Ven 29 Mar 2024

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Normale Pisa: pesce africano aiuta a capire meccanismi Parkinson

Secondo una ricerca della Scuola Normale di Pisa un pesce africano potrebbe aiutare a comprendere i processi cerebrali degenerativi e le malattie legate all’invecchiamento come il Parkinson.

I ricercatori del laboratorio di biologia della Scuola Normale di Pisa guidati da Alessandro Cellerino, in collaborazione con l’Università di
Pisa, l’Istituto Leibniz per lo studio dell’invecchiamento di Jena e la Stazione Anton Dohrn di Napoli, hanno scoperto che una particolare specie di pesci presenta spontaneamente una forma di
neurodegenerazione durante l’invecchiamento che è simile a primi
stadi del Parkinson. Lo studio è anche parte della tesi che ha
permesso il conseguimento del perfezionando in neuroscienze a
Sara Bagnoli.

I pesci oggetto della ricerca, si spiega dalla Normale, appartengono alla specie Nothobranchius furzeri e sono il vertebrato dalla vita più breve noto, che in natura vive nelle pozze che si formano durante la stagione delle piogge in Africa e sopravvivono solo pochi mesi”. I ricercatori normalisti li usano come modello per studiare i processi dell’invecchiamento che in questi animali è estremamente accelerato.

Nello studio è stata utilizzata una tecnica di “chiarificazione” per rendere il cervello di questi pesci trasparente in modo da poterlo
visualizzare in 3D e contare i singoli neuroni che producono specifici neurotrasmettitori: così è stato evidenziato che i pesci anziani soffrono di una perdita dei neuroni che producono noradrenalina, un neurotrasmettitore che nel cervello svolge molteplici funzioni compreso il controllo del sonno. Lo stesso fenomeno si osserva nell’uomo durante i primi stadi del morbo di Parkinson, prima che compaiano i tipici sintomi motori.

“Sinora – sottolinea Cellerino – non erano noti animali da laboratorio
che sviluppassero spontaneamente una neurodegenerazione. Grazie
a questi pesci potremo cominciare studi per comprendere cosa rende questi neuroni così vulnerabili e quali fattori sono in grado di modificare il corso della neurodegenerazione”.

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