“Paulette” di Lucio Fontana

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    “L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Paulette” di Lucio Fontana (Ceramica Colorata 1938).

    Di Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968), al Museo Novecento, si possono ammirare ben tre ceramiche colorate degli anni trenta. Una figura di donna distesa, un gruppo di cavalli marini, e Paulette. Grandissimo scultore, quasi cinquantenne Fontana si getta coraggiosamente in azioni rivoluzionarie in pittura, operando con fori, prima, e poi tagli sulla superficie del dipinto, sebbene non manchino, fino alla fine, invenzioni da scultore, considerando anche gli ambienti spaziali, oltre alle sculture metalliche missilistiche del 1967. E come scultore è stato essenzialmente plastico-pittorico, e soprattutto mentale-concettuale.

    Paulette è un esempio altissimo di questa vicenda artistica, che mai sembra perdere colpi. Il ritratto consente a Fontana di esercitarsi con brio e sprezzatura in una variante di incontenibile estrosità, nel senso che il linguaggio in questo caso esubera ogni possibile riferimento (all’espressionismo moderno o al barocco, ad esempio), in quanto nella modellazione che incide e scava, slabbra, incava o scanala, non opera un sentimento doloroso o luttuoso ma piuttosto felice e orgiastico, di godimento sorgivo, che è femminile e primaverile, generativo e procreatore. La materia è modellata non con un disegno a priori ma con un progettare fattuale.  Il colore poi rende la materia non elemento passivo, ma corpo plastico vibrante di vita in sé.  Guardiamo ancora una volta Paulette: sta con il braccio sollevato sulla testa come una gentildonna di Giovanni Bellini allo specchio o una vezzosa provocante ragazza di Monet.  Fontana ha amato immensamente lavorare in ceramica, eppure non ha mai voluto definirsi ceramista, ma scultore. Nella ceramica ha trovato una materia molle, duttile, che si addice alla sua esigenza di ottenere risultati spaziali dal punto di vista plastico e di superficie. Superficie lavorata con il modellato e il colore. Qui Fontana ricorre al bianco e nero, cioè al non-colore usato pittoricamente. L’immagine non nasce da un processo di imitazione o di espressione, quando piuttosto dalla contemporanea creazione di un volume in cui viene a perdersi – proprio con l’uso del colore – la distinzione tra la sua superficie e la sua massa. A questo farsi spazio nel processo di lavorazione, contribuisce la luce, che agisce non di riflesso, in superficie, ma inseguendo la materia a tutto tondo e in ogni minimo frangersi o sprofondare.

    Copyright Sergio Risaliti
    Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.