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Il CAFFE’ SCORRETTO 7 ottobre 2020 – Covid: il salto nel buio

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Il CAFFE' SCORRETTO 7 ottobre 2020 - Covid: il salto nel buio
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La rubrica va in onda tutte le mattine alle 8.10 nella trasmissione 30 Minuti su Controradio. Per leggere ed ascoltare tutti i ‘caffè’ vai QUI

Il lockdown fu una misura di ‘cupa disperazione’. Ad affermarlo non è un negazionista dell’ultima ora, ma il professor Walter Ricciardi, consulente del ministro della salute e docente di igiene alla Cattolica; ovvero uno dei punti di riferimento della strategia governativa in questi mesi. Il passaggio è contenuto in un articolo scientifico firmato dallo dello stesso Ricciardi il 2 aprile scorso e contenuto in un rapporto dell’OMS. Non solo, in quell’articolo, Ricciardi metteva nero su bianco come fosse ““difficile predire gli effetti delle decisioni come il lockdown sull’andamento della pandemia”. “Per esempio -sosteneva il consulente del ministero- non si sa se l’attuazione di un lockdown conduca a una situazione in cui molte persone possono infettare gli altri e potrebbe portare le persone a passare più tempo in stretto contatto con gli anziani e con coloro che sono più vulnerabili” cose per altro tutte verificatesi. ”Allo stesso modo -continuava Ricciardi- non è dato sapere se una nuova ondata epidemica possa riemergere quando vengano rimosse le misure di isolamento”.
E ancora, il consulente del ministero, si chiede se “ lo stress e il panico di una crisi pubblica che porta a gravi disordini e all’isolamento possano avere aumentato la vulnerabilità degli anziani e delle persone fragili rispetto a un virus respiratorio”.
Insomma, il lockdown fu un salto nel buio. Una sorta di esperimento sulla pelle viva del Paese, reso necessario, afferma sempre Ricciardi, dal fatto che in Italia non sarebbe stato possibile mettere in campo la strategia di tracciamento attraverso test e tamponi che era stata vincente a Vo Euganeo e prima ancora in Corea del Sud. Già, ma perché era impossibile? Perché, afferma il consulente del ministero, “non eravamo pronti”, mancava tutto, a partire dai tamponi e dai reagenti. E allora la domanda è: come mai non eravamo pronti dopo che da gennaio si inseguivano le notizie di polmoniti atipiche e mortali in Cina? Dopo che il virus era già stato isolato e denominato? Chi doveva provvedere ad elaborare tempestivamente una strategia e non lo fece? Perché anche le indicazioni contenute nel vecchio piano pandemico, poi secretato, ovvero l’approvigionamento di DPI, la creazione di percorsi differenziati negli ospedali, l’attenzione ai luoghi sensibili come le RSA, non furono implementate nelle settimane precedenti al lock down? Domande a cui la procura di Bergamo, nel silenzio pressoché totale dei media sta tentando di rispondere. Anche per evitare altri salti nel buio. Anche per rendere omaggio alle 36 mila vittime.
DG

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