Da venerdì 10 a domenica 12 gennaio al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ I Nuovi con “Il Quartiere”

Dopo “Le ragazze di Sanfrediano”, i Nuovi tornano a far vivere le nitide e poetiche parole di un romanzo di Vasco Pratolini, che si rivela ancora essere affascinante materia teatrale, capace di raccontare un Novecento che è favola e realtà dei nostri tempi.

Le pagine del romanzo “Il Quartiere” conservano le tensioni che alimentano una stagione della vita e un’epoca della nostra storia. Ma se le epoche cambiano e si trasformano, le stagioni si ripetono sempre uguali attraverso le generazioni, con speranze, dolori e conflitti che riconosciamo comuni nelle storie di ognuno di noi.

I ragazzi protagonisti di questo racconto sono le “creature comuni” di un quartiere di Firenze, cresciuti negli anni che dividono le due grandi guerre: oggi, quel Quartiere non esiste più. Ed è forse questa la nota più vivace: quell’isolato di case strette e connesse tra loro, come le vite che lo animavano, ha cambiato faccia, e così noi, solo pochi decenni dopo, ci riconosciamo diversi. Valerio, Maria, Giorgio, Marisa, Olga, Luciana, Carlo e Gino sono ragazzi con i nostri stessi corpi e sentimenti, storditi, come noi, dalle ansie per il futuro, ma che esplorano, dalle finestre e dalle strade del loro microcosmo, i turbamenti di ogni generazione. Il Quartiere è il mondo, dove “anche l’aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate” e solo riconoscendosi uniti si ritrova la speranza di riuscirci.

L’adattamento del romanzo è messo in scena dalla compagnia I Nuovi: Anastasia Ciullini, Maddalena Amorini, Nadia Saragoni, Claudia Ludovica Marino, Erica Trinchera, Alessandra Brattoli, Maria Lucia Bianchi, Federica Cavallaro, Fabio Facchini, Filippo Lai, Lorenzo Volpe, Ghennadi Gidari, Athos Leonardi, Davide Arena, Sebastiano Spada. Una produzione Fondazione Teatro della Toscana.

Prenotazioni e informazioni 055.7351023 -teatrostudio@teatrodellatoscana.it

 

Al Teatro della Pergola va in scena la commedia “Ditegli sempre di sì”

Da domani  fino al 5 gennaio, Roberto Andò dirige Gianfelice Imparato, Carolina Rosi e la Compagnia Luca De Filippo in “Ditegli sempre di sì”.

Si tratta di una commedia in bilico tra la pochade e un vago pirandellismo, un congegno bizzarro in cui Eduardo De Filippo si applica a variare il tema della normalità e della follia, consegnando al personaggio di Michele Murri, il protagonista, i tratti araldici della sua magistrale leggerezza.

Via via che ci si avvicina al finale, il fantasma delle apparenze assume un andamento beffardo, sino a sfiorare, nel brio del suo ambiguo e iperbolico disincanto, una forma spiazzante.

“Ditegli sempre di sì” è uno dei primi testi scritti da Eduardo De Filippo. Si tratta di un’opera vivace, colorata, il cui protagonista, Michele Murri, è un pazzo metodico, con la mania della perfezione. Una commedia molto divertente che, pur conservando le sue note farsesche, suggerisce serie riflessioni sul labile confine tra salute e malattia mentale.

Gianfelice Imparato interpreta il ruolo di Michele Murri, Carolina Rosi è sua sorella Teresa, la regia è affidata a Roberto Andò, qui alla sua prima esperienza eduardiana.

“L’intreccio è di una semplicità disarmante – afferma Andò – e si direbbe che l’autore si sia programmaticamente nascosto dietro la sua evanescenza, per dissimulare l’inquietudine e la profondità che vi stava insinuando. Come se ne avesse pudore o paura. Ecco la storia: un pazzo, erroneamente congedato come guarito dal manicomio che lo ha ospitato, torna a casa dalla sorella Teresa e inizia, lucidamente, furiosamente, a sperimentare e stravolgere gli effetti della cosiddetta normalità”.

Una scena di “Ditegli sempre di sì”, commedia diretta da Roberto Andò.

 

La prima versione della commedia risale al 1925, ed è dunque la prima volta che in un lavoro di Eduardo compare il tema della follia. Nonostante il grande successo tributatole negli anni della compagnia Scarpetta prima e nelle stagioni del Teatro Umoristico poi, come altre commedie dei “giorni pari”, “Ditegli sempre di sì”, a un certo punto, venne messa da parte. Probabilmente, per attenuare, dopo la separazione artistica dei due fratelli De Filippo, il ricordo dell’interpretazione di Peppino nei panni di Luigi Strada, lo studente pazzo di teatro. Come il Bernhard di Minetti, anche Eduardo crede infatti che il rapporto tra l’attore e la pazzia sia insito nell’arte drammatica.

“È da notare – osserva Roberto Andò – come, pur facendo molto ridere, a partire da certi anni, “Ditegli sempre di sì” sia stata sempre definita una “commedia dolorosa”. Frutto di successive elaborazioni e, per un certo tempo, nel suo derivare dalla farsa scarpettiana, lasciata aperta all’improvvisazione, Eduardo provvide a darne una versione definitiva e italianizzata in occasione della sua regia televisiva del 1962, in cui, a mio parere, rivestendo ancora una volta i panni del protagonista, si produsse – commenta – in una delle sue più grandi interpretazioni”.

In “Ditegli sempre di sì”, la pazzia di Michele Murri è vera: è stato per un anno in manicomio, e solo la fiducia di uno psichiatra ottimista gli ha permesso di ritornare alla vita normale. Michele è un pazzo tranquillo, socievole, cortese, all’apparenza un uomo normalissimo, ma in verità la sua follia è più sottile, perché consiste essenzialmente nel confondere i suoi desideri con la realtà che lo circonda: eccede in ragionevolezza, prende tutto alla lettera, ignora l’uso della metafora, puntualizza e spinge ogni cosa all’estremo.

 

“Il tema della pazzia ha sempre offerto spunti comici o farseschi, ma di solito – precisa Andò – è giocato a rovescio, con un sano che si finge pazzo. Invece, in “Ditegli sempre di sì”, il protagonista è realmente pazzo, da qui, il dolore e il senso di minaccia che pervadono l’opera. Tra porte che si aprono e si chiudono, equivoci, fraintendimenti, menzogne, illusioni, bovarismi, lo spettatore – continua – si ritrova in un clima sospeso tra la surrealtà di Achille Campanile e un Pirandello finalmente privato della sua filosofia, irresistibilmente proiettato nel pastiche”.

Tornato a casa dalla sorella Teresa, Michele si trova a fare i conti con un mondo assai diverso dagli schemi secondo i quali è stato rieducato in manicomio. Il luogo dove siamo convocati è il tipico interno piccolo-borghese di Eduardo, il salottino, che subito diviene lo specchio scheggiato della follia del protagonista, l’antro in cui la sua mente può elaborare, manipolare, distorcere i ragionamenti e i sofismi di chi gli viene a tiro, scardinandone la fragilità e la vanità.

“Sarebbe facile dire che Michele Murri ci è vicino, e affermare – continua Roberto Andò – che il suo continuo attentare alla logica, il suo modo di vigilare sullo sguardo degli altri, il suo deviare continuo dal senso delle parole e delle intenzioni, assumendone la letteralità, è un filtro che, prima o poi, ognuno di noi ha temuto o desiderato. Come sarebbe anche facile dire che Michele, come ogni pazzo che si rispetti, è un forsennato contestatore della vita e del suo senso. Alla fine – conclude – la questione è la stessa che, anni dopo, il genio di Thomas Bernhard riassumerà in una scarna e micidiale domanda: è una commedia? È una tragedia?”.

(ore 20:45; domenica ore 15:45; riposo lunedì 30 dicembre; martedì 31 dicembre ore 20:30)

Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, Fondazione Teatro della Toscana

Gianfelice Imparato, Carolina Rosi

DITEGLI SEMPRE DI SÌ

di Eduardo De Filippo

con (in ordine di apparizione) Paola Fulciniti, Massimo De Matteo, Edoardo Sorgente, Vincenzo D’Amato, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Viola Forestiero, Boris De Paola, Gianni Cannavacciuolo

scene e luci Gianni Carluccio

costumi Francesca Livia Sartori

aiuto regia Luca Bargagna

aiuto scene Sebastiana Di Gesu

aiuto costumi Pina Sorrentino

regia Roberto Andò

Durata: 1h e 35’, intervallo compreso.

 

055.0763333 –  biglietteria@teatrodellapergola.com.

Al teatro Niccolini dal 26 dicembre “L’acqua Cheta”, commedia in vernacolo fiorentino

Al Teatro Niccolini di Firenze, dal 26 dicembre fino al 4 gennaio, la Compagnia delle Seggiole, capitanata da Fabio Baronti, torna, per il terzo anno consecutivo, con “L’acqua cheta” di Augusto Novelli, per la regia di Spaggiari.

Un allestimento filologico, impeccabile, che riporta l’opera alla sua essenzialità, spogliandola di aggiunte, invenzioni e rivisitazioni che, nel corso del tempo, hanno modificato la forma, il linguaggio e la gerarchia dei personaggi.

L’acqua cheta è da ritenersi il capolavoro di Augusto Novelli: si tratta, senza dubbio, della commedia in vernacolo fiorentino più conosciuta e più rappresentata nei teatri di tutta Italia. Fu messa in scena per la prima volta al Teatro Alfieri di Firenze nel gennaio del 1908 e replicata per 26 sere consecutive, dando il via alla rinascita del teatro dialettale fiorentino, che fino ad allora era rimasto come fuoco sotto la cenere.

Una scena tratta dall'”Acqua Cheta”, diretta da Spaggiari

111 anni fa, nella notte di Capodanno, al Teatro Alfieri si festeggiava, con un banchetto, il grande attore Andrea (Dreino) Niccòli, che si preparava a partire in America con la sua compagnia per una tournée. Il commediografo Augusto Novelli, che si trovava a passare di là, fu invitato sul palco a parlare e riuscì a persuadere l’attore a tentare la fortuna con un nuovo progetto teatrale: una commedia che portasse in America il teatro popolare in vernacolo, impegnandosi a scrivere un atto prima della partenza della compagnia. La commedia debuttò il 29 gennaio, con il titolo “L’acqua cheta”. Fu un successo clamoroso. Da allora, la commedia è stata oggetto di innumerevoli rappresentazioni, sia come lavoro in prosa, sia come operetta (l’adattamento musicale di Giuseppe Pietri è del 1920).

Confermando le intenzioni di Novelli, che voleva realizzare, attraverso  di essa, la propria idea di teatro popolare, il pubblico e le compagnie, che nel corso degli anni l’hanno messa in scena, l’hanno fatta propria, intervenendo sul testo, sulle scene e sui personaggi con tagli e aggiunte, nate dall’improvvisazione degli attori e dal gradimento del pubblico, trattandola, di fatto, come un prodotto di cultura orale. Nella pratica teatrale, oggi, non esiste una sola “Acqua cheta”, ma tante, e tutte  diverse tra loro. E come accade con ogni prodotto della cultura popolare, ci troviamo di fronte, da un lato, a un gran numero di varianti che la rendono proteiforme, dall’altro, a delle consuetudini, nella rappresentazione delle singole scene, così note e amate dal pubblico, che, per quanto non siano ‘scritte’, è difficile pensare di poter intervenire su di esse, per modificarle o rinnovarle.

Alla luce di tali considerazioni, questa commedia così leggera appare carica di sensi diversi. Uno su tutti: quello di rappresentare per i fiorentini, e forse anche per i non fiorentini, quella Firenze che hanno conosciuto o di cui hanno sentito raccontare, che esisteva ‘prima’. Prima dei turisti, prima dell’alluvione, prima della guerra. In ogni caso, prima di un qualche disastro che le ha cambiato i connotati.

 

 

Fondazione Teatro della Toscana

in collaborazione con La Compagnia delle Seggiole

L’ACQUA CHETA

di Augusto Novelli

con Fabio Baronti, Sabrina Tinalli, Carolina Pezzini, Chiara Barcaroli, Luca Cartocci, Andrea Nucci, Carlo Martelloni, Claudio Spaggiari, Marcello Allegrini, Brenda Potenza, Giovanna Calamai, Anna Collazzo

costumi Giancarlo Mancini

realizzati da Pino Crescente

aiuto regia Giovanna Calamai

direttore di scena Daniele Nocciolini

organizzazione Roberto Benvenuti

regia Claudio Spaggiari

Durata: 2h, con due intervalli.

 

055.0763333 – biglietteria@teatrodellapergola.com.

Ciclo incontri ‘Sulla scia dei giorni’: l’architetto Fuksas apre al Teatro della Pergola

Il tema del rispetto sarà il file rouge della quarta edizione del ciclo di incontri ‘Sulla scia dei giorni’, ideato e promosso da Fondazione CR Firenze col Patrocinio del Comune di Firenze, in collaborazione con il Teatro della Toscana. Il programma prevede 14 appuntamenti, fino ad aprile 2020, con personalità che operano in molteplici campi e di diverse competenze chiamati ad esprimersi sul rispetto in vari ambiti della vita personale e collettiva.

Il primo incontro è sabato 16 novembre alle ore 10.30 al Teatro della Pergola (ingresso libero fino a esaurimento dei posti www.fondazionecrfirenze.it) con il noto architetto Massimiliano Fuksas che interverrà sul tema ‘Rispetto e spazi urbani’. Introduce l’incontro Andrea Aleardi, direttore della Fondazione Michelucci.

Gli altri relatori sono: Silvio Orlando (23 novembre), Ludovico Arte (7 dicembre), Luigi Manconi (7 dicembre), Paola Turci (11 gennaio), Stefano Massini (18 gennaio), Mario Perrotta (1 febbraio), Elena Cattaneo (8 febbraio), Walter Veltroni (15 febbraio), Giuliana Sgrena (7 marzo), Elena Pulcini (14 marzo), Maria Gabriella Luccioli (21 marzo), Valeria Golino (4 aprile) e Don Armando Zappolini (18 aprile). Gli incontri si svolgono alle 10.30 al Teatro della Pergola, salvo diversa indicazione.

“Il ciclo di conferenza ‘Sulla Scia dei giorni’ – dichiara il Presidente della Fondazione CR Firenze Luigi Salvadori – si è affermato in questi anni per la sua forte connotazione riflessiva su temi importanti, come quello della responsabilità, della dignità e del limite. Il tema del rispetto, scelto per questa edizione, appare più che mai attuale nel contesto sociale in cui viviamo. Un tema che ha evidentemente interessato anche le personalità che hanno accolto il nostro invito a partecipare in qualità di relatori. E’ un altro segno della nostra capacità di essere sempre più una istituzione che vuole  aiutare il territorio non solo con le erogazioni ma anche con proposte di altro profilo che sanno suscitare domande e interrogativi sui tempi che stiamo attraversando’’.

Teatro della Pergola, ‘I Giganti della Montagna’ inaugurano la stagione

Dal 24 ottobre al 3 novembre Gabriele Lavia inaugura la stagione in abbonamento del Teatro della Pergola con ‘I giganti della montagna’, il testamento artistico di Luigi Pirandello, punto più alto e sintesi della sua poetica. Dopo ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ e ‘L’uomo dal fiore in bocca… e non solo’ Lavia completa la sua personale trilogia pirandelliana con un inno al prodigio straordinario del teatro come speranza, o meglio, una certezza laica, che la poesia non può morire per mano di alcun apparato.

“I Giganti sono gli uomini del fare, mentre il teatro – afferma l’attore e regista – è fatto dagli uomini dell’essere. Luigi Pirandello l’aveva capito molto bene. Perciò, ho voluto come scenografia un teatro distrutto. Distrutto perché ci vogliono costruire degli uffici per organizzare un teatro che non c’è, è morto, ucciso proprio dagli uffici. I Giganti della Montagna è un testo profetico, di cui l’autore non scrisse mai il III e ultimo atto, perché non fece in tempo”.

La scena di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti (Premio Le Maschere del Teatro Italino 2019), le musiche di Antonio Di Pofi, le luci di Michelangelo Vitullo, le maschere di Elena Bianchini, le coreografie di Adriana Borriello, incorniciano la magica opera incompiuta di Pirandello in un allestimento maestoso, con un cast imponente di più di venti attori, anche mimi, danzatori, musicisti. La storia del mago Cotrone al cospetto del mistero dell’Oltre diventa una folle, poetica sarabanda ambientata in un tempo e luogo indefiniti, tra favola e realtà.

Numerosi gli eventi collaterali allo spettacolo. Lunedì 28 ottobre, ore 17, a Palazzo Fenzi, Gabriele Lavia incontra gli studenti universitari con una conferenza dal titolo ‘”Vigliacco chi ragiona”: Lavia, Pirandello e i Giganti’ a cura di Renzo Guardenti. Giovedì 31 ottobre, ore 18, alla Pergola, Lavia e la Compagnia incontrano il pubblico, coordina Matteo Brighenti. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Inoltre, fino al 3 novembre, nella Sala Oro, è aperta la mostra gratuita Il figlio del Caos – Luigi Pirandello al Teatro della Pergola, visitabile il mercoledì e il giovedì dalle 15:30 alle 18:30 e, per i possessori dei relativi tagliandi di ingresso, in occasione degli spettacoli, dei concerti e delle visite guidate.

i giganti della montagna

I giganti della montagna è una produzione della Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con il Teatro Stabile di Torino, il Teatro Biondo di Palermo.

Il teatro celebrato come spazio salvifico, libero e indipendente, ultima roccaforte dell’umanità, in una società distratta e svuotata di princìpi e ideali. I giganti della montagna sono un poetico omaggio alle magie dell’arte, al prodigio straordinario che consola l’incompiutezza umana.

“Pirandello vive con I giganti della montagna il suo grande momento espressionista. Si tratta di un espressionismo onirico, fantastico, visionario. Alcuni attori – spiega l’attore e regista nel programma di sala – si sono ridotti a essere quasi degli straccioni per seguire Ilse Paulsen, l’attrice moglie del Conte, che chiamano la Contessa. Vanno in giro come pezzenti a recitare la Favola del figlio cambiato, copione scritto per la Contessa da un certo autore, innamorato di lei, e morto per la disperazione di non essere corrisposto. È l’incubo della Compagnia. La donna, infatti, per espiare la colpa di quel suicidio, si ostina a voler recitare la Favola, che ovunque ha grande insuccesso. Il mondo non capisce più la poesia. Cotrone dà rifugio alla Compagnia alla villa La Scalogna: l’arte non può abitare in mezzo agli uomini, ma solo tra loro Scalognati. Gli artisti riescono a vivere unicamente fuori dal mondo”.

Nella Villa le magie succedono e basta. Questi sono eventi possibili solo nel mondo dell’oltre, della fantasia, della sovra-realtà, ai confini della coscienza, ai margini dell’esistenza, dove finisce quel gruppo di attori sperduti e disperati, perché senza più un teatro dove recitare, goffi sacerdoti di un’arte delusa, infelice, incompresa, impoverita, com’è diventato il teatro. Per questo, la scena di Alessandro Camera riproduce i palchi di un teatro all’italiana diroccato.

Cotrone è lo strano mago che lo abita e guida; dice di essersi fatto “turco” per il “fallimento della poesia della cristianità”. Nell’interpretazione di Lavia è Pirandello stesso, ma non solo, è anche qualcosa di più. “Cotrone vive nel fallimento, nella caduta del mondo, ai margini della vita – ragiona – e ai confini del sogno. Si è rifugiato o emarginato nella propria illusione che il teatro, cioè la poesia originaria, possa essere il luogo assoluto, fuori da ogni contaminazione. E lontano dai Giganti, dalle ‘forze brute’, da uomini che mettono paura soltanto a sentirli passare al galoppo. Nella mia vita ho visto molte edizioni dei Giganti della montagna: Cotrone era sempre cupo, malinconico, triste. Secondo me, invece, è allegro e incazzato. Perché è disperato”.

Il tempo e il luogo dell’azione sono indeterminati, tra la favola e la realtà. Ed è in questo spazio sospeso che il teatro può accadere comunque, “nella finita infinità che è la solitudine dell’anima sola con se stessa”. In scena, al fianco di Lavia, ci sono Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini – iNuovi, Luca Pedron – iNuovi, Laura Pinato – iNuovi, Francesco Grossi – iNuovi, Davide Diamanti – iNuovi, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.

“Il teatro è quell’accadimento misterioso e pagano – precisa Gabriele Lavia – che ha trasformato i viventi in una comunità di uomini, quando si sono rappresentati e riconosciuti in quella rappresentazione, nell’origine della coscienza di ‘essere quel che si è’. I Giganti sono snaturati dal non voler conoscere se stessi. I loro servi imitano i costumi di violenza, ignoranza e volgarità dei loro padroni. Quindi, non possono far altro che continuare a uccidere il teatro, la poesia originaria nata come specchio dell’uomo”.

In questa prospettiva, allora, non è un caso che il testo di Pirandello sia rimasto incompiuto e che alla fine del secondo atto scrive abbia scritto le ultime cinque parole della sua vita e, per Lavia, di tutto il Teatro delle maschere nude, con cui chiude i suoi Giganti ella montagna: “Io ho paura, ho paura…”

“Sapeva che doveva morire. Sono convinto – afferma Lavia – che abbia detto quel che ha detto per rassicurare il figlio sulla sua voglia di vivere: ‘Ho composto nella mente il III atto – non prendeva appunti, era un uomo di una memoria straordinaria – c’è un olivo saraceno, grande, in mezzo alla scena: con cui ho risolto tutto’. Inventa, ma in realtà sta pensando alla morte. Credo che avrebbe chiuso il sipario con le quattro parole conclusive del II atto, messe in bocca al personaggio della seconda donna, Diamante, che ha la responsabilità di dare voce al testamento di Pirandello: ‘Ho paura, ho paura’. Le indicazioni riportate dopo la sua morte sono un documento entrato a far parte della tradizione culturale intorno alla figura di un genio. Ma ci sono cose più importanti di cui tenere conto – continua – il Premio Nobel agrigentino sta lavorando alla sceneggiatura del film tratto dal suo Fu Mattia Pascal. Si sente male. Viene un medico, proprio nel momento in cui gli stanno cambiando il letto. Rimangono soli. Quando gli cava il sangue, Pirandello, per come l’ha poi raccontata il dottore, chiede: ‘Insomma, mi vuole dire che è questo?’ E lui risponde: ‘Non deve avere paura delle parole: questo è morire’. La cronaca racconta che abbandona subito la stesura della sceneggiatura e si mette a scrivere I giganti della montagna, il cui primo titolo è Fantasmi”.

“Per me – spiega Lavia riferendosi a Pirandello – è il più grande, forse più di William Shakespeare. Credo che dentro di sé si ritenesse superiore anche ai classici greci. Infatti, dichiarava: ‘I greci hanno messo l’uomo sull’orlo dell’abisso, io l’ho fatto cadere dentro'”.

“Io sono figlio del Caos, e non allegoricamente, ma in giusta realtà”, così amava definirsi Luigi Pirandello evocando le origini a Caos, piccola contrada nei pressi di Girgenti, oggi Agrigento, dove i genitori si erano rifugiati fuggendo a un’epidemia di colera.

i giganti della montagna

La mostra ‘Il figlio del Caos – Luigi Pirandello’ al Teatro della Pergola ricorda alcuni tra i più significativi allestimenti pirandelliani alla Pergola negli ultimi cinquant’anni: oltre cento messe in scena ripercorse attraverso manifesti, locandine, foto, recensioni e corrispondenze. Un omaggio allo scrittore che ha segnato profondamente la cultura e il teatro del nostro tempo e a tutti gli uomini e donne di teatro che continuano a confrontarsi con la sua opera. Un viaggio tra le maschere, i volti e le immagini del prodigioso “figlio del caos”, per ritrovare le sue e le nostre autentiche radici.

Teatro Studio ‘Mila Pieralli’: prima nazionale di “Sconcerto per i diritti”

Che cos’è un diritto? Come viene tutelato? Con “Sconcerto per i diritti” la compagnia ErosAntEros, in prima nazionale al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ di Scandicci dal 18 al 20 ottobre, mostra ombre e ambiguità delle nostre democrazie. In scena, Silvia Pasello e Agata Tomsic danno corpo, dialogando, discutendo, alle voci della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, alla base della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e delle legislazioni dei suoi Stati membri.

“Sconcerto per i diritti” è la terza tappa del progetto internazionale ‘Confini’: calandosi tra i cittadini di Scandicci e dell’Area Metropolitana Fiorentina, di Pontedera e di tanti altri territori, Davide Sacco e Agata Tomsic si sono interrogati su come lo sviluppo economico e i nuovi agglomerati urbani modifichino la geografia e i rapporti identitari. Un cammino creativo che si concluderà a luglio 2020 con il debutto di una coproduzione internazionale.

È ancora possibile, oggi, immaginare un mondo senza confini, né limiti, né muri, né passaggi sorvegliati? Che differenza c’è tra una libertà e una costrizione? Queste sono solo alcune delle domande che la compagnia ErosAntEros ha posto sul territorio di tanti altri luoghi, per creare “Sconcerto per i diritti”, in prima nazionale al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ dal 18 al 20 ottobre.

“Sconcerto per i diritti”, che ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International – Italia, è prodotto da ErosAntEros, in collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana, nell’ambito del progetto di residenze artistiche StudioTeatro.

Davide Sacco e Agata Tomsic hanno quindi incontrato, tra le altre, realtà come la comunità delle Piagge, Libera Scandicci e il Comitato del Viale dell’Umanità e dei Diritti Umani, insieme a numerosi cittadini, studiosi, operatori socioculturali, centri di ricerca e archivi storici. Oltre a nutrire la creazione, parte dei materiali raccolti è confluita nel piano video di “Sconcerto per i diritti”, insieme alle videointerviste sulla percezione odierna dell’Unione Europea raccolte con le residenze in Salento e in Lussemburgo durante le precedenti fasi del progetto internazionale ‘Confini’, e alle immagini d’attualità grazie alle quali i meravigliosi diritti protetti dalle nostre democrazie mostrano ombre e ambiguità.

In scena, Silvia Pasello e Agata Tomsic incarnano due figure metamorfiche, forse due giuristi del futuro, che si interrogano su concetti chiave quali Dignità, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza, Giustizia, per scoprirne doppi sensi e significati nascosti. Gli articoli della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, alla base della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e delle legislazioni dei suoi Stati membri, vengono messi in gioco da queste due “monadi” quando danno voce a tali enunciati, e “bambine” nell’interrogarsi sui loro significati e sulla loro effettiva attuazione.

Dialogano con lastre d’acciaio, navicelle spaziali o porte di passaggio tra la loro e la nostra dimensione; due lamiere, che, percosse dalle attrici e rielaborate dal live electronics di Davide Sacco, si fanno strumenti musicali all’interno di un’ambientazione sonora da cui emergono le note della Nona Sinfonia di Beethoven. In tal modo, i suoni metallici, che richiamano il mondo delle miniere e delle acciaierie su cui si fondava l’economia dell’Unione europea ai suoi albori – quando ancora si chiamava Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – arrivano a fondersi con il famoso tema finale dell’Inno alla gioia, rappresentazione in musica dell’uguaglianza e fratellanza tra i popoli, la cui versione strumentale è eletta a Inno europeo nel 1972.

Parola, suono e video giocano dunque a scambiarsi vicendevolmente di ruolo. Un altro elemento fondamentale sono i disegni dell’artista-attivista Gianluca Costantini, premio “Arte e diritti umani” Amnesty International Italia 2019, che da anni si fa testimone con le sue opere della mostruosità del nostro presente. Emergono anch’essi dalla superficie delle lastre, per rivelare come i diritti dichiarati dalle nostre democrazie vengano ancora disattesi nella pratica.

ErosAntEros nasce dall’unione di Davide Sacco e Agata Tomsic nel gennaio del 2010. La loro ricerca artistica manipola fonti di varia natura e linguaggi espressivi disparati, con l’obbiettivo di agganciare il teatro alla vita e fare dell’immaginazione un’arma per trasformare il reale. La Compagnia da loro guidata è composta da tutte le persone che, volta per volta, partecipano alla realizzazione dei loro progetti.

Dopo i primi lavori concentrano le proprie indagini sul ruolo dell’artista all’interno della società contemporanea, perseguendo due principali linee di ricerca: una vicina al teatro musicale e focalizzata sul rapporto tra voce e suono, l’altra fondata sull’interrogazione drammaturgica del dispositivo teatrale e sulla relazione con lo spettatore.

Nel 2015 entrano in relazione con ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione e producono all’Arena del Sole di Bologna “Allarmi!”, uno spettacolo sul neofascismo contemporaneo, che si avvale della collaborazione con il drammaturgo Emanuele Aldrovandi e debutta a VIE festival 2016.

La loro dedizione a un teatro impegnato che non rinuncia al valore estetico della forma prosegue negli anni successivi con “1917” – spettacolo poetico-musicale dedicato alla Rivoluzione d’Ottobre, creato su commissione di Ravenna Festival 2017, con il Quartetto Noûs e la consulenza letteraria del prof. Fausto Malcovati – e “Vogliamo tutto!” dedicato al Sessantotto e ai movimenti contemporanei, prodotto con TPE – Teatro Piemonte Europa e Polo del ‘900 di Torino nel 2018. Dal 2018 dirigono POLIS Teatro Festival a Ravenna.

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