Dom 3 Nov 2024
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ToscanaCronacaAssise: "Scieri ucciso perchè si ribellò ai "nonni" della caserma

Assise: “Scieri ucciso perchè si ribellò ai “nonni” della caserma

La corte d’assise pisana deposita le motivazioni della sentenza definitiva sull’omicidio di Emanuele Scieri.

Emanuele Scieri, verosimilmente, reagì ai soprusi dei “nonni” e pagò con la vita. E’ il ragionamento principale sul quale la corte d’assise di Pisa, presieduta dalla giudice Beatrice Dani, motiva la sentenza di condanna, rispettivamente a 26 e 18 anni, agli ex caporali della Folgore, Alessandro Panella e Luigi Zabara. La sentenza viene emessa 24 anni dopo la morte di Scieri alla caserma Gamerra di Pisa, sede del centro di addestramento dei paracadutisti: il cadavere fu rinvenuto il 16 agosto 1999, tre giorni dopo i presunti atti di nonnismo di cui sarebbe stato vittima. La notizia del deposito delle motivazioni è riportata oggi dalla stampa locale: nelle oltre 100 pagine della sentenza si definisce di “una credibilità cristallina” la deposizione del testimone chiave del processo, Alessandro Meucci, ovvero il paracadutista che la notte del 13 agosto ha detto di avere visto Panella, Zabara e Andrea Antico – il terzo indagato processato con rito abbreviato e assolto in primo grado -, in camerata quando, invece, i tre hanno sempre detto che quel giorno erano in licenza. Ci sono altri passaggi, nelle motivazioni depositate dalla corte d’assise pisana che rischiano di complicare proprio la difesa di Antico, e che riportano la frase del sottufficiale, l’unico tuttora in servizio nell’esercito, riferita proprio da Meucci che dice: “L’abbiamo fatta grossa” e quella di Zabara che rivolto a Panella, aggiunge: “Stavolta hai esagerato”. Il racconto del testimone è ritenuto credibile dalla corte così come quello di altri testi che hanno confermato la presenza in caserma di Panella, Zabara e Antico quella notte del 13 agosto. Scieri aveva 26 anni quando arrivò come nuova recluta a Pisa: la furia dei “nonni”, secondo i giudici, sarebbe stata scatenata da una reazione del giovane a qualche loro appunto scatenando “un delirio di onnipotenza”, come scrive la corte.

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