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Gdf Firenze: facevano ‘cartello’ per vendere divise, interdetti 9 imprenditori
Un’inchiesta della GdF di Firenze ha scoperto un ‘cartello’ di imprenditori volto a vendere divise per Comuni ed enti pubblici. L’operazione è stata condotta anche dal pm fiorentino Leopoldo De Gregorio. I 9 imprenditori sono titolari di ditte toscane che producono capi di abbigliamento da lavoro. Indagati anche tre funzionari pubblici.
I nove imprenditori sono stati interdetti per aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata a turbare il corretto svolgimento delle procedure di affidamento di pubbliche forniture, in particolare divise, per Comuni e altri enti pubblici. Le indagini della GdF, avviate dopo una denuncia presentata due anni fa dall’ufficio anticorruzione, trasparenza e controlli del Comune di Firenze, avrebbero “messo in luce alterazioni nelle procedure di affidamento indette da alcuni Comuni ed enti pubblici della Toscana”. Tali imprese, in circa cinque anni, sono risultate più volte aggiudicatarie delle gare bandite da alcuni enti pubblici, territoriali e non, per l’acquisizione prevalentemente di divise e accessori per la polizia municipale, per servizi di guardiania e di rappresentanza.
Lavoro: GdF Siena scopre 18 braccianti pagati ‘in nero’
La Guardia di Finanza di Siena ha scoperto 18 braccianti agricoli pagati “in nero” da parte di una società del comparto agricolo. Emerse irregolarità anche retributive: la società avrebbe pagato ai lavoratori, seppur formalmente assunti in modo regolare, una parte della paga ‘fuori busta’.
Siena, rimpasto Giunta: via assessore Sportelli
Il sindaco di Siena Luigi De Mossi ha revocato le deleghe all’assessore ai lavori pubblici e protezione civile Massimo Sportelli. Il rimpasto della giunta è arrivato al termine di un lungo ‘braccio di ferro’ tra l’assessore e il primo cittadino. De Mossi, più volte, aveva chiesto a Sportelli di lasciare l’incarico.
Pedopornografia e razzismo in chat di ragazzi, 30 indagati
Avrebbero scambiato video pedopornografici, inneggiato a Hitler, Mussolini e all’Isis, postando frasi contro migranti ed ebrei, su una chat di WhatsApp battezzata ‘The Shoah party’, con la diffusione in tutta Italia di immagini e frasi choc. A scambiarsi video e messaggi, come riporta oggi il Corriere Fiorentino, un gruppo di ragazzi tra i 15 e i 19 anni: una trentina sono stati coinvolti in un’inchiesta partita da Siena e coordinata dalla procura dei minori di Firenze.
Inneggiamento al nazismo, al fascismo e allo stato islamico, frasi al veleno contro migranti ed ebrei, pedopornografia. Erano questi alcuni dei contenuti del gruppo Whatsapp “The Shoah Party” che per mesi, a partire dal 2018, è stata il luogo dove un gruppo di ragazzi, anche under 14, ha diffuso il materiale incriminato in tutta Italia. Una trentina sono attualmente gli indagati dalla Procura per i minori di Firenze. Il gruppo sarebbe stato creato da ragazzi, minorenni e non, residenti nella zona di Rivoli (Torino).
“Eppoi dicono che i preti non devono stuprare i bambini”; questo è uno dei tanti commenti raccapriccianti che giravano all’interno della chat creata da giovani a Siena che per mesi avrebbero diffuso filmati di adulti che seviziavano bambini, pubblicato video pornografici con minorenni come protagonisti, inneggiato a Hitler, a Mussollini ed all’ISIS. Secondo quanto appreso, la chat sarebbe stata usata anche per diffondere immagini di carattere blasfemo, video di animali torturati e frasi per denigrare i malati di leucemia.
Sono scattate ieri le perquisizioni in Toscana, Piemonte, Lazio, Campania, e Calabria nelle abitazioni di una trentina giovani, indagati, a vario titolo, dalla Procura con l’accusa di detenzione e diffusione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali.
Gli investigatori, autorizzati dai pubblici ministeri competenti, procura dei minori e procura distrettuale di Firenze, si sono introdotti all’interno del gruppo social, risalendo agli amministratori del gruppo. Sono stati sequestrati decine di telefonini e computer. Secondo quanto spiegato sempre dall’Arma, “tanti ragazzini dai 13 ai 17 anni sono rimasti invischiati più o meno consapevolmente” mentre altri, “dopo essere entrati ne sono subito usciti. Ma nessuno risulta aver denunciato la cosa”.
La scoperta sconvolgente da parte della mamma di un ragazzo che, dopo aver visto le foto presenti all’interno della chat, ha deciso di rivolgersi alla dirigente scolastica e poi ai carabinieri.
La cosa che colpisce profondamente è la giovane età dei soggetti coinvolti: il più anziano avrebbe compiuto da poco 19 anni, ma a gestire la chat ci sarebbero anche ragazzi di età inferiore ai 14 anni e, per questo, ritenuti dalla legge non imputabili.
La Procura per i minori aprirà anche un’inchiesta socio psicologica per valutare la idoneità dei contesti familiari in cui vivono gli indagati. Non è escluso che alla fine degli accertamenti, i genitori possano subire limitazioni nell’esercizio della potestà genitoriale e affiancati da assistenti sociali.
Pestaggio in carcere: da Dap inchiesta su 15 agenti, Pm Siena contesta anche reato tortura
“Sospensione immediata” per i quattro poliziotti penitenziari destinatari di provvedimento di interdizione da parte dell’autorità giudiziaria e “doverose valutazioni disciplinari” per i quindici che hanno ricevuto un avviso di garanzia. Lo ha disposto il Dap informato dalla Procura della Repubblica di Siena che indaga, come riporta La Repubblica, su un episodio di pestaggio ai danni di un tunisino che sarebbe avvenuto nel carcere di San Gimignano. Agli agenti in servizio è stato contestato anche il reato di tortura.
L’indagine definita dal Dap “complessa e delicata”, ha interessato 15 poliziotti penitenziari in servizio nel carcere di San Gimignano e trae origine dalla denuncia fatta da alcuni detenuti su presunti pestaggi avvenuti all’interno del’istituto toscano. Le accuse formulate dalla Procura di Siena vanno dalle minacce alle lesioni aggravate, al falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale, alla tortura.
Nell’avviare l’iter dei provvedimenti amministrativi di propria competenza, il Dap confida “in un accurato e pronto accertamento da parte della magistratura”, ma al tempo stesso
esprime “la massima fiducia nei confronti dell’operato e della professionalità degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che svolgono in maniera eticamente impeccabile il loro lavoro.
“Nei casi di tortura l’accertamento della verità è una corsa contro il tempo. Una corsa che deve essere facilitata dalle istituzioni. Una corsa che richiede la rottura del muro del silenzio da parte di tutti gli operatori che hanno visto gli abusi e le violenze. In questo caso siamo rinfrancati dalla prontezza del lavoro della magistratura e dalla collaborazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Lo sottolinea in una nota Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, commentando la vicenda dell’inchiesta della procura di Siena.
La stessa tempestività viene chiesta da Gonnella per “fatti analoghi” avvenuti nel carcere di Monza e denunciati nelle scorse settimane proprio da Antigone. “In Italia finalmente i giudici dal 2017 hanno a disposizione una legge (seppur migliorabile) che proibisce e punisce la tortura. E’ stata questa una battaglia ventennale di Antigone. Siamo ai primi casi di applicazione di questa legge”, fa notare ancora Gonnella.
“Sono pesantissime le accuse mosse nei confronti di alcuni appartenenti al Corpo di polizia
penitenziaria, motivo per il quale siamo i primi a chiedere agli inquirenti, nei quali riponiamo incondizionata fiducia, e ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di accertare con celerità i fatti realmente accaduti e fare chiarezza”. È quanto dichiara Gennarino De Fazio, della UILPA Polizia Penitenziaria. “Il Corpo di polizia penitenziaria – afferma De Fazio – è un’istituzione sana e da solo, o giù di lì, continua a reggere l’emergenza penitenziaria fatta di sovraffollamento detentivo, pesanti carenze di risorse umane, tecnologiche ed economiche e aggravata da una sostanziale assenza della politica”.
Sulla vicenda “invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari. Noi confidiamo nella magistratura perché la Polizia penitenziaria, a S.Gimignano come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere”. Lo scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Sappe, aggiungendo che “la polizia penitenziaria opera con professionalità e umanità”.
“Noi del Sappe, così come tutti i poliziotti penitenziari – conclude -, siamo adusi rispettare le sentenze definitive e solo di fronte a queste potremmo esprimere la nostra opinione. La
presunzione d’innocenza è un caposaldo della nostra Costituzione ed è riferita a tutti i cittadini. Noi confidiamo con serenità nell’operato della Magistratura”.
“Da troppo tempo la casa di reclusione è abbandonata al suo destino, senza direzione
stabile e da mesi senza comandante e vice comandante del corpo di polizia penitenziaria”. Lo rivela in una nota il sindaco di San Gimignano Andrea Marrucci che, in una nota, commenta.
“Insieme alla parlamentare Susanna Cenni – spiega il sindaco – abbiamo denunciato le difficoltà di agenti e detenuti, le carenze infrastrutturali e chiesto interventi urgenti agli enti
preposti. Richiesta sfociata in una esplicita lettera di misure urgenti al ministro”. Situazione che “sarebbe stata risolta con il conferimento dell’incarico – aggiunge il primo cittadino – ad un commissario capo che dovrebbe entrare in servizio lunedì prossimo”. “Confidiamo nella rapida verifica da parte della magistratura – conclude nella nota – e nel corretto operato e nella professionalità degli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria”.
“Auspico che si giunga al più presto all’accertamento della verità. L’opinione pubblica è sensibile a queste violenze inaudite. L’emersione e la verifica giudiziaria di questa condotta illegale e violenta nelle carceri – pensiamo al caso Cucchi – è diventata una spinta all’impegno civile e alla libertà di informazione” è il commento del governatore della regione Enrico Rossi sui fatti avvenuti nel carcere di San Gimignano. “Il garante regionale dei detenuti – aggiunge Rossi – ha dichiarato che nel carcere di San Gimignano, così come in altri istituti della Toscana, persistono problemi di carattere strutturale e carenza di servizi essenziali. In questi contesti, in cui pare palpabile la defezione dello Stato, possono verificarsi fenomeni inquietanti di extraterritorialità, omertà e violazione dei diritti umani, come ipotizzato per l’episodio di San Gimignano”. “La tortura è un crimine orrendo che nega la libertà fisica e interiore della persona che la subisce, con gravi effetti intimidatori sul contesto circostante. Anche se dal 2017 esiste una legge importante che introduce nel nostro ordinamento il reato di tortura – conclude il presidente della Toscana – siamo lontani dall’obiettivo di garantire la piena attuazione dal secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. E’ una grande emergenza nazionale e tocca allo Stato spezzare questo intreccio di abbandono, violenza e impunità. Ora spetta al governo e al ministro Bonafede investire le risorse necessarie e costruire percorsi alternativi alla detenzione”.