Gio 18 Apr 2024

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Concerie toscane usate a scopo di riciclaggio

Firenze, denaro frutto di attività illecite per un totale di centinaia di migliaia di euro, che veniva ‘ripulito’ attraverso l’invio ad alcune concerie toscane, con sede tra le province di Firenze e Pisa, grazie a una rete di spedizionieri compiacenti.

Il trasferimento di denaro alle concerie toscane è stato scoperto dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Firenze che ha portato a due arresti eseguiti su disposizione del gip Silvia Romeo.

Indagate complessivamente 18 persone. In manette, su richiesta del pm Giuseppina Mione, sono finiti due uomini residenti a Napoli, Ciro Taglialatela (figlio di Bruno Taglialatela, esponente di spicco del clan camorristico Lo Russo di Napoli) e Vincenzo Bocchetti.

Le accuse sono di riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Per l’accusa i due, in qualità di referenti delle ditte ‘Brupel’ e ‘World Pellami’ di Casavatore (Napoli), avrebbero trasferito alle concerie toscane il denaro da riciclare.

In base a quanto emerso, le ditte del Napoletano avrebbero emesso fatture false, verso le concerie del distretto toscano, facendo riferimento a ordini fittizi di merce e ricevendo in cambio pagamenti con bonifici bancari. I soldi venivano poi restituiti in contanti alle ditte del distretto conciario.

Il meccanismo di riciclaggio del denaro, spiegano gli investigatori, è quello già scoperto con l’indagine ‘Vello d’oro’, che portò a 14 arresti il 19 febbraio del 2018. Le indagini, svolte con l’ausilio di attività tecniche e attraverso accertamenti di natura contabile e bancaria, hanno dimostrato che, nell’estate del 2015, Ciro Taglialatela e Vincenzo Bocchetti erano subentrati a soggetti calabresi legati alle famiglie di ‘ndrangheta dei Nirta e dei Barbaro, rilevando i rapporti illeciti di natura economica con gli imprenditori toscani. Intermediario tra gli imprenditori rimaneva Cosma Damiano Stellitano, tra gli arrestati nel febbraio 2018.

In base a quanto accertato dai carabinieri, il denaro versato in contanti alle attività economiche toscane veniva impiegato principalmente per retribuire le prestazioni ‘fuori busta’ dei lavoratori dipendenti, riducendo gli esborsi di carattere previdenziale.

Le fatture per operazioni inesistenti venivano invece utilizzate dai medesimi imprenditori toscani per abbattere gli utili dichiarando elementi passivi fittizi, ai fini di evadere le imposte sul reddito o sul valore aggiunto.

Tra i 18 indagati figurano collaboratori dei due arrestati, titolari di imprese toscane e responsabili di ditte di spedizioni, tutti già perquisiti nell’ambito delle indagini nell’ottobre del 2018.

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