Mer 24 Apr 2024

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‘La classe operaia va in paradiso’ e alla Pergola

La classe operaia va in paradiso andrà in scena al Teatro della Pergola da domani a domenica 4 marzo, ore 20:45 e domenica ore 15:45, con la regia di Claudio Longhi, la drammaturgia di Paolo Di Paolo e l’interpretazione dell’ensemble di attori che la stagione scorsa ha raccolto successi ed entusiasmi con la trilogia Istruzioni per non morire in pace.

La produzione è ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, e lo spettacolo, costruito a partire dalla sceneggiatura di Elio Petri e Ugo Pirro, torna allo sguardo eterodosso e straniante della pellicola originaria con protagonista Gian Maria Volonté per provare a riflettere sulla recente storia del nostro Paese.“Riattraversiamo l’affresco grottesco diretto da Petri nel 1971 – afferma Claudio Longhi –con lo sguardo disilluso del nostro presente, a quasi dieci anni dall’ultima crisi economica mondiale. Se l’inferno umido e grasso della fabbrica cottimista dell’operaio Lulù Massa appare ben lontano dagli asettici e sterilizzati spazi industriali o dai lindi uffici dei precari odierni, lo stesso non è del ritmo ossessionante e costrittivo di una quotidianità, allora e ancora oggi, alienata”.

Venerdì 2 marzo, ore 18, Claudio Longhi e tutta la compagnia, formata da Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini, incontrano il pubblico alla Pergola. Coordina Matteo Brighenti. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.

Alla sua uscita nelle sale cinematografiche nel 1971, La classe operaia va in paradiso di Elio Petri riuscì nella difficile impresa di mettere d’accordo gli opposti. Industriali, sindacalisti, studenti, nonché alcuni dei critici cinematografici più impegnati dell’epoca, si ritrovarono parte di uno strano fronte comune contro il film. E la pellicola non ha così avuto una grande fortuna in Italia, nonostante la Palma d’Oro a Cannes e la galleria di stelle presenti, fra cui Gian Maria Volonté, Mariangela Melato e Salvo Randone.

A quasi cinquant’anni dal suo debutto sui grandi schermi, il regista Claudio Longhi ha scelto di tornare allo sguardo scandaloso ed ‘eterodosso’, ferocemente grottesco, del film di Petri, per provare a riflettere sulla recente storia del nostro Paese, con le sue ritornanti accensioni utopiche e i suoi successivi bruschi risvegli. Al Teatro della Pergola da martedì 27 febbraio a domenica 4 marzo.

“Sulla coda del film, in una breve e significativa scena, l’operaio Lulù Massa – spiega Longhi – girovaga per la sua casa catalogando a uno a uno gli oggetti lì presenti e recitando una personale, e straniante, litania domestica: a ogni cosa risponde un costo, a ogni costo delle ore lavoro. Mutatis mutandis, nella sua concisione quella scena, dalle tinte bluastre e dai toni buffi, parla molto alla (e della) nostra epoca dominata dal consumo ultraveloce – espresso e spersonalizzante grazie al potere della rete –, affetta da una sindrome bulimica permanente mentre, al contrario, è risucchiata in vuoto ideologico spinto”.

La vicenda dell’operaio Lulù Massa, stakanovista odiato dai colleghi, osannato e sfruttato dalla fabbrica BAN, che perso un dito scopre per un istante la coscienza di classe, si intreccia qui con le vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione contestatissima del film. Lo spettacolo, infatti, scritto da Paolo Di Paolo, è costruito attorno non solo alla sceneggiatura originale di Elio Petri e Ugo Pirro, ma anche ai materiali che ripercorrono la loro officina creativa, a come il film è arrivato al pubblico di ieri e di oggi, e a piccoli capolavori della letteratura italiana di quegli anni.

Infatti, la compagnia, formata da Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, accanto ai grotteschi personaggi della pellicola alterna sulla scena lo sceneggiatore e il regista stessi, qualche spettatore e alcune figure curiose e identificative della nostra letteratura a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Il tutto, poi, è intessuto dentro le seducenti e algide geometrie musicali di Vivaldi, rielaborate da Filippo Zattini originalmente per l’occasione e ‘rotte’ qua e là da canzoni dolci e amare dell’Italia alla fine del Boom eseguite dal vivo da tutti gli attori. Le scene sono di Guia Buzzi, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di Vincenzo Bonaffini, i video di Riccardo Frati. La produzione è ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione.

“Il cinema è un linguaggio eminentemente visivo – interviene Claudio Longhi – mentre il teatro che ho sempre praticato usa fondamentalmente la parola. Noi abbiamo agito molto sulla drammaturgia, trasformando alcune sequenze del film in racconti, quindi in monologhi, più che in dialoghi diretti. Spazialmente abbiamo utilizzato degli elementi scenici, come un nastro trasportatore, che ci consentono di alludere alla catena di montaggio e di restituire la dinamica dei movimenti in macchina. E poi uno schermo, su cui vengono proiettate delle immagini storiche, alcune sequenze fisiche non solo del film, agisce quasi da diaframma, come una macchina fotografica o una cinepresa, aprendo varie possibilità nella narrazione”.

Il film di Petri ha il merito di aver provato ad abbozzare una narrazione dell’Italia attraverso il lavoro, oltre i furori utopici degli anni febbrili che seguirono il Sessantotto. Un combinato di stili, con una sceneggiatura che qua e là strizza l’occhio alla commedia all’italiana, ma si lascia tentare, nel suo impasto cromatico, dall’estremismo espressionista, scandito dalla musica dura e pervasiva di Ennio Morricone. Ora lo spettacolo teatrale intende riflettere su quanto quell’affresco grottesco immaginato da Petri nel 1971 sia più o meno distante da noi. Un tempo, il nostro, post-moderno e post-ideologico, che fatica a riconoscere in modo netto i tratti di una qualsivoglia ‘classe operaia’, dispersa e nascosta dietro gli innumerevoli volti del lavoro ‘flessibile’.

“Si è svuotato il senso stesso della parola ‘rivoluzione’ – conclude Longhi – quindi il Paradiso che adesso si prospetta, forse, si può identificare con una promozione a una condizione borghese di fatto irraggiungibile. Però, quello che voglio aggiungere, è che il film ritrae una condizione di angoscia profonda e invece lo spettacolo ricalca il film, ma senza perdere quel senso di divertimento che credo sia condizione imprescindibile di ogni esperienza teatrale”.

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