Gio 16 Mag 2024

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Aiutò paziente a morire, primario Pisa: “su suicidio assistito serve legge gentile”

Il dottor Paolo Malacarne, primario in pensione del reparto di rianimazione dell’ospedale di Pisa, che ha seguito il paziente protagonista del primo caso di suicidio medicalmente assistito in Toscana.

“Serve una legislazione ‘gentile’ che sappia prevedere le diverse tipologie di casi che si presentano e sappia proteggere la relazione di cura”. Lo ha detto Il dottor Paolo Malacarne, primario in pensione del reparto di rianimazione dell‘ospedale di Pisa, che ha seguito il paziente protagonista del primo caso di suicidio medicalmente assistito in Toscana.

“Serve una legislazione che supporti la relazione di cura e di fiducia che si instaura tra il medico, il paziente e i suoi familiari” ha detto  Malacarne, che  tuttavia non ha voluto svelare alcun dettaglio sul caso in questione.

“Ho un patto con i familiari che intendo rispettare – ha sottolineato – e che mi vieta di dare qualunque informazione che possa rendere riconoscibile il paziente. Posso solo dire che non si tratta di un piombinese di 40 anni”.

Secondo il medico tuttavia, “il tema è molto delicato e non può essere affrontato dicendo bianco o nero, anche se ritengo che il Paese sia più pronto ad affrontarlo rispetto al Parlamento dove determinati dogmatismi politici influenzano anche scelte che attengono principalmente all’etica di ciascuno di noi”.

   “La sentenza della Consulta che introduce il suicidio medicalmente assistito – ha osservato Malacarne – però dice con chiarezza che il suicidio medicalmente assistito  è possibile soltanto dopo che il paziente ha avuto l’opportunità di accedere a un percorso di cure palliative e può arrivare dopo una valutazione espressa da una commissione del sistema sanitario nazionale che abbia valutato tutti questi aspetti”.

La legislazione su questa materia, però, ha concluso Malacarne, “necessita di paletti precisi che tengano in considerazione aspetti fondamentali e tra questi auspico proprio quello del supporto alla relazione di cura e di fiducia tra medico e paziente: penso, ad esempio, ai casi in cui determinati pazienti, pur se lucidi e consapevoli, non sono in grado di somministrarsi da soli il farmaco letale, né per infusione in vena, né assumendolo per bocca e questa materia ha bisogno di essere normata tenendo conto anche di questi aspetti per non scivolare in aspetti difformi da quelli esplicitati nella sentenza della Corte Costituzionale”.

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