Mar 23 Apr 2024

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Coronavirus: quando le regole ci sono ma fare “di testa nostra” (sbagliando), ci piace di più

Coronavirus, quando l’informazione svolge il suo ruolo di servizio e strumento di aiuto per affrontare l’emergenza condividendo e diffondendo le notizie utili e le regole da adottare varate dalla Regione, ma l’utente continua a ‘fare di testa sua’ in barba alla tutela della collettività. E’ il caso dei numerosi episodi anche in Toscana di cittadini che presentando sintomi influenzali affini al Covid-19 si sono rivolti ai pronto soccorso mettendo a rischio gli altri e costringendo alla sanificazione di spazi fondamentali per le emergenze e in quarantena operatori preziosi in questa situazione di allerta.

‘Attieniti alle misure di prevenzione disposte dal nostro decalogo‘ recita uno spot della Regione Toscana in cui si ricorda anche il numero verde per l’emergenza Coronavirus: l’800556060. Eppure a Pontremoli come a Prato, a Livorno come in Valdichiana continuano ad arrivare notizie di persone che presentando sintomi febbrili o difficoltà respiratoria si recano autonomamente ai pronto soccorso e di conseguenza le varie Asl continuano a segnalarci chiusure precauzionali per necessarie sanificazioni e quarantene per personale e pazienti soggetti a potenziale contagio.

Come mai non passa il messaggio, l’appello, la regola numero 7 del decalogo regionale? (‘Se hai febbre, raffreddore o tosse NON recarti al Pronto Soccorso, in ospedale o in strutture ambulatoriali, contatta il tuo medico’)

E’ così difficile rispettare una norma di buon senso e rispetto civico? Avendo numeri verdi, quelli delle Asl territoriali, la reperibilità straordinarie dei medici di famiglia e 36 tende di pre-triage nei piazzali degli ospedali per filtrare i casi Covid 19…  perché scegliere di aumentare i rischi per la collettività, di non raccogliere l’appello del commissario Borrelli a preservare i medici? Ci sentiamo più forti? Ce ne freghiamo? Pensiamo solo al nostro? Crediamo che quello che ci viene detto non sia necessario? La paura sovrasta tutto?

Facciamocele queste domande, ora, anche senza avere sintomi, per capire cosa faremmo in quel preciso momento. E soprattutto cosa dovremmo fare per un corretto e responsabile comportamento senza addurre difficoltà/giustificazioni preventive (e se il numero non risponde, se il medico è occupato, se dal cellulare non prende, se mi rispondono che non ho niente). La priorità è seguire un iter rigoroso e regolamentato, per noi e per gli altri. Qualora qualcosa non funzionasse lo denunceremmo, lo faremmo presente, ma non rechiamoci in autonomia al pronto soccorso.

Mentre dopo lo Spallanzani arriva il plauso anche della prefettura di Prato al comportamento della comunità cinese che con la misura dell’auto-isolamento dei rientrati dalla Cina “ha contribuito notevolmente alla riduzione del rischio di diffusione del virus, dando dimostrazione di sensibilità e rispetto della realtà locale”, non vorremmo dare altre notizie di persone che si spostano senza contezza di quello che fanno o che non usano i canali indicati per segnalare la loro situazione di salute. Siamo tutti coinvolti nel tenere in salute il sistema sanitario e nessuno deve dimenticarselo.

 

Chiara Brilli

2 Commenti

  1. siamo sicuri che i numeri da chiamare funzionino come dovrebbero? qualcuno dice che non riescono a parlare con gli operatori

  2. Non chiamano perchè appare naturale andare al PS in presenza di un malanno preoccupante.
    Non chiamano perchè, qualcuno ha detto, i numeri a volte sono occupati e si perde la pazienza.
    Non chiamano perchè sono i medici di base a dimenticare di suggerire di chiamare il numero verde
    Il caso di Livorno, di ieri, è un esempio lampante di disorganizzazione e sottovalutazione della questione. Un medico di base che suggerisce di andare al PS e(dicono) chiama personalmente l’ospedale che “aspetta” il paziente (che va con mezzi proprio familiari) al cancello carrabile e lo porta in PS scoprendo solo dopo che quei sintomi non erano “normale” polmonite ma Covid-19.
    Mancano forse in alcuni casi (Codogno per prima) le basi per decidere come comportarsi. C’è uno spirito generalizzato, anche tra i medici, di sottovalutazione e superficialità.
    Forse le ASL e la politica (coincidono) hanno suggerito di minimizzare, non fomentare e, soprattutto, risparmiare soldi.
    Così si aspettano i sintomi, così anche chi ha sintomi di grave patologia respiratoria “non è detto che sia covid-19”.
    Insomma, invece di infilare quei soggetti direttamente nelle tende, che rimangono deserte, per fortuna o per superficialità, giusto “per aver paura e non toccarne”, si seguono protocolli “svizzeri” fondati sul “risparmio”, di tempo, di denaro, di tamponi, di non so cosa e poi alla fine ci si ritrova come a Codogno o a Livorno, dove dodici sanitari sono “prudenzialmente” a casa (ma se sono a casa significa che la procedura, perfino con un paziente che non aveva una gamba rotta ma una grave crisi respiratoria in atto, ha in qualche suo step fallito) in attesa di sapere se sono stati più o meno contagiati.
    Invece di cautela a tappeto mi sembra che la sanità italiana stia attuando un tappeto di burocratiche decisioni spacciate per tecniche.
    Considerando che, pur se in modo molto minore, perfino gli asintomatici possono contagiare.
    Che si fa? La smettiamo di avere paura degli allarmismi o continuiamo a fare gli italiani strafottenti?

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