
Il dirigente nazionale di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli torna a parlare di Centri di permanenza per il rimpatrio in Toscana. E dice: “li faremo anche senza il consenso della Regione e ne faremo due, uno per i migranti e uno per gli spacciatori”. PD e AVS annunciano: “daremo battaglia”.
Il toscano Giovanni Donzelli, alto dirigente di Fratelli d’Italia, porta il suo contributo alla campagna elettorale per le regionali del 12 e 13 ottobre prossimi. E lo distruggendo il concetto stesso di regione, come a dire non contano niente né le regioni né il nostro stesso candidato. Riprendendo la potente spinta centripeta del ventennio, Donzelli riporta tutto a Roma e per risolvere i problemi della Toscana dice che saranno fatti due Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio. Uno per i migranti e uno più specifico per i migranti che spacciano. E che questi Cpr saranno fatti a prescindere dalla volontà e disponibilità della Regione. Altro sottinteso: abbiamo già perso. Un comportamento a dir poco autoritario esercitato in una regione che ha già detto no, ufficialmente, a questo genere di strumenti. Stiamo parlando di veri e propri buchi neri del diritto. Caratterizzati da sovraffollamento, carenze igieniche, cibo scadente, abusi e maltrattamenti, somministrazione di psicofarmaci senza controllo medico, e ricorrenti episodi di autolesionismo, suicidi e rivolte. Circa la metà delle persone trattenute non viene espulsa, con efficacia rimpatri molto bassa. La gestione dei CPR inoltre rappresenta una voce di spesa pubblica molto importante: dal 2018 al 2021 oltre 44 milioni di euro sono stati spesi solo per l’affidamento della gestione di 10 CPR, senza contare le spese di personale di polizia, manutenzione e sanità. Tali strutture sono spesso gestite da società private, alle quali viene delegata gran parte dell’organizzazione (pulizie, pasti, sicurezza) con il rischio di massimizzare i profitti tagliando i servizi alle persone recluse. Numerose indagini hanno messo in luce criticità sugli appalti, come società operative con curriculum fittizi, gare truccate o protocolli sottoscritti da persone decedute, frodi e assenza di reali controlli sulle condizioni dei centri e sulle prestazioni garantite. Sono lager contemporanei: qui, persone la cui “colpa” è solo la mancanza di documenti, subiscono la privazione della libertà personale senza aver commesso reati, spesso senza accesso effettivo a cure, difesa e contatti con l’esterno. Il tutto in assenza di reale trasparenza, in spazi che “ammalano nel corpo e nella mente” secondo operatori sanitari e associazioni.