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🎧 Carcere: un altro detenuto morto a Prato, non si esclude ipotesi omicidio

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🎧 Carcere: un altro detenuto morto a Prato, non si esclude ipotesi omicidio
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Un altro cadavere. Ancora violenza e morte riecheggiano dalle cronache del carcere pratese della Dogaia, dove la procura – con le sue indagini – sta facendo emergere che le condizioni di fatiscenza della struttura sono costantemente accompagnate da una serie di comportamenti illegali e abusi. Stamane il ritrovamento del corpo senza vita di un detenuto romeno di 58 anni che si trovava in cella di isolamento. Non si esclude nulla, nemmeno l’ipotesi più incredibile, ovvero che possa essersi trattato di omicidio.

Questa mattina – 28 luglio 2025 – è stato rinvenuto il corpo senza vita di un detenuto di 58 anni nel carcere La Dogaia di Prato. L’uomo si trovava  nella sezione isolamento perché stava scontando una sanzione disciplinare. È stata disposta l’autopsia e contemporaneamente – scrive il procuratore di Prato Luca Tescaroli – “si stanno esaminando le telecamere interne dell’impianto di videosorveglianza, al fine di individuare la causa della morte”. Potrebbe essersi trattato di un malore, ma considerata la condizione di estrema tensione nel carcere e il protagonismo del detenuto negli eventi  che nelle ultime settimane hanno visto la struttura in perenne stato di agitazione, i magistrati credono sia il caso di approfondire con attenzione quanto è davvero accaduto la scorsa notte. L’uomo aveva precedenti penali per violenza sessuale, maltrattamenti, calunnia, minacce, lesioni personali. La fine della sua pena era stata fissata per il 24 febbraio 2026. Da quanto trapela aveva partecipato alla recente rivolta del 5 luglio in carcere ed era risultato in possesso di armi rudimentali. All’interno della camera non sono stati trovati però strumenti che inducano a ipotizzare il suicidio: né corde, né lacci.

La procura lancia in questa occasione l’ennesimo allarme sulla condizione della casa circondariale. Continua, nonostante numerose inchieste e alcuni maxi sequestri, l’ingresso di stupefacenti. Sarebbe poi stato accertato che prosegue l’ingresso di telefoni cellulari nella struttura: “Dal 1 luglio 2024 a oggi ne sono stati sequestrati 44 e altri risultano nella disponibilità dei ristretti”.  L’istituto contava la scorsa notte 574 detenuti, metà dei quali stranieri. Sette sezioni, altrettanti “gironi dell’inferno”. Chi varca il cancello con uno sguardo non solo giudiziario, vede molto altro: una struttura in apnea, schiacciata tra emergenze quotidiane e assenza di una guida stabile. Il carcere non ha infatti un direttore titolare da mesi e i segni di questo vuoto si vedono ovunque. I sindacati della polizia penitenziaria denunciano da tempo un organico sotto di quasi un terzo: solo 270 agenti ruotano sui turni, contro i 360 previsti. Chi ci lavora – e sono molti, in silenzio e spesso con dedizione – sa bene che un carcere così, più che rieducare, rischia di consumare. E chi ci vive, sa che uscire migliori è un privilegio, non una garanzia. È questa, forse, la parte più dolorosa da raccontare. Che tutto accade sotto gli occhi di una città che dopo ogni allarme è costretta a guardare. E che però in fretta dimentica.