La piccola di un anno e cinque mesi doveva essere sottoposta a trapianto in tempi rapidi, ma i tamponi rino-faringei a cui è stata sottoposta nell’arco degli ultimi mesi continuavano a dare sempre lo stesso responso di positività al virus.
Una bambina positiva al Coronavirus è stata sottoposta a un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche per curare una forma di leucemia mieloide ad altissimo rischio: un caso che non ha precedenti in Italia.
“Non avevamo scelta, perciò abbiamo preso il coraggio a quattro mani e abbiamo deciso di andare avanti”, spiega Veronica Tintori, responsabile della sezione trapianti ematopoietici del Centro di Eccellenza di oncologia ed ematologia, diretto da Claudio Favre.
Ora, a un mese di distanza dal trattamento, si può dire che la scelta si è rivelata giusta: la bambina ha avuto un recupero molto rapido e ha potuto fare ritorno a casa, anche negativizzata.
La piccola dovrà seguire adesso un serrato percorso di cure e controlli per monitorare l’andamento della patologia oncologica ma il suo recupero rappresenta intanto un grande traguardo. Il buon esito della procedura trapiantologica offre un importante spiraglio di speranza per tutti i bambini e bambine che dovessero trovarsi nella sua stessa condizione.
La diagnosi di leucemia è arrivata a fine dicembre, quando la bambina aveva solo nove mesi: la piccola è stata affidata alle cure dei medici del Centro di eccellenza di oncologia ed ematologia pediatrica. Inizialmente, come prevede il protocollo, è stata sottoposta ad alcuni cicli di trattamenti chemioterapici. Poi, a marzo, nel pieno dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus, gli esami hanno rivelato che anche la piccola paziente era stata infettata. Per fortuna la malattia ha avuto un decorso lieve, senza particolari complicazioni. Ma nei mesi successivi, la piccola non si è mai negativizzata, anche se i medici hanno tentato ogni strada, utilizzando anche ben due trattamenti di plasma iperimmune.
Arrivata l’estate, i medici hanno deciso che il trapianto non poteva più attendere: la forma era troppo aggressiva e il rischio che la situazione degenerasse ulteriormente era troppo elevato. Non essendo stato possibile selezionare un donatore da Registro, i medici hanno deciso di utilizzare il padre aploidentico, cioè compatibile al 50% e il percorso è iniziato.
Per affrontare questo delicatissimo passaggio, il Meyer ha messo in campo un’equipe multidisciplinare che ha coinvolto tutte le risorse disponibili all’interno dell’ospedale: dall’equipe del reparto trapianti agli oncoematologi, dagli infettivologi agli immunologi, dal Servizio immuno-trasfusionale alla pediatria. Cruciale il ruolo degli infermieri specializzati dedicati alla bambina. “E’ stato un grande sforzo organizzativo – continua Tintori – in cui la Direzione dell’ospedale ci ha sostenuto e supportato”. Ci si trovava infatti nella situazione di dover tutelare la bambina che andava incontro a una terapia invasiva, in presenza di un’infezione virale dal comportamento ancora poco conosciuto, e gli altri pazienti immunodepressi del Centro.
Il trattamento è stato effettuato il 19 agosto scorso, in locali dell’area Covid adeguatamente attrezzati per tutelare sia la paziente, immunodepressa, che gli operatori.
Il trapianto ha avuto esito positivo. Le cellule, donate dal padre, hanno attecchito e non si sono verificate, al momento, complicanze particolari. Dopo circa un mese di degenza protetta la bambina ha potuto fare ritorno a casa. E, dopo tanti mesi di attesa, finalmente è arrivato anche il tanto sospirato tampone negativo.
“La peculiarità di questo trapianto – conclude Favre – è stata l’averlo iniziato con la piccola ancora positiva al Covid 19 e in assenza di una risposta immunitaria di guarigione. Ci trovavamo a iniziare la procedura trapiantologica in una condizione clinica paragonabile a una brutta influenza: in questi casi il trapianto viene solitamente rinviato. Trattandosi di Covid 19 il rischio di complicanze gravi era di gran lunga superiore. Una decisione quindi molto sofferta e discussa più volte da tutto il nostro gruppo di oncoematologi del Meyer. In letteratura, almeno da quanto ci risulta, non erano descritti casi di questo tipo e non sapevamo come avrebbe potuto reagire la bambina. Prima di procedere abbiamo sentito anche il parere non vincolante della Commissione Scientifica del Gitmo (Gruppo Italiano Trapianto di Midollo Osseo) e abbiamo chiesto l’opinione a numerosi esperti internazionali. Vorrei infine ringraziare tutti i miei collaboratori del Centro di Eccellenza ed in particolar modo il dottor Tommaso Casini che ha seguito, momento per momento, l’intero percorso terapeutico della bambina”.