Ven 13 Dic 2024
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Martina Rossi, tribunale concede la ‘semilibertà’ ai due condannati. Genitori: “È un mezzo premio”

Firenze, detenzione in regime di semilibertà: è quanto è stato deciso dal tribunale di sorveglianza per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due trentenni aretini condannati in via definitiva a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo ai danni di Martina Rossi. E i genitori della ragazza attaccano: “È un mezzo premio”.

L’udienza si è svolta il 29 settembre scorso, ieri la decisione del tribunale è arrivata in procura generale che ha emesso il provvedimento di esecuzione. Albertoni e Vanneschi si sono poi costituiti nel pomeriggio al carcere di Arezzo, esattamente un anno dopo il verdetto della Cassazione del 7 ottobre 2021 che ha confermato, rendendola definitiva, la condanna emessa nel processo d’appello bis nell’ambito del procedimento nato dal decesso, il 3 agosto 2011, della ventenne studentessa genovese: per i giudici Martina Rossi morì precipitando dal terrazzo di un albergo di Palma di Maiorca mentre cercava di scappare al tentativo di violenza di Albertoni e Vanneschi.

“La semilibertà concessa agli assassini di mia figlia è un mezzo premio non meritato. Sarei stato più felice se fossero rimasti in carcere e mi chiedo: quali lavori potranno fare? Uno correva in moto, l’altro non mi risulta abbia mai lavorato”, il commento del padre della giovane, Bruno Rossi.

“Sono profondamente rattristato – aggiunge l’uomo – ma almeno non hanno avuto i lavori di pubblica utilità, anche perché non hanno fatto niente per meritarselo”.

La semilibertà è una misura alternativa che prevede il lavoro esterno e la possibilità anche di soste a casa, secondo un programma da stabilire, con rientro in carcere per la notte. Riguardo ad Albertoni e Vanneschi, entrambi incensurati prima della condanna per Martina Rossi, nell’udienza al tribunale di sorveglianza il pg aveva chiesto il rigetto delle misure alternative, mentre le difese di entrambi i condannati quella dell’affidamento ai servizi sociali.

Sul perché non sia stata concessa quest’ultima misura, il legale dei genitori di Martina, l’avvocato Luca Fanfani, spiega in via generale che “il giudizio sull’insussistenza delle condizioni si basa non già sulla sola considerazione dei reati commessi, ma sulla ritenuta insufficienza di elementi positivi in grado di attestare la consapevolezza del disvalore di quanto compiuto e di rivedere criticamente e controllare le pulsioni all’aggressività e le spinte a delinquere”.

“Continuerò la mia battaglia per cambiare le leggi che permettono ciò anche per certi reati. A novembre lanceremo l’associazione Martina Rossi assieme ad alcuni giuristi”, spiega sempre il padre della ragazza che però aggiunge:

“Comunque, sapendo che dovranno stare in carcere, ho potuto dare una fine ad una lotta di undici anni”: “è la dimostrazione che le mie battaglie sono state giuste, anche perché le ho fatte per una cosa bella, per avere giustizia”. E “quando guardo la foto di Martina alla sera ora sono più sereno e più tranquillo e le dico ‘almeno in prigione ci sono entrati'”.

Ma la voglia di cambiare le cose rimane. “Voglio che quello che mi è successo non possa accadere a nessun altro. Persone così devono pagare, anche dal punto di vista economico. Ho aspettato tanto tempo e questo è un piccolo ritorno alla normalità. Da quando ho perso Martina è tutto brutto, tutto non risolto ma adesso si vede come le cose fossero semplici”.