Dom 5 Mag 2024

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Caso Niccolò Ciatti, la corte d’appello conferma 23 anni per Bissoultanov

La Corte d’Assise di Appello di Roma ha confermato la condanna a 23 anni per Rassoul Bissoultanov, accusato dell’omicidio di Niccolò Ciatti nel 2017. “Non esiste una giustizia terrena che possa aiutarci a superare quanto accaduto”

La Corte d’Assise d’Appello di Roma ha confermato la condanna a 23 anni per Rassoul Bissoultanov, il cittadino ceceno che nella notte tra l’11 e il 12 agosto 2017 si è macchiato del sangue dell’allora 22enne Niccolò Ciatti, durante un festa in discoteca a Lloret de Mar, in Spagna. La decisione dei giudici arriva dall’aula bunker di Rebibbia, dopo tre ore di camera di consiglio. La Procura aveva chiesto l’ergastolo, senza ottenerlo.

Secondo quanto riferito dagli atti, e da quanto, tra l’altro, confermato dal Pm Erminio Amelio, il giovane Niccolò “è stato ammazzato, assassinato, gli è stata tolta la vita in maniera crudele”.

Crudeltà riconosciuta anche dai poliziotti, dalle guardie giurate e dai medici intervenuti quel giorno fuori dai cancelli della discoteca: il corpo martoriato della vittima, infatti, riportava i segni di colpi inflitti da una persona esperta delle arti marziali, cosa che lo stesso Bissoultanov si è più volte vantato di essere.

Le testimonianze dei presenti di quel giorno erano estremamente precise e coincidenti, ma imparagonabili alla crudeltà che hanno rivelato le immagini estratte dal video circuito: Bissoultanov ha agito “come un toro scatenato”, ha affermato il magistrato, “e quando ha inferto a quel corpo ormai agonizzante il calcio finale, quest’ultimo è stato sferrato con evidente stile caratteristico della MMA”.

Da un’intervista fatta ad un suo allenatore, infatti, è trapelato che il ceceno fosse “cultore e praticante di questa tecnica di combattimento”. L’imputato, ha inoltre affermato l’intervistato, “era un un ottimo atleta, e non aveva potuto partecipare alle Olimpiadi per la Francia a causa di problemi connessi alla cittadinanza”.

La difesa del 28enne ceceno ha anche tentato di ricondurre l’omicidio ad una colluttazione bilaterale tra i due gruppi, quello di Niccolò e quello del suo omicida, ipotizzando come casus belli un eccesso di alcool nel primo di essi. Ma esami successivi hanno completamente negato questa versione: Niccolò ed i suoi amici, ha affermato il magistrato Amelio, “avevano bevuto solo qualche bicchiere, ma il valore dell’alcool nel sangue permetteva di guidare tranquillamente”.

E, in ogni caso, guardando il video del pestaggio, ha voluto sottolineare il pm, “è evidente che né Niccolò né alcuno dei suoi amici hanno avvicinato qualcuno con fare sospettoso. Il ragazzo non era né ubriaco né sotto l’impulso di sostanze stupefacenti”.

Il 28enne ceceno è stato, dunque, accusato di omicidio volontario e condannato a 15 anni di carcere il 12 agosto 2017 durante il ‘famigerato’ processo di Girona, in Spagna, e poi è stato rimesso in libertà dopo 3 anni e 10 mesi.

Lasciata Girona è stato in seguito arrestato in Germania su mandato di cattura internazionale e poi estradato in Italia. Nel 21 dicembre 2021 la Corte d’Assise di Roma lo ha rimesso in libertà, con un provvedimento poi annullato dalla Cassazione. Tornato in Spagna, Bissoultanov ha fatto perdere le sue tracce.

Oggi, 5 luglio, la Corte d’Assise di Roma ha confermato la condanna mossa a carico di Rassoul Bissoultanov: il ceceno dovrà scontare 23 anni di carcere, in quanto giudicato colpevole dell’omicidio del giovane Niccolò Ciatti.

La condanna non ha, però, soddisfatto i parenti più prossimi della vittima. Il padre del ragazzo, Luigi Ciatti, che pretendeva la massima pena, si è detto assolutamente insoddisfatto. La clemenza dimostrata in questo particolare caso dalla giustizia italiana, secondo l’uomo, crea, in primo luogo, precedenti: “Non è un buon segnale per un ragazzo ucciso in quel modo: non è un buon precedente”.

Ed in secondo luogo, non rappresenta la giusta punizione per chi ha dimostrato, davanti al sangue già versato, una rabbia folle che ne ha alimentato il rigagnolo: “Noi ce l’abbiamo messa tutta per Niccolò, ma purtroppo non siamo riusciti e non riusciamo a dargli quel minimo di giustizia che si meriterebbe. Evidentemente c’è qualcosa che non va in questa giustizia soprattutto spagnola ma anche italiana, così poco sensibile e che non ci rappresenta” ha affermato Ciatti in lacrime.

Chi commette certi crimini, conclude il padre, “deve pagare, e non scordiamoci che l’imputato, oramai riconosciuto colpevole, è libero perché fuggito e nessuno lo cerca. Continua la sua vita, mentre a Niccolò gliel’ha tolta: andiamo avanti ma ci rendiamo conto che non esiste una giustizia terrena che possa aiutarci a superare quanto accaduto. Ora aspettiamo di raggiungere il nostro Niccolò”.

 

 

 

 

2 Commenti

  1. Un articolo ben scritto, massimamente e fedelmente rappresentativo dell’accaduto con una analisi ed una narrazione oggettiva ed aderente all’imprinting giornalistico. Congratulazioni!

  2. Trovo che la gestione processuale della vicenda, lato magistratura giudicante, sia stata risibile. Se penso che Chico Forti è detenuto da più di 20 anni negli USA per un reato che ancora è dubbio se abbia o meno commesso, dovendo addirittura patire l’ergastolo, e se paragono la sua vicenda a quella ripresa in questo articolo ove il colpevole (tale per tabulas, visto che ci sono anche i video che lo comprovano) è stato condannato a “soli” 23 anni, mi sale un nervoso assurdo…

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