La candidatura di Donald Trump per le presidenziali del 2024. DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”

È ufficiale: Donald Trump, l’uomo che ha tentato di rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020 e ha ispirato una rivolta al Campidoglio, nel disperato tentativo di mantenersi al potere, ha annunciato che si ricandiderà alle elezioni presidenziali del 2024.

L’annuncio – e il deposito ufficiale – arriva appena una settimana dopo le elezioni di midterm del 2022, che hanno visto una scarsa performance dei candidati repubblicani sostenuti da Trump, che ha favorito i Democratici, permettendo loro di mantenere il controllo del Senato. Fattore che ha giocato a favore dei democratici anche la rabbia degli americani per la sentenza della Corte Suprema che ha annullato la Roe v. Wade, cosa che permette ai singoli stati di vietare ora l’aborto. I repubblicani hanno quindi perso nelle corse importanti per il Senato in Stati ‘viola’, ossia in quegli stati in bilico, come Pennsylvania, New Hampshire, Arizona e Nevada.

Anche alla Camera per i Repubblicani non è andata secondo le aspettative, sono riusciti ad ottenere la maggioranza, ma con numeri di molto inferiori a quello che speravano. Secondo il Cook Political Report erano 64 le competizioni contese al 50%. Di queste, Trump ne appoggiava 21, ma solo in sette i suoi candidati hanno vinto. E nelle situazione più in bilico, circa 3 dozzine, la situazione per i candidati sostenuti da Trump è stata peggiore: dei 9 candidati solo uno ha vinto.

Nonostante l’evidenza che il suo marchio e il suo stile politico si siano dimostrati ‘radioattivi’ in Stati e distretti competitivi Trump non ha rinunciato ad iniziare un’altra corsa alla presidenza. La sua mossa però, con il tentativo di assicurarsi la nomina a candidato presidenziale del Grand Old Party costringendo altri funzionari repubblicani eletti a mettersi in disparte e ad appoggiarlo, espone ad un certo grado di vulnerabilità i repubblicani. Infatti, Trump cerca di bloccare potenziali popolari rivali, che potrebbero avere più possibilità di lui ad arrivare alla presidenza, specialmente qualcuno come il governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis, che ha stravincendo nel suo stato ha conquistato grande popolarità a livello nazionale.

Da tenere a mente c’è però un dato importante emerso durante le elezioni di midterm: gli exit-poll hanno infatti mostrato che l’inflazione è il problema principale per gli elettori, che hanno dichiarato di avere più fiducia nei repubblicani che nei democratici, con un ampio margine. Eppure, nonostante questi dati, i repubblicani hanno fallito e il dito è puntato proprio contro Trump, anche all’interno del suo stesso partito.

DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”

All’interno del partito repubblicano in molti hanno iniziato a chiedersi se sia una buona idea continuare ad agganciare il proprio carro all’ex presidente, soprattutto con il governatore della Florida Ron DeSantis in attesa di una decisione del partito in suo favore.

Proprio in sostegno del governatore della Florida, alcuni gruppi conservatori hanno anche pubblicato dei sondaggi che mostrano DeSantis battere Trump nei primi Stati delle primarie presidenziali e in luoghi simbolo come il Texas. Sebbene non vi sia alcuna conferma sulla veridicità di questi dati, il messaggio sembra chiaro: è il momento di scegliere qualcun altro.

Un quadro del clima all’interno del partito è racchiuso ironicamente nei nomignoli che il New York Post ha dato ad entrambi i politici: DeSantis “DeFuture” e Trump “Trumpty Dumpty”, che “non è riuscito a costruire un muro” e “ha avuto una grande caduta”.

Tuttavia la presa di Trump sulla base del Grand Old Party – GOP non può essere sottovalutata. Basti pensare ai molteplici eventi in cui il partito avrebbe potuto abbandonare l’ex-presidente, ma non lo ha mai fatto. Un esempio è l’insurrezione del 6 gennaio: la sua presa sembrava essersi allentata – almeno marginalmente – la scorsa estate a causa delle udienze per l’insurrezione e del semplice tempo e della distanza dal potere, ma la perquisizione da parte del FBI nella casa di Trump in Florida è sembrata ironicamente ridare spirito e valore alla sua figura, in quanto gli elettori di base del GOP hanno visto Trump come una vittima. E, come si è più volte visto, l’ex presidente ha spesso utilizzato il vittimismo, soprattutto quello dei bianchi, come carburante per il suo fuoco politico.

Inoltre, sebbene la maggioranza degli americani continua a dichiarare di avere un’opinione sfavorevole dell’ex presidente, almeno prima delle elezioni di midterm, era di gran lunga la figura più popolare e potente all’interno del Partito Repubblicano. Per tanto, nonostante le recenti sconfitte, continua a essere il favorito per la nomination presidenziale del Partito Repubblicano.

Ci sono molti altri in attesa dietro le quinte

Va però precisato che non è solo DeSantis che potrebbe sfidare Trump per la nomination, e non è ancora chiaro se lo farà in quanto il governatore della Florida ha solo 44 anni e probabilmente vuole muoversi con cautela per non turbare la base dei fedeli sostenitori di Trump. La lista degli ipotetici avversari per la corsa alle presidenziali del 2024 presenta diversi noti repubblicani, come l’ex vicepresidente di Trump, Mike Pence, l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite di Trump Nikki Haley, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e il governatore del South Dakota Kristi Noem.

La mossa poco ortodossa di Trump di candidarsi ufficialmente ora appare quindi come un tentativo di sgombrare il campo e concentrare nuovamente l’attenzione su di lui, soprattutto perché deve affrontare molteplici indagini civili e penali in diversi Stati.

Rivincita su Biden?

L’annuncio di Trump arriva proprio mentre Biden si trova ad affrontare diverse sfide politiche.  La popolarità dell’attuale presidente ha infatti risentito della continua crescita dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi del gas e della comparsa di varianti della pandemia di coronavirus. Inoltre, i suoi indici di gradimento sono crollati nell’estate e nell’autunno del 2021 dopo che il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, iniziato sotto l’amministrazione Trump, è stato ampiamente criticato per la sua caotica esecuzione sotto Biden.

Pertanto, sebbene nonostante il successo dell’elezione nel 2016 Trump sia diventato un presidente impopolare, con la popolarità di Biden in calo e l’economia in un momento di incertezza, l’ex- presidente vede l’opportunità di salire nuovamente al potere.

Durante il suo mandato presidenziale, Trump ha fatto leva sul dolore culturale dei bianchi, sul nazionalismo di destra e, ironia della sorte, considerando il suo status di miliardario istruito alla Ivy League, su un populismo economico anti-elitario. Inoltre, il fondamento della candidatura e della successiva presidenza di Trump nel 2016 è stato il nativismo: ha fatto una campagna per la costruzione di un muro per tenere gli immigrati di lingua spagnola fuori dagli Stati Uniti; nei primi giorni di mandato ha vietato l’ingresso nel Paese a persone provenienti da alcuni Paesi, per lo più musulmani; ha infiammato le tensioni razziali, come quando ha detto che c’erano “persone molto per bene” da entrambi i lati di una protesta nazionalista bianca a Charlottesville, in cui è stato ucciso un controprotestante; e ha regolarmente esagerato i pericoli per scatenare la rabbia e la paura in molti americani.

Trump portavoce dei conservatori

Molti repubblicani hanno dichiarato in privato, anche a Capitol Hill, di non amare Trump personalmente, ma di continuare a sostenerlo, nonostante il caos che spesso hanno visto durante la sua presidenza. Queste dichiarazioni hanno sconcertato molti a sinistra, ma il motivo è che Trump ha portato avanti molte politiche condivise dai conservatori. Durante il suo mandato ha infatti varato tagli alle tasse che hanno avvantaggiato soprattutto i ricchi e le aziende, ha insediato tre giudici di orientamento conservatore alla Corte Suprema e ha supervisionato un periodo di crescita economica – fino a quando la pandemia di coronavirus non ha attraversato il mondo.

La nomina di quei giudici ha dato i suoi frutti per i conservatori, dopo 50 anni di maturazione. La Corte ha annullato la sentenza Roe v. Wade, rimandando la politica sull’aborto agli Stati e chiudendo l’accesso all’aborto a milioni di donne in US. La Corte ha anche sostenuto i diritti dei possessori di armi da fuoco e sembra pronta a sancire ulteriormente le strutture sociali conservatrici nelle prossime legislature, con effetti per le generazioni a venire.

Vincerà le primarie?

Dopo aver perso la rielezione, Trump è rimasto arroccato su sé stesso e ha inventato affermazioni di frode, dicendo che la “vera insurrezione” è avvenuta il giorno delle elezioni, nel tentativo di sminuire l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio, ispirato in parte dalle sue stesse parole in un comizio di qualche ora prima. Inoltre, in privato, sembra abbia esercitato senza successo pressioni sui funzionari statali e federali affinché intraprendessero azioni senza precedenti e persino illegali per ribaltare la sua sconfitta. In questo modo non ha mai dovuto ammettere la sconfitta, nonostante i controlli e le revisioni avvenute in molteplici Stati hanno confermato che non ci sono prove di frodi diffuse.

Anche considerando il suo ruolo nell’insurrezione del 6 gennaio, la maggior parte dei funzionari repubblicani, temendo la sua influenza sulla base del GOP e le potenziali ritorsioni, ha rifiutato di appoggiare le critiche al 45° presidente. Chi l’ha fatto, come la deputata del Wyoming Liz Cheney, ha dovuto affrontare alle primarie l’ira degli sfidanti sostenuti da Trump. Cheney ha perso la sua candidatura alla rielezione, così come altri repubblicani che hanno votato per l’impeachment. Se si guarda con attenzione, solo due dei 10 impeachment repubblicani della Casa di Trump sono rimasti sulla scheda elettorale.

L’ex presidente ha quindi non solo i soldi, ma anche gran parte del partito dalla sua. Il suo annuncio formale per la presidenza significa che consoliderà le risorse repubblicane, mentre l’ex immobiliarista e star dei reality TV riprenderà un terreno familiare: quello dell’outsider che lancia pietre, piuttosto che quello del presidente insider responsabile della sicurezza e della prosperità del Paese.

Perchè l’America di Biden investe 52 miliardi di dollari nella ricerca sui semiconduttori?

La carenza di semiconduttori è ormai nota in tutto il globo. Dalla Cina all’America, a causa delle interruzioni della catena di approvvigionamento aggravate dalla pandemia globale, questa tecnologia sembra essersi volatilizzata dal mercato.

Per far fronte a questo vuoto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dato il via a diverse politiche di investimento. Tra queste troviamo l’annuncio fatto pochi giorni fa per un investimento di 20 miliardi di dollari in favore di IBM, azienda impegnata nella ricerca e nello sviluppo di semiconduttori e di altre tecnologie avanzate.

La Casa Bianca afferma che gli annunci fanno parte di “un boom manifatturiero” alimentato dal Chips and Science Act. Si tratta di una legge che il presidente Biden ha firmato in agosto e che include più di 52 miliardi di dollari in sussidi federali. Al momento non è chiaro come verranno stanziati questi soldi, ma un gruppo di alto livello si riunirà in questi giorni alla Casa Bianca per trovare il modo per far uscire i fondi dalla porta.

I semiconduttori sono materiali che possono assumere una resistività superiore a quella dei conduttori e inferiore a quella degli isolanti. La loro resistività dipende in modo diretto dalla temperatura. Questa tecnologia viene utilizzata per la produzione di tutti i tipi di chip che equipaggiano i dispositivi elettronici. Dalle CPU e ai GPU, che sono in dotazione negli smartphone, a PC, tablet, console di gaming, smart speaker, ecc.. In pratica, i semiconduttori sono necessari per far funzionare quasi tutto ciò che ha un componente elettronico, dalle automobili alle armi.

JOE BIDEN PRESIDENTE USA

Perché quindi gli Stati Uniti vogliono investire nel libero mercato?

Certamente l’assenza di questi semiconduttori è un problema per le produzioni industriali. Un esempio è stata l’impennata dei prezzi delle auto riportata lo scorso anno, come ha sottolineato in un’intervista il democratico Ronnie Chatterji. A questo va aggiunto che il più grande produttore globale di questi prodotti è la Cina.

Secondo la Casa Bianca, gli Stati Uniti producono solo il 10-12% della fornitura mondiale di semiconduttori e nessuno dei chip avanzati, mentre l’Asia orientale rappresenta il 75% della produzione globale.

La Casa Bianca vuole invertire la tendenza e l’amministrazione Biden cerca disperatamente di risolvere la carenza di chip a livello nazionale, anche per contrastare la crescente potenza della Cina. Infatti le preoccupazioni per le ambizioni economiche, tecnologiche e militari del colosso asiatico hanno alimentato l’interesse biparti-san a investire nella produzione di semiconduttori in America.

Questo però segna un punto di svolta nella mentalità americana. Le sovvenzioni statali nella produzione di materiale industriale trovano forte opposizione sia tra i repubblicani che fra alcuni democratici, i quali si oppongo fortemente all’interferenza statale nei liberi mercati. A ciò si aggiungono anche le forti preoccupazioni per gli sprechi della spesa.

Chatterji, responsabile della Chips and Science Act, è consapevole delle insidie associate alla politica industriale. Ha detto che la trasparenza, la governance per evitare i conflitti di interesse e la “misurazione rigorosa dei risultati” sono fondamentali. Ma si è detto fiducioso che l’amministrazione possa raggiungere i suoi obiettivi se tutte le parti interessate lavoreranno insieme: governi, aziende private e lavoratori.

We have to keep our eye on the ball of setting a foundation for all of industry to survive, including small- and medium-sized enterprises,” ha detto. “That’s the way we avoid that critique about picking winners that’s plagued industrial policy in the past.
(trad. “Dobbiamo tenere d’occhio l’obiettivo di creare le basi per la sopravvivenza di tutta l’industria, comprese le piccole e medie imprese. In questo modo eviteremo la critica di scegliere i vincitori che ha afflitto la politica industriale in passato”).

Sinofobia o influenza nel mercato? In entrambi i casi sembra che il colosso asiatico possa fare un sorriso.

Doppio evento per 200 anni diplomazia Usa a Firenze

I 200 anni della presenza diplomatica degli Stati Uniti d’America a Firenze vengono celebrati con un doppio evento che si svolgerà lunedì 8 aprile alle ore 17.30 nella sede della Fondazione CR Firenze (Via Bufalini 6). Alla presenza del Presidente della Fondazione CR Firenze Umberto Tombari e del Console Generale degli Stati Uniti d’America a Firenze Benjamin V. Wohlauer saranno infatti presentati la versione digitale della Mappa di Martin Waldseemüller (1470 ca. – 1521), il ‘certificato di nascita’ dell’America, e il volume ‘Raccontami l’America’ edito per i 10 anni del Premio Giornalistico Amerigo.

L’incontro si inserisce nella manifestazioni che, nel corso dell’anno, celebrano il bicentenario e si apre con la presentazione del sito su uno dei documenti più preziosi dell’età moderna da parte di Paolo Galluzzi, Direttore del Museo Galileo che ha realizzato il progetto. Sia Tombari che Galluzzi hanno già presentato in anteprima mondiale la digitalizzazione della mappa, nell’ottobre del 2016, proprio nel luogo nel quale la grande carta è conservata, ovvero alla Library of Congress di Washington DC. Questa nuova dimostrazione è dunque la prima a livello europeo del sito di grande impatto visivo e fortemente innovativo che è stata realizzata col contributo di Fondazione CR Firenze con lo scopo di favorire la fruizione di questa massa di informazioni da parte del pubblico più vasto.

La grande mappa è infatti il più antico documento (1507) nel quale compare il nome America in omaggio ad Amerigo Vespucci, che, per primo, riconobbe che le terre da lui scoperte appartenevano ad un nuovo continente. La Universalis Cosmographia è una delle carte più famose dell’intera storia della cartografia ed uno dei più importanti documenti dell’età moderna. L’unico esemplare conosciuto fu acquisito dalla Biblioteca del Congresso nel 2003 ed è oggi esposto nel Thomas Jefferson Building. Il prezioso documento, di cospicue dimensioni (misura 129 x 232 centimetri), contiene un’enorme quantità di dati storici, tecnici, scientifici e geografici.

Successivamente sarà presentato il volume ‘Raccontami l’America’ (edizioni Ibiskos Ulivieri, Empoli) edito per i 10 anni del Premio Giornalistico Amerigo come primo contributo dell’Associazione Amerigo alle celebrazioni per il bicentenario. Nell’occasione il libro viene consegnato ai giornalisti dell’area fiorentina che hanno ricevuto il Premio Amerigo fra il 2009 e il 2018: Cesare De Carlo, Roberto Baldini, Ilaria Ciuti, Cristina Lombardi, Daniele Magrini, Cristiano Del Riccio, Marzio Fatucchi, Andrea Pistolesi, Marco Pratellesi. Spetterà al giornalista Antonio Lovascio, che ha ricevuto un riconoscimento speciale per avere contribuito in modo determinante al successo del pemio, illustrare scopi e finalità dei due sodalizi.

L’Associazione Amerigo, con sede legale a Roma presso l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, raccoglie gli international visitors italiani che, nel tempo, hanno partecipato agli scambi culturali promossi dal Dipartimento di Stato Usa mentre il Premio Giornalistico Amerigo è un premio nazionale, nato a Firenze nel 2009, e rivolto a quei giornalisti che raccontano l’America agli italiani. Fin dalla prima edizione la cerimonia di premiazione si svolge annualmente sempre a Firenze il secondo giovedì di dicembre. Sono premiati 10 giornalisti nei vari ambiti della comunicazione e un giornalista di un Paese europeo su indicazione di Enam (European American Alumni Associations).

“Questo premio – scrive nell’introduzione del volume l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino Lewis M. Eisenberg – evidenzia come lo stretto rapporto  tra Italia e Stati Uniti sia costruito sulla condivisione di valori, interessi e storia e sui forti legami tra popolazione e istituzioni e sottolinea quanto il contributo quotidiano dei giornalisti nell’informare e promuovere dibattiti fondati sui fatti sia cruciale per la nostra democrazia”.

“Nessuna occasione è più opportuna di questa – osserva il Presidente di Fondazione CR Firenze Umberto Tombari – per rinnovare i nostri legami di amicizia con la massima istituzione americana del territorio e con la vasta comunità statunitense che vive in Toscana. La presentazione che abbiamo fatto a Washington è stata davvero un momento molto apprezzato sia dal punto di vista scientifico che culturale e siamo lieti di poterlo riproporre ora in una occasione così solenne. Abbiamo sempre sottolineato la necessità di aprire la nostra Fondazione a relazioni internazionali per realizzare progetti di interesse comune e il viaggio a Washington aveva anche questo scopo. E’ in seguito ai rapporti che abbiamo allacciato se, anche grazie alla collaborazione dell’Associazione Amerigo, replicheremo questa presentazione a Roma a maggio alla presenza delle massime autorità statunitensi presenti in Italia”.

“Questo evento – sottolinea Benjamin V. Wohlauer, Console Generale degli Stati Uniti d’America a Firenze  –  rappresenta un pilastro del bicentenario del Consolato, perché illustra momenti importanti della nostra storia comune, passata e presente, e mette in evidenza le lunghe e durature relazioni transatlantiche.  L’evento comincia fin dall’inizio, illustrando l’origine della parola ‘America’, quando compare per la prima volta nella mappa di Waldsemüller nel 1507, e ci porta ai giorni nostri, celebrando il decimo anniversario del Premio Giornalistico Amerigo con la pubblicazione del volume ‘Raccontami l’America’, che presenta i numerosi giornalisti che hanno contribuito a far risplendere una luce sulla verità su entrambe le sponde dell’Atlantico”.

“La mappa Universalis Cosmographia di Martin Waldseemüller – spiega il Direttore del Museo Galileo Paolo Galluzzi – documenta l’idea rivoluzionaria di Vespucci che segnò il tramonto della tradizionale tripartizione del mondo in Europa, Asia e Africa, annunciando di fatto visivamente l’avvento del mondo moderno. L’edizione web realizzata dal Museo Galileo non solo dà accesso alla straordinaria quantità di informazioni geografiche, storiche, tecniche di informazioni contenute nella mappa, ma ricostruisce anche il contesto storico e culturale nel quale fu prodotta. È stato un grande lavoro di squadra ai massimi livelli  che contribuisce a far apprezzare al grande pubblico questo capolavoro cartografico e stimolerà certamente il rinnovato interesse per quella grande avventura della conoscenza che è stata la stagione delle scoperte geografiche”.

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