Bancarotta fraudolenta, 2 arresti per crac ristoranti

Firenze, due imprenditori sono stati arrestati dalla guardia di finanza per bancarotta fraudolenta, in esecuzione di una misura di custodia cautelare ai domiciliari, nell’ambito di un’inchiesta su sette società che gestivano ristoranti a Firenze.

Sono società dichiarate fallite dal tribunale su istanza della procura. In base alle indagini, coordinate dal pm Christine Von Borries, i due imprenditori avrebbero omesso di pagare debiti con l’Erario accumulati dalle società a loro riferibili attraverso un sistema di cessioni di ramo d’azienda, per un totale di circa 4,5 milioni di euro.

Sono noti in città, veri brand riconoscibili, i locali che sono stati gestiti dalle aziende poi fallite: tra questi, l’ex ristorante Le Lance andando a Fiesole, e nell’abitato di Firenze Il Pallaio, l’Aviazione, il James Joice Pub, il Povero Pesce e La Piazza del Vino.

Nei confronti degli arrestati sono stati anche effettuati sequestrati di beni per circa 300mila euro. Secondo quanto precisato dalla guardia di finanza, dei 4,5 milioni di euro di debiti con l’Erario, circa 500mila sarebbero relativi a mancati pagamenti dei contributi previdenziali nei confronti di 35 dipendenti.

Le società di gestione ‘a monte’ dei locali sono Le Lance srl, che partire dal 2010 avrebbe accumulato un debito con l’Erario di 956.924 euro, Piazza del Vino srl, in debito con lo Stato per 791.387 euro, la Campo di Marte srl, dichiarata fallita nel marzo del 2019 dopo aver accumulato debiti per 388.027 euro, il Pallaio srl, fallita con un debito di 547.831 euro di cui 302.669 di debiti privilegiati verso l’Erario, la A6 srl, che avrebbe accumulato debiti verso lo Stato per 252.811 euro, la Servizi ristorazione Campo Marte srl, con debiti erariali per 465.368 euro accumulati a partire dal 2011, e la J.J srl, che ha maggio 2018 aveva accumulato cartelle esattoriali per 1 milione di euro.

I due imprenditori, scrive il gip Alessandro Moneti nella carte, da anni gestiscono società nel campo della ristorazione “omettendo di pagare quanto dovuto all’Erario”, saldando invece “i crediti delle banche e un qualche misura quelli dei creditori””, in modo da “mantenere i canali di finanziamento e consentire la nascita di nuove società, in un giro di soldi in cui il principale finanziatore rimane lo Stato, che rimane privo delle entrate tributarie”.

Caporalato: a migranti paghe 1 euro l’ora,condannati coniugi

Secondo l’accusa, i loro operai, per lo più di origine africana, erano costretti a lavorare 10 ore al giorno, sette giorni su sette, per 400 euro al mese, con una paga oraria di circa un euro

Il tribunale di Firenze ha condannato a 3 anni di reclusione, con processo in rito abbreviato, due coniugi cinesi che gestivano alcune ditte calzaturiere di Empoli. Arrestati nel novembre 2019 dalla finanza, erano imputati di bancarotta fraudolenta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e caporalato. Secondo l’accusa, i loro operai, per lo più di origine africana, erano costretti a lavorare 10 ore al giorno, sette giorni su sette, per 400 euro al mese, con una paga oraria di circa un euro. Il tribunale ha disposto nei loro confronti anche la confisca di beni per 1.700.000 euro. Nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al processo, coordinata dal pm Christine Von Borries, è emerso che i migranti africani erano preferiti come operai dai coniugi poiche’ considerati piu’ facilmente sfruttabili in quanto privi sia di alternative lavorative, sia delle risorse necessarie per denunciare un eventuale sfruttamento sul luogo di lavoro, oltre che meno consapevoli dei propri diritti sindacali rispetto a lavoratori provenienti da altre zone. Accusato degli stessi reati anche il figlio della coppia di imprenditori. Egli nel novembre del 2019 a differenza dei genitori sfuggì all’arresto poiché si trovava in Cina. Attualmente latitante, è stato rinviato a giudizio. La prima udienza del processo è fissata per l’8 settembre.

Empoli, caporalato: turni di 10 ore per 1,28 euro l’ora

Una coppia di imprenditori di una ditta calzaturificia di Empoli è stata arrestata per bancarotta fraudolenta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e caporalato. Costringevano a lavorare operai africani, tra cui divesi dal Gambia, fino a 10 ore al giorno sei giorni la settimana per una paga oraria di circa 1,28 euro.

Secondo le indagini della Guradia di Finanza, gli operai erano assunti completamente al nero o con contratti formalmente part-time ma poi lavoravano 10 ore al giorno, festivi compresi. “Nel contratto di lavoro c’è scritto che lavoro due ore al giorno, dalle 9 alle 11 –  in realtà lavoro dalle 9 alle 19 dal lunedì al sabato”, la testimonianza di uno dei lavoratori. “All’inizio percepivo 650 euro mensili, ore 800 – racconta un altro – lavoro tutti i giorni domenica compresa dalle 8 alle 20, con una pausa di 15 minuti per poter mangiare”.
I migranti africani sono preferiti come operai poiché considerati più facilmente sfruttabili in quanto privi di alternative lavorative, di quelle necessarie per denunciare un eventuale sfruttamento sul luogo di lavoro, essendo meno consapevoli dei propri diritti sindacali rispetto a lavoratori provenienti da altri continenti. Questa è la realtà emersa dalle indagini della Guardia di finanza.
Il gip di Firenze, su richiesta del pm Christine Von Borries, aveva disposto l’arresto in carcere anche per il figlio della coppia, che tuttavia al momento è irreperibile, si troverebbe in Cina.

Fatture false: condannati a 1 anno e 9 mesi i genitori Renzi

I genitori di Matteo Renzi, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, sono stati condannati per due fatture false dal tribunale di Firenze a 1 anno e 9 mesi a testa, con la sospensione condizionale della pena, e il loro co-imputato, il re degli outlet Luigi Dagostino, a 2 anni.

Per i coniugi Renzi è la prima condanna subita nelle loro varie vicissitudini giudiziarie ma, come ha commentato a caldo Tiziano, “ho il dovere di credere nella giustizia italiana, oggi più che mai. E continuo a farlo anche se con grande amarezza”. Poi su Fb Renzi senior ha ringraziato chi gli manifestava vicinanza. I suoi difensori hanno annunciato ricorso in appello: le prestazioni furono fatte e pagate, dicono. E se Ettore Rosato, di Italia Viva, invita ad aspettare “le sentenze definitive, quelle della Cassazione”, Matteo Salvini afferma: “Non commento le condanne altrui, ma sono contento che i miei genitori siano pensionati, tranquilli, che si dedichino ai nipoti e siano incensurati. Però – ha aggiunto – non faccio battaglia politica sulle condanne dei parenti”. Come i coniugi Renzi anche Luigi Dagostino farà appello.

Diversamente dai genitori dell’ex premier, l’imprenditore ha seguito le udienze in aula e ha ascoltato la sentenza di persona ma dopo non ha voluto commentare. Resta però rilevante la sua deposizione quando ha ricordato, come emerso pure da intercettazioni, che pativa “sudditanza psicologica” e che non riteneva opportuno discutere con Tiziano Renzi, padre del premier, uno sconto sugli importi. Dunque, il giudice Fabio Gugliotta nella sentenza – tra 90 giorni le motivazioni – mostra la sua convinzione che all’ombra dell’outlet The Mall di Reggello (Firenze), meta del turismo del lusso, specie orientale (tanti giapponesi), si sia consumato un reato tipico di impresa: l’emissione di fatture false per giustificare passaggio di denaro. All’apparenza reato fatto per evadere il fisco, come di solito, ma il pm Christine von Borries ha fatto capire di non escludere fini extra-tributari.

Nel processo sono state trattate due fatture: una da 20.000 euro, l’altra da 140.000. Le hanno emesse nel 2015 società riferibili ai Renzi, Party e Eventi 6 e sono state pagate dalla Tramor amministrata da Dagostino fino al giugno 2015, poi passata alla holding del lusso Kering. Il pm von Borries è convinta che le prestazioni delle fatture non siano mai state fatte. Sono una consulenza per un’area ristorazione e un’altra per portare turisti asiatici a The Mall.

La Gdf non ha trovato né lettere di incarico né elaborati nelle perquisizioni. E anche i testi non hanno dato riscontri in tal senso. Il giudice ha creduto alla tesi dell’accusa. Nella requisitoria il pm Christine von Borries ha ricordato, come elemento di prova, l’intensità del rapporto di conoscenza fra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino, avvalorato dai contatti mail – anche con la moglie Laura Bovoli – ma soprattutto numerosi incontri avvenuti, in particolare, fra il giugno e il novembre 2015, a Firenze, a Roma e in Puglia. Le date per il pm sono importanti, soprattutto da giugno 2015 in poi, perché vicine ai pagamenti delle due fatture. In questo punto della requisitoria, il pm ha ricordato l’incontro a Palazzo Chigi del 17 giugno 2015 tra Luca Lotti, il magistrato Antonio Savasta e Ruggiero Sfrecola. Un incontro procurato da Luigi Dagostino, avvenuto nell’ufficio di Lotti e durato una quarantina di minuti, nello stesso giorno del pagamento della fattura da 20.000 euro.

Per le ricostruzioni investigative a Dagostino – peraltro indagato all’epoca, a Trani, dal pm Savasta in un giro di fatture false – sarebbe stato chiesto di combinare l’appuntamento proprio per la sua risaputa conoscenza con Tiziano Renzi, padre del premier. Per le difese solo “una coincidenza suggestiva”, “completamente estranea al processo” sulle fatture false all’outlet. Ad ogni modo le difese, riguardo alla condanna, puntano sull’appello facendo rilevare, come dice l’avvocato Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi, che “il giudice ha applicato il minimo della pena ritenendo il fatto contestato non grave”. Anche il legale di Luigi Dagostino, avvocato Alessandro Traversi, aspetta l’appello: “E’ stata pronunciata una condanna per operazioni inesistenti che, invece, ci sono state e sono state pagate. Noi, comunque, contiamo di avere in appello un’assoluzione con formula più ampia che ritengo essere la cosa giusta”. Dagostino è stato condannato anche per truffa aggravata per aver sollecitato alla nuova dirigenza Tramor il pagamento della fattura da 140.000 euro.

Duplice omicidio Sesto F.no: ergastolo per il vicino di casa

E’ stato condannato all’ergastolo, nel processo con rito abbreviato celebrato a Firenze, Fabrizio Barna, il 54enne che il 21 ottobre 2018 a Sesto Fiorentino (Firenze) uccise a colpi di pistola i vicini di casa Salvatore Andronico, 66 anni, e il figlio di quest’ultimo Simone, di 31. Interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, Barna è stato anche condannato dal gup Federico Zampaoli al pagamento di provvisionali per 300 mila euro alle parti civili.

Secondo le indagini coordinate dalla pm Christine Von Borries, Barna, vicino di casa delle vittime, sparò ai due uomini con una pistola Beretta 98 semiautomatica regolarmente denunciata per uso sportivo. Interrogato dopo l’arresto, disse al giudice di non ricordare nulla del momento del duplice omicidio; in base alla perizia disposta dal gip nel corso delle inchiesta, quando uccise era capace di intendere e di volere.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri, il 21 ottobre dello scorso anno il 54enne uscì di casa infastidito dai rumori, impugnando la pistola: uccise prima Salvatore Andronico,  66 anni, ingegnere di Trenitalia in pensione (l’uomo era tra i condannati in primo grado per la strage ferroviaria di Viareggio); poi freddò con più colpi il figlio Simone Andronico, 31 anni, ingegnere in un’azienda del settore aerospaziale.

Barna, disoccupato, viveva da solo nella casa di Sesto Fiorentino dal 2008, dopo la morte degli anziani genitori. Aveva iniziato a lamentarsi dei rumori per i lavori di ristrutturazione diversi mesi prima di commettere il duplice omicidio. Nel tentativo di risolvere la controversia, Salvatore Andronico e il figlio si erano anche rivolti a uno sportello di mediazione sociale, un servizio privato in convenzione col Comune di Sesto Fiorentino che ha lo scopo di comporre le criticità tra i cittadini; gli operatori scrissero a Barna per avviare una mediazione, ma lui non avrebbe mai risposto.

Cerca di strangolare e violentare la vicina, arrestato

Decisiva è stata la testimonianza della vicina 35enne che, lo scorso 27 agosto, ha subito un’aggressione durante la notte. L’uomo, un 22enne si è introdotto in casa della vittima a Firenze sorprendendola nel sonno cercando di violentarla e strangolarla.

Questi sono i fatti che emergono dalla testimonianza che la 35enne ha rilasciato oggi nel corso dell’incidente probatorio disposto dal gip Maurizio Caivano su richiesta della pm Christine Von Borries. La donna ha confermato la versione resa il giorno dopo l’accaduto ma aggiungendo che l’aggressione sarebbe durata 5/6 minuti, tempo durante il quale l’uomo l’avrebbe afferrata per il collo costringendola con violenza.
L’uomo era un conoscente della donna che lo descriveva come “taciturno e gentile”, temperamento che non avrebbe fatto sospettare un simile comportamento. Secondo quanto affermato dal 22enne, assistito dall’avvocato Nicola Muncibì, non ci sarebbero riscontri investigativi all’ipotesi che egli possa aver anche tentato di sedarla usando un panno imbevuto di cloroformio.
La difesa ha chiesto al gip l’attenuazione della misura della custodia cautelare in carcere, alla quale il 22enne è attualmente sottoposto, in quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
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