monophonics “It’s Only Us”

Da San Francisco, i Monophonics danno alle stampe un nuovo episodio di quello che chiamano “Psychedelic Soul”. Una sorta di risposta westcoastiana alle produzioni della Daptone Records.

 

Nati come band strumentale, si cimentano già nel precedente “Sound of Sinning” del 2015 con brani vocali, e così nel nuovo album “It’s Only Us” appena uscito per Colemine Records.  Sui palchi da 15 anni, Al Bell (produttore, songwriter, executive, e comproprietario della leggendaria Stax Records) li ha definiti “una delle migliori band soul che io abbia mai visto”. Nel nuovo disco trasformano suggestioni tipicamente 60’s in un accattivante soul bianco, soft, cinematico e vagamente psichedelico. Il frontman dellla band, Kelly Finnigan, raffinato cantante e virtuoso dell’organo, è figlio d’arte: sup padre Mike è stato session man con artisti del calibro di Jimi Hendrix, Leonard Cohen, Taj Mahal o Rod Stewart.

I Monophonics “storici” sono Austin Bohlman (Drums), Myles O’Mahony (Bass/Background Vocals), Ian McDonald (Guitar/Background Vocals), Ryan Scott (Trumpet/Back- ground Vocals/Percussion) & Kelly Finnigan (Keys/Lead Vocals) attorno ai quali ruotano altri elementi alla sezione fiati.

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