The War On Drugs “I Don’t Live Here Anymore” – Disco della settimana.

Quello di The War on Drugs è un rock in bilico fra classico e innovazione, una sintesi vagamente “AOR” (adult oriented rock) che a molti può far storcere il naso, ma che ha una sua indubbia efficacia, con riverberi di Springsteen, Tom Petty, Waterboys, Wilco e tanto suono, come si diceva una volta, “rock da FM” anni ’80.

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The War On Drugs, giunti dalla scena indie/alternative ad essere “una delle migliori band rock del ventunesimo secolo” per NME, hanno pubblicato il loro nuovo album in studio dal titolo “I Don’t Live Here Anymore” venerdì 29 ottobre su etichetta  Atlantic Records. “I Don’t Live Here Anymore” è un album rock fuori dal comune sul tema della resilienza di fronte alla disperazione.

“I Don’t Live Here Anymore” è il primo album in studio dei The War On Drugs dopo oltre quattro anni e il primo dopo aver vinto il Grammy come “Best Rock Album” per “A Deeper Understanding” del 2017. La particolare combinazione di complessità e immaginazione della band da corpo ai 10 brani dell’album, appoggiandosi sui sentimenti dell’odissea personale di Adam Granduciel, l’anima della band. Trattazioni più estese sui contenuti dell’album si possono trovare su Pitchfork e sul The New York Times.

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I War On Drugs saranno i protagonisti del Desert Daze il mese prossimo. Il loro tour partirà il 19 gennaio da Austin, TX e li porterà in molte delle più grandi venue in cui abbiano mai suonato fino ad ora , incluso il loro primo show da headliner al Madison Square Garden. La band sarà live anche in Italia il 5 aprile all’Alcatraz di Milano per un unico ed imperdibile show. Per tutte le date del tour vai su http://www.thewarondrugs.net/tour

“Hanno raggiunto grandissimi risultati con brani realizzati in modo meticoloso, col tempo hanno cambiando i loro suoni per ottenere qualcosa di più strutturato e diretto”- The New York Times

“The War On Drugs hanno raggiunto l’apice con “I Don’t Live Here Anymore” – Pitchfork, Best New Track

“‘I Don’t Live Here Anymore’ è il miglior album della band finora e potrebbe essere il miglior album rock del 2021” – The Wall Street Journal

“[The War On Drugs] continuano a spingere oltre ai confini del rock classico e nel farlo la loro musica è la migliore fino ad oggi” – Entertainment Weekly

“Il suono di una band che si diverte, una band che non è mai stata così sicura di ciò che fa meglio” – Rolling Stone

“I Don’t Live Here Anymore è l’album dei War On Drugs  più concreto e il migliore” – MOJO

“I Don’t Live Here Anymore” di The War On Drugs, è il nostro Disco della settimana.

 

Tracklist

  1. Living Proof
  2. Harmonia’s Dream
  3. Change
  4. I Don’t Wanna Wait
  5. Victim
  6. I Don’t Live Here Anymore
  7. Old Skin
  8. Wasted
  9. Rings Around My Father’s Eyes
  10. Occasional Rain

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Tori Amos “Ocean To Ocean” – Disco della settimana

Tori Amos ha pubblicato il suo attesissimo nuovo album Ocean to Ocean il 29 ottobre su Decca Records. Una raccolta di canzoni dalla forte carica emotiva che narrano una storia universale, quella di una crisi profonda per rinnovarsi di nuovo.

Mentre le comunità di tutto il mondo subivano i colpi della pandemia e delle misure politiche e sanitarie ad essa connesse (perdita di vite umane, della musica dal vivo, della socialità, dell’istruzione, dei viaggi e molto altro) anche  Tori Amos ha trascorso un momento estremamente difficile.

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La traccia principale dell’album ed il primo singolo da esso estratto, “Speaking With Trees”, affronta con sincerità il dolore provato dagli artisti in un periodo in cui non c’era speranza in vista per la musica dal vivo. L’energia repressa di Tori Amos è tangibile nel suo pianoforte a moto perpetuo incorniciato dalla turbolenta batteria e percussioni di Matt Chamberlain. “Ho nascosto le tue ceneri sotto la casa sull’albero, non sorprenderti, non posso lasciarti andare”.

Impossibile per Tori Amos star ferma durante il lockdown, suona dal vivo da quando aveva tredici anni. Divide la sua vita tra Cornovaglia, Florida, e la strada. Le sue canzoni nascono dal viaggio e dall’osservazione. Il suo ultimo disco in studio, Native Invader del 2017, univa quattro filoni estremamente disparati – un viaggio in Tennessee, storie ispirate ai suoi antenati, l’ascesa di Donald Trump e la lenta perdita di sua madre per un ictus – con energia e coesione. Ma senza musica dal vivo, viaggi o altro da osservare, Tori Amos ha trascorso il periodo di pandemia con forte disagio; rintnata in Cornovaglia, ha vissuto una crisi personale non dissimile da quella che moti hanno sofferto durante il terzo blocco del Regno Unito – quello in inverno, che sembrava non dover finire mai.

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Contro ogni previsione, quella crisi ha portato a Ocean to Ocean, il lavoro più personale di Amos da anni: un album esplosivo per calore e connessione, con profonde radici nella sua prima composizione. È scesa in uno stato emotivo più profondo di quanto avesse mai fatto prima, ma la profondità è diventata creativa, riportandola al tipo di introspezione del suo album di debutto Little Earthquakes. “Questo è un album sulle tue perdite e su come le affronti”, dice. “Per fortuna quando hai vissuto abbastanza a lungo, puoi riconoscere che non ti senti come la mamma che vuoi essere, la moglie che vuoi essere, l’artista che vuoi essere. Mi sono resa conto che per cambiare questo, devi scrivere dal luogo in cui ti trovi. Ero nel mio inferno privato, quindi mi sono detto, allora è da lì che scrivi – l’hai già fatto prima… ”

Scritta tra marzo e l’estate di quest’anno, Ocean to Ocean è una storia universale, ovvero toccare il fondo e rinnovarsi di nuovo. In Cornovaglia era circondata da coloro che amava: suo marito Mark, la figlia adulta Tash e il suo ragazzo. Per un disco scritto in un ambiente intimo, due sono le cose da sottolineare: la sua ricca varietà stilistica, dal tango al romanticismo, e la immediatezza delle canzoni, che scorrono quasi come una serie di lettere d’amore alla famiglia sia presente che assente. È, in un certo senso, il suo disco più “Cornish”, legato alla sua terra, realizzato finora: l’opera d’arte dice tutto, con Tori Amos che ha girato sulle scogliere e nelle grotte sulle coste sud-occidentali della contea per collezionare immagini. 

“Se hai elaborato cose tristi viaggiando, sei riuscita a eliminarle”, dice. “Il mio schema è sempre stato quello di saltare su un aereo e andare negli Stati Uniti. Viaggiavo solo per fare nuove esperienze. Dovevo invece trovare un luogo e “viaggiare” come facevo quando avevo cinque anni, nella mia testa”.

Un senso di dislocazione, sia geografica che emotiva, è presente nella title track, il cui dramma si svolge sulle coste del Regno Unito e degli Stati Uniti. È una canzone di parentela e amore, sull’aggrapparsi l’uno all’altro attraverso tempi difficili con un’urgenza malinconica che abbiamo sentito nel lavoro di Tori Amos fin dall’inizio.

 

“Ho preso l’impegno di cercare di guardare le cose in un modo che mi portasse a rafforzarmi”, dice Tori. “Ma che cos’è il potere? A volte non sei ancora pronto per alzarti in piedi, devi iniziare dallo stare seduto per terra. Tutti abbiamo avuto momenti che possono buttarci giù. Questo album si trova con te dove sei, specialmente se sei in un luogo di perdita. Sono affascinata quando qualcuno, dopo aver attraversato una tragedia, riesce a superare il proprio dolore. È lì che sta il valore. Quando qualcuno è effettivamente in quel posto, pensando “è finita”, come raggiungi quella persona? Non si tratta di una pillola o di una doppia dose di tequila. Si tratta di stare insieme nel fango. Ti incontrerò nel fango.»

 

Dall’uscita del suo primo album solista che ha tracciato la carriera, Little Earthquakes, e del suo album numero 1 Under The Pink, Tori Amos è stata una delle artiste più longeve e ingegnose dell’industria musicale, con tre album nella top 10 e il singolo di grande successo globale Professional Widow che è rimasto nella Top 40 per ben 15 settimane e ha continuato a risuonare nei club per oltre un decennio. Tori è passata dal successo commerciale del pop a una musica che affronta seri problemi relativi al genere femminile, aprendo successivamente la strada a una generazione di giovani popstar attiviste. Dalla sua rappresentazione viscerale dell’aggressione sessuale in Me and a Gun e dal suo album dopo l’11 settembre Scarlet’s Walk al suo musical teatrale decisamente femminista The Light Princess, il suo lavoro non ha mai evitato di mescolare il personale con il politico. Nota per la sua grande attenzione ai problemi umanitari, Tori è stata la prima voce pubblica per RAINN (Rape, Abuse, and Incest National Network), che è la più grande organizzazione anti aggressione sessuale degli Stati Uniti e continua a essere membro del suo National Leadership Council.

Ocean to Ocean sarà disponibile anche in vinile (2 LP) il 28 gennaio 2022.

Tori Amos sarà in concerto in Italia nell’ambito del tour europeo il 22 febbraio 2022 a Milano, Teatro degli Arcimboldi.

Ocean To Ocean è il nostro Disco della settimana.

Low Hummer “Modern Tricks For Living” – Disco della Settimana

Post punk, electro, garage, dream pop, riverberi 90’s e pulsazioni dance. “Modern Tricks For Living” dei giovanissimi Low Hammer è il nostro disco della settimana.

Album di debutto per la promettente band di Hull formata alla fine del 2019 da  Dan Mawer (voce e chitarra), Aimee Duncan (voce e chitarra), John Copley (chitarra), Jack Gallagher (basso), Stephanie Hebdon (testiere e chitarra) e Joe Gray (batteria).

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L’album, prodotto da Matt Peel (Menace Beach, Pulled Apart By Horses, Crushed Beaks) è stato registrato presso il The Nave studio di Leeds ed è un caleidoscopio di
post punk, electro, garage, dream pop, riverberi 90’s e pulsazioni dance punteggiato da tastiere e taglienti riff di chitarra accompagnato da testi cinici e ironici.

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“Modern Tricks For Living”, pubblico da Dance To The Radio (etichetta di Leeds con un nome che è già un manifesto), è stato anticipato dai singoli “I Tell You What”, “Never Enough”, “Human Behaviour” e “The People, This Place”.

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Official site: www.lowhummer.com

The Bevis Frond “Little Eden” – Disco della settimana

Little Eden è il nuovo album di The Bevis Frond, appena uscito per Fire Records. Una panoramica psichedelica della Gran Bretagna moderna, punteggiata da melodie pop e malinconia inglese.

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L’album scorre con un avvolgente soffio di maturità che pervade la fatalistica Do Without Me e l’ossessionante Hold Your Horses, che suona come un outtake di Dylan da The Basement Tapes. In Little Eden si ritrova tutto il bagaglio musicale condiviso con Teenage Fanclub o Dinosaur Jr, quell’approccio molto anni 90 alla tradizione di Neil Young, ai Love di Arthur Lee, ai Byrds ed ai Kinks, fino a Hendrix, rivisto tramite il suono “alternative” o “grunge”.

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Little Eden è un disco prodotto in solitario da Nick Saloman, e forse soffre di una certa prolissità e di una produzione inferiore alle aspettative, ma che inanella una serie di tracce della consueta, cristallina, bellezza, al servizio di un concept simile al “The Village Green Preservtion Society” dei Kinks, una denuncia all’austerità e alla freddezza che sono arrivate a definire in maniera troppo marcata la nostra società moderna in contrapposizione a piccoli Eden immaginari o reali nella sfera personale.

“A cult favourite” Pitchfork

“A perennially underrated English cult figure” Classic Rock

“Still mixing pop, punk and psych to giddy effect” The Guardian

Little Eden di The Bevis Frond è il nostro “Disco della settimana”!

Disco della settimana: BADBADNOTGOOD “Talk Memory”

Jazz, hip-hop, suggestioni cinematiche, un pizzico di progressive ed un approccio “alternative” sono l’amalgama vincente dei BADBADNOTGOOD, interessantissimo ensemble canadese alle prese con il suo quinto album.

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BadBadNotGood è un gruppo di musica strumentale canadese e un team di produzione di Toronto, Ontario. Il gruppo è stato fondato nel 2010 dal bassista Chester Hansen, dal tastierista Matthew Tavares e dal batterista Alexander Sowinski. Nel 2016, sono stati affiancati dal collaboratore Leland Whitty. Tra gli altri progetti, il gruppo ha pubblicato cinque album in studio, compreso l’ultimo, Talk Memory, appena pubblicato. Hanno avuto un enorme successo tra pubblico e critica, trovando fan nelle comunità hip hop, jazz e musica alternativa.

Il gruppo combina la musica jazz con una prospettiva di produzione hip hop ed è ben noto per le sue collaborazioni con artisti come Tyler, The Creator, Daniel Caesar, Mick Jenkins, Kendrick Lamar e Ghostface Killah. Per il loro lavoro di composizione e produzione, sono stati nominati per quattro Grammy Awards, vincendone due.
Il nuovo album, un lavoro basato per lo più su session di improvvisazione, è stato prodotto e scritto dal trio con il contributo degli strumentisti americani Laraaji, Karriem Riggins, Terrace Martin e Brandee Younger e arrangiamenti per archi del compositore brasiliano Arthur Verocai.
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Dopo la promozione sui social media all’inizio di luglio, la band ha annunciato ufficialmente l’album il 15 luglio 2021, pubblicando il singolo principale “Signal from the Noise”.

Così in una recente intervista la band ha descritto il processo creativo alla base delle sue produzioni: “Quello che facciamo è avvicinarci alla musica da una formazione jazz. Usiamo il linguaggio jazz quando scriviamo, ma non siamo poi i migliori musicisti del genere, quindi non cerchiamo di vederci come innovatori prolifici perché il jazz ha questa storia di progressione costante senza limiti con otto ore al giorno di pratica. Abbiamo allora imparato a trovare interessi diversi – che si tratti di produzione, tecniche di registrazione, scrittura, esplorazione di generi musicali completamente diversi – invece di far progredire i nostri strumenti di per sé come solisti. Ascoltiamo Coltrane e Sun Ra e tutti questi avanguardisti, ma per noi siamo nell’era di Internet e dell’epoca in cui viviamo amiamo studiare tutto. È questa strano processo in corso per cui per noi è importante continuare a essere istruiti e imparare”.

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Uscito per XL Recordings and Innovative Leisure, “Talk Memory” dei BADBADNOTGOOD è il nostro Disco delle settimana!

Disco della settimana: Shaun Ryder “Visits From Future Technology”

“Visits From Future Technology” è il secondo album solista, a distanza di una ventina d’anni dal precedente “Amateur Night In The Big Top”, di Shaun Ryder, figura ormai leggendaria della Madchester degli Happy Mondays, artefici della rinascita della club culture nei tardi anni ’80. Nel mio delirante cervello colpito da disturbo da deficit di attenzione iperattività questo è il mio Sgt. Pepper, pieno di canzoni variegate”.

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In pista da quarant’anni, dalla fondazione degli Happy Mondays, Shaun Ryder ha una produzione musicale tutto sommato contenuta, cinque album in studio con la sua prima band, tre con i Black Grape e due da solista, compreso il nuovo Visits From Future Technology

L’album contiene un variegato mix di stili, diretto, giocoso e “catchy”, tra funk, Madchester, sixties, reminiscenze clashiane e i consueti fumi lisergici. “Nel mio delirante cervello colpito da disturbo da deficit di attenzione iperattività questo è il mio Sgt. Pepper, pieno di canzoni variegate”. E’ il nostro Disco della settimana.

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Recentemente a Ryder è stata diagnosticata una forma grave di disturbo da deficit di attenzione e iperattività, «mi dicono che i miei testi siano pieni di metafore. Credo sia vero, anche se onestamente ho dimenticato quale sia la definizione di ‘metafora’Ho cominciato a drogarmi a causa del disturbo da deficit dell’attenzione, ero un diverso e mi sentivo normale quando prendevo droghe»

Bez, suo sodale negli Happy Mondays ha rivelato come Ryder abbia scritto nuova musica anche con Noel Gallagher sebbene questo materiale non sia presente nella tracklist.

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