Esemplare di delfino morto trovato in Toscana, è il 36/o da inizio anno

Non si arresta la moria di delfini in Toscana, dove ieri alla Feniglia è stato ritrovato spiaggiato un esemplare di Stenella. È il 36/o caso dall’inizio dell’anno e il 19/o dall’inizio di luglio nella regione.

Il ritrovamento è avvenuto non più di due giorni dopo l’ultimo, effettuato nelle acque livornesi; allora si trattava di un esemplare di Tursiope. A renderlo noto è stata oggi l’agenzia Arpat, attraverso il proprio account Twitter.

Foto dell’account Twitter di ARPAT

Lo scorso anno sono stati trovati spiaggiati in Toscana 23 cetacei di cui 20 delfini, mentre nel 2017 furono 48 di cui 41 delfini.

Recentemente l’assessore regionale all’ambiente, Federica Fratoni, ha reso noto che, in base alle autopsie condotte su 8 esemplari che si sono spiaggiati in Toscana negli ultimi mesi, 7 delfini presentavano lo stomaco completamente vuoto, come se qualche patologia li avesse indeboliti al punto da non riuscire a nutrirsi e, di conseguenza, morire. L’ipotesi della moria, avanzata nei giorni scorsi dalla biologa marina Sabina Airoldi del centro studi sui cetacei Tethys, è quella di un’epidemia di Morbillivirus.

6 intossicati alla Chimet, procura di Arezzo indaga due persone

Si cercano eventuali responsabilità sull’intossicazione di sei operai ieri alla Chimet di Badia al Pino, l’azienda specializzata in recupero metalli preziosi e trattamento di rifiuti speciali. La procura di Arezzo ha aperto un fascicolo per lesioni colpose nel quale ha scritto il nome di due preposti alla sicurezza dell’azienda. Le indagini vanno avanti per stabilire cosa abbia provocato l’intossicazione e se fossero state rispettate tutte le normative vigenti. Intanto migliorano le condizioni di tutti gli operai.

Ed è proprio sulla salute dei dipendenti che si apre la nota dello stabilimento chimico metallurgico. Chimet spiega come “in merito all’incidente avvenuto ieri mattina, nello stabilimento di Badia al Pino, durante normali procedure di manutenzione, Chimet ritiene innanzitutto opportuno rassicurare circa le condizioni dei lavoratori coinvolti: nessuno di loro ha riportato conseguenze gravi, né è stato mai in pericolo di vita”.

L’azienda, si legge ancora, “ringrazia tutti i dipendenti che hanno agito secondo le procedure di legge, le forze dell’ordine, i vigili del fuoco e i tecnici Arpat” e precisa che “si è subito attivata per comprendere le cause che hanno generato la formazione – del tutto anomala – di monossido di carbonio”. Chimet “in ogni caso – conclude la nota – continuerà ad investire sia sulla formazione del personale, sia sulla ottimizzazione dei propri processi industriali, ricercando le migliori tecnologie a disposizione, per rendere sempre più efficienti le procedure in essere”.

Anidride solforica fuoriesce da impianto, due operai assistiti

Una fuoriuscita di anidride solforica si è verificata ieri, intorno alle 23:30, alla Solmine di Scarlino, Grosseto; sul posto si è recata, tra gli altri, anche Arpat.

La fuoriuscita di anidride solforica è durata circa tre minuti e due operai del vicino impianto Venator hanno accusato una “leggera irritazione alle prime vie respiratorie e sono stati prontamente assistiti dal medico di fabbrica. Non ci sono state altre conseguenze sui presenti nell’impianto e nelle zone limitrofe salvo rumori degli allarmi e delle valvole di protezione del circuito vapore”.

A comunicarlo è la Nuova Solmine, che annuncia di aver “deciso di fermare l’impianto e di anticipare di due settimane la manutenzione già a suo tempo programmata”. L’azienda spiega che “durante una normale fase di ripartenza dell’impianto, che era stato precedentemente fermato per consentire una manutenzione alla rete elettrica nazionale, si è determinata una anomalia al circuito vapore con conseguente attivazione degli allarmi acustici predisposti. L’anomalia ha prodotto la fermata dell’impianto e la fuoriuscita di gas per circa 3 minuti”.

Prosegue l’azienda: “Tale evento, circoscritto all’area industriale, ha determinato l’attivazione degli allarmi del vicino impianto Venator. Tutti gli allarmi acustici ed elettrici hanno funzionato”.

In una nota il sindaco di Follonica Andrea Benini spiega che nella zona è stato “udito un forte rumore provenire dall’area industriale del Casone di Scarlino, seguito dal rumore della sirena”. Benini sottolinea di aver subito contattato Solmine “per avere chiarimenti rispetto alla non pericolosità dell’accaduto. Immediatamente sono intervenuti i vigili del fuoco ed Arpat mentre continua l’impegno dell’Amministrazione di Follonica per vigilare su quanto accaduto”.

Secondo quanto spiegato dall’Agenzia regionale per l’ambiente, la fuoriuscita di anidride solforica è stata rapidamente messa sotto controllo e non ci sarebbero rischi per la popolazione. I tecnici di Arpat sono tornati anche stamani sul posto per ulteriori verifiche: da quanto appreso, al momento la fuoriuscita dalla Solmine, che produce acido solforico, potrebbe essere stata causata da una valvola saltata.

In prefettura a Firenze nel frattempo si sarebbe riunito un tavolo per approfondire quanto avvenuto ieri sera alla Nuova Solmine. Presenti, spiega una nota, sia Andrea Benini che Francesca Travison. Insieme a loro il viceprefetto, e rappresentanti di 118, Arpat, vigili del fuoco e dell’azienda. “Durante la riunione sono stati discussi i primi dati provenienti dalle centraline di controllo dell’aria che sembrano non dover destare preoccupazione – si legge ancora – ma Arpat è già a lavoro per elaborare i dati definitivi che saranno diffusi nel pomeriggio”. Benini e Travison spiegano di aver “chiesto i dati puntuali di tutte le centraline a disposizione; sia quelle nel perimetro dell’impianto, che, soprattutto, quelle vicine ai centri abitati dei nostri comuni. Vogliamo esercitare il nostro ruolo di controllo senza dare niente per scontato – continuano i due sindaci – e nella massima trasparenza nei confronti dei cittadini che meritano risposte esaustive”.

Per i primi cittadini di Scarlino e Follonica “è evidente che il rumore della sirena sentito ieri sera abbia destato forte preoccupazione; per questo ci siamo immediatamente mossi per chiedere chiarezza sia all’azienda, che agli enti preposti al controllo, in modo da poter rispondere alle richieste dei cittadini”.
Dai dati ad ora disponibili della Asl, si legge ancora, non risultano accessi da parte di cittadini ma solo dei due operai Venator rimasti leggermente irritati alle prime vie aeree.

Esemplare di delfino trovato deceduto a San Rossore

Nella giornata di ieri, è stato ritrovato un esemplare di delfino morto sulle spiagge di San Rossore, Pisa. A comunicarlo è l’agenzia ambientale Arpat, spiegando che si tratta di un tursiope.

Si tratta dell’ennesimo episodio che avviene nelle spiagge toscane: l’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato quello dell’ esemplare di tursiope, probabilmente ancora in fase di allattamento, ritrovato senza vita a Viareggio due giorni fa, vegliato dalla madre e dalla sorella.

Secondo uno studio condotto da Arpat, uscito pochi giorni fa, il trend degli spiaggiamenti lungo le coste toscane è ancora da considerarsi ‘normale’, dato che la lunga serie storica di dati riguardanti la nostra regione (a partire dal 1986), precisa, ci indica che ogni anno in Toscana si spiaggiano mediamente 18 individui e che  bisogna comunque considerare che molte carcasse hanno galleggiato a lungo in mare aperto, per poi spiaggiarsi.

Viareggio: piccolo delfino muore, madre e sorella lo vegliano in acqua

Nuovo episodio di un delfino morto nelle acque della costa toscana dopo quelli verificatisi nei giorni scorsi. Un piccolo di delfino deceduto è stato vegliato a lungo dalla mamma e dalla sorella rendono difficile il recupero della carcassa. La notizia è stata resa nota dalla Capitaneria di Porto di Viareggio con un comunicato.

Questa mattina, intorno alle ore 11, un velista viareggino, mentre navigava a circa due miglia nautiche al largo del porto di Viareggio, ha notato la presenza di un piccolo delfino morto, circondato da altri due esemplari più grandi ancora vivi. Immediatamente il diportista ha contattato telefonicamente la sala operativa della Guardia Costiera di Viareggio che a bordo del battello Gc A78, oltre all’equipaggio di militari, ha imbarcato anche il dottore Silvio Nuti, fondatore e presidente del Centro Cetus Viareggio, che sta già studiando le dinamiche di simili eventi nei mari della Toscana.

Giunti sul punto indicato dal velista, i militari della Guardia Costiera ed il biologo hanno assistito ad una scena unica, ad oggi mai documentata nel Santuario dei Cetacei (il tratto di mar Tirreno e Ligure compreso tra il Fosso del Chiarone, la costa nord della Sardegna e la penisola di Giens). In mare era infatti presente un piccolissimo esemplare di delfino tursiope femmina, non più di tre mesi di vita, forse ancora in fase di allattamento. Il dottor Nuti, infatti, ha riconosciuto sul corpo del delfino le pieghe fetali ed ha constatato l’assenza di denti. Ad ogni tentativo di recuperare la piccola carcassa del tursiope, lungo meno di 140 cm, i militari hanno percepito un evidente comportamento agitato, quasi disperato degli altri due delfini adulti di sesso femminile, rimasti sempre vicino al piccolo tursiope morto. Si è trattato con molta probabilità della madre e della sorella del cucciolo, che facevano chiaramente capire di avere un legame molto stretto con il piccolo tursiope deceduto. Dopo circa quaranta minuti di osservazione sul comportamento degli individui adulti, l’equipaggio della motovedetta è riuscito a recuperare la carcassa del piccolo delfino per portarla in porto per le analisi necroscopiche, anche alla luce delle recenti numerose morti che hanno interessato la popolazione toscana dei tursiopi.

Secondo la Guardia Costiera, la morte del piccolissimo esemplare di delfino recuperato oggi, avvenuta poche ore prima del ritrovamento, non è correlata ad un impatto diretto con azioni antropiche quali collisione con barche, attività di pesca o ingerimento di plastiche. Il piccolo delfino è stato consegnato a ricercatori dell’Università di Siena e le analisi verranno svolte anche in collaborazione con Arpat e Istituto Zooprofilattico di Pisa.

Un altro delfino morto è stato trovato oggi in Toscana. L’esemplare era in decomposizione a Capoliveri (livorno) sull’isola d’ELBA. Lo comunica l’agenzia Arpat.

ARPAT, studio rileva moria di pesci nel fiume Arno

Secondo uno studio eseguito da ARPAT, le alte temperature delle acque e le elevate percentuali di saturazione di ossigeno, combinate con le forti piogge cadute gli scorsi giorni, che determinano percolamento dal terreno, sono state, presumibilmente, le cause della moria di pesci notate domenica sera nelle acque del fiume Arno.

L’analisi sulle cause della moria è stata effettuata grazie al monitoraggio supplementare che ARPAT esegue fra i mesi di giugno e settembre, dal quale è stato possibile osservare, tramite 4 sonde localizzate in punti differenti, i parametri di temperatura, ossigeno disciolto e in saturazione, potenziale redox, conducibilità e pH; particolare attenzione è stata riservata ai primi due parametri, che sono confrontati con soglie di attenzione e di allarme, che rappresentano il 90 e 95 percentile di valori misurati negli ultimi dieci anni.

In relazione all’evento avvenuto nei giorni scorsi, le misure della sonda di Buonriposo riportano temperature elevate fino a 30 gradi durante la settimana fino a venerdì, con percentuali di saturazione di ossigeno oltre il 140 %, considerate molto alte per la zona in esame; tali valori poi subiscono un drastico calo nel fine settimana in occasione dell’evento meteo di notevole intensità che ha interessato tutta la regione ed in particolar modo la provincia di Arezzo. Questi eventi anomali provocano stress alla fauna ittica, a cui si è aggiunge un abbassamento dei valori minimi di ossigeno nel fine settimana.

Trend similari sono stati riscontrati anche nelle tre stazioni di monitoraggio più a valle del fiume Arno; nella stazione di Calcinaia tale situazione risulta tuttavia incerta nei valori assoluti a causa dell’anomalo posizionamento delle sonde causato dall’ondata di piena del fiume.

L’ARPAT, inoltre, fa alcune precisazioni in relazione all’ipotesi che, nella zona di Pontedera, possa esserci un’area di riproduzione dei muggini, dicendo che è da escludere perché questi pesci, come quasi tutte le specie ittiche marine che vivono anche in acque di transizione, possono riprodursi solamente in mare. Tra i muggini la specie che si spinge più a monte è Liza ramada, ma non risulta che si spinga molto oltre il tratto pisano dell’Arno.

Si presume quindi che gli esemplari morti siano stati avvistati non lontano da dove si è verificato l’evento; è possibile però che almeno in parte provenissero da affluenti dell’Arno in quell’area. Inoltre questa specie di muggini si adatta bene ad acque a salinità molto bassa , per questo può risalire anche per diversi chilometri i corsi d’acqua, anche dove il cuneo salino del mare non può arrivare.

La notizia che la mortalità ha riguardato solamente i muggini potrebbe non essere completamente corretta in quanto questa specie ha una biomassa molto elevata in Arno, rappresentata in gran parte da esemplari di grandi dimensioni; è quindi possibile che la moria di muggini abbia mascherato, ad un primo esame, morie analoghe di specie meno abbondanti e di dimensioni minori. L’altra specie con biomassa abbondante in Arno, il pesce gatto, è molto più resistente del muggine a condizioni ambientali sfavorevoli.

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