T. Renzi non si presenta in Procura, magistrati: sorpresi

Al centro dell’inchiesta delle fatture alla società dei Renzi da parte di Luigi Dagostino, imprenditore di negozi outlet. Secondo i magistrati questi bonifici sono sospetti perchè non vi sarebbe una effettiva prestazione in corrispettiva da parte dei Renzi.

In una comunicazione scritta inviata ieri alla pm Christine von Borries, l’avvocato difensore Federico Bagattini avvisava che i suoi assistiti, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, diversamente dagli accordi presi, non sarebbero comparsi dal pm e che non era loro intenzione sottoporsi all’interrogatorio. I magistrati ne hanno preso atto. In generale, sulla vicenda che vede Tiziano Renzi e Laura Bovoli indagati, la convinzione maturata alla procura di Firenze è che le due fatture per cui sono indagati (una da 20.000 euro e una da 140.000 euro, più Iva) siano state emesse da loro aziende per operazioni inesistenti.
Dalle indagini le due fatture risultano pagate alle società dei Renzi, rispettivamente, la Party srl e la Eventi 6, dalla società Tramor che faceva riferimento all’imprenditore pugliese degli outlet Luigi Dagostino. Ci sono dei bonifici relativi a queste fatture. Ma per i pm il tipo di prestazione pagata non esiste, non c’è stata, e la difficoltà investigativa è proprio quella di individuare il reale motivo per cui Tramor fece questi pagamenti. Anche per farsi chiarire questi aspetti, e i rapporti delle loro società con quelle di Dagostino, la procura aveva invitato i coniugi Renzi ‘a comparire’.
Le due fatture riguardanti aziende dei genitori dell’ex premier sono emerse da controlli incrociati fatti nelle indagini della guardia di finanza sulle attività di Dagostino in un’inchiesta diversa e più ampia di quella, più circoscritta, dove è co-indagato coi Renzi, in cui l’imprenditore degli outlet è indagato per autoriciclaggio, fatturazioni false, appropriazione indebita. Un’inchiesta sulle sue attività immobiliari che nel 2017 ha portato anche al sequestro di una villa a Firenze. Dagostino la settimana scorsa è stato convocato dai pm ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. Potrebbe però, secondo il suo difensore avvocato Alessandro Traversi, chiedere di essere interrogato alla chiusura delle indagini “quando la situazione potrà apparire più chiara di adesso”.

 

Un cambio di idea, di programma, all’ultimo momento avrebbe determinato ieri la decisione di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex premier Matteo Renzi, di non presentarsi davanti ai magistrati per farsi interrogare. E’ quanto si ricostruisce oggi in ambienti inquirenti dopo che ieri i due coniugi, indagati per emissione di fatture false dalla procura di Firenze, non si sono presentati dal pm Christine von Borries che li aspettava per interrogarli in una caserma della guardia di finanza.

Tiziano Renzi e Laura Bovoli dovevano rispondere a un ‘invito a comparire’ inviato loro dai pm Luca Turco e Christine von Borries. Con il loro difensore, avvocato Federico Bagattini, era stata concordata da alcuni giorni la data e l’orario per l’interrogatorio. Tuttavia sarebbe accaduto qualcosa, si fa osservare da fonti inquirenti, per cui i Renzi hanno cambiato idea e non sono andati dal pm.

Arrestato autore rapine a mano armata in sala scommesse ed abitazione

La Squadra Mobile della Questura di Firenze ha eseguito un’ordinanzadi custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Firenze su richiesta della Procura della Repubblica di Firenze nei confronti di un cittadino originario della provincia di Firenze, per una serie di episodi delittuosi avvenuti tra il dicembre 2013 ed il marzo 2016.

Le indagini della Sezione Reati Contro il Patrimonio della Squadra Mobile della
Questura di Firenze, coordinate dalla Procura della Repubblica di Firenze, hanno
consentito di raccogliere, per ciascuno degli episodi delittuosi contestati, una serie di
elementi che hanno fatto emergere le responsabilità del 55enne italiano.

L’analisi da parte degl investigatori dei reperti rinvenuti sui luoghi della rapina, dei tabulati telefonici e delle individuazioni fotografiche da parte dei testimoni ha consentito di attribuire al destinatario della misura restrittiva ben undici episodi delittuosi.

Le rapine consumate, commesse sia in sale slot o di scommesse (9) che in abitazione (1),
sono avvenute tutte tra Firenze, Sesto Fiorentino e Calenzano ed hanno fruttato, in denaro
contante, una cifra che sfiora i 68.000,00 €.

Secondo quanto accertato dagli investigatori, le modalità operative sono risultate essere
analoghe in tutti gli episodi contestati. Il rapinatore, infatti, agiva sempre armato di pistola o di coltello e sceglieva, di regola, l’orario di chiusura delle sale slot o delle sale scommesse per entrare in azione, prendendo di mira sistematicamente quelle a lui ben note in quanto da egli stesso frequentate.

Inoltre, per la rapina commessa a capodanno 2016, nella sala Snai di Calenzano, in via
Puccini, il 55enne fiorentino dovrà rispondere anche di sequestro di persona in quanto,
dopo essersi impossessato del denaro presente nella cassaforte, ha rinchiuso un
dipendente nel bagno dell’agenzia, chiudendo la porta a chiave.

Nella rapina in abitazione, invece, l’indagato ha finto di consegnare un pacco, accedendo
così all’appartamento in cui, minacciando con un coltello la anziana vittima e la sua
badante, si è fatto consegnare un orologio di valore e del denaro contenuto in una
cassaforte. Il destinatario della misura è ora a disposizione dell’Autorità giudiziaria, in regime di arresti domiciliari.

Traffico mezzi militari, pm: “processo subito per quattro”

La procura fiorentina ha chiesto il giudizio immediato per quattro uomini originari di Mogadiscio residenti in italia. Gli uomini sono accusati di traffico di materiali di armamento verso la Somalia.

La procura di Firenze ha chiesto al gip Mario Profeta il giudizio immediato per quattro somali accusati di associazione a delinquere transnazionale finalizzata al traffico di materiali di armamento: nel caso concreto si tratta dell’esportazione, non autorizzata, in Somalia di ex mezzi militari regolarmente dismessi dalle Forze Armate italiane.

Nell’ottobre 2017 i quattro somali furono arrestati in carcere. Insieme ad altri furono coinvolti in un’inchiesta della Polstrada, con un totale di 15 indagati, coordinata dal pm Giuseppina Mione che ora ha notificato a tutti la conclusione delle indagini.

I quattro somali, tutti nati a Mogadiscio, vivono in Italia e sono Farah Salah, 38 anni, e Abderahman Mehdi, 37 anni, entrambi residenti a Montopoli Val d’Arno (Pisa); Issa Mohammed, 34 anni, residente a Pontedera (Pisa); Omar Ahmed, 37 anni, residente a Signa. Il primo è in carcere a Sollicciano, il secondo e il terzo a Pisa, il quarto a Trapani.

Secondo l’accusa, operando soprattutto in Toscana, Campania e Calabria, i quattro somali cercavano mezzi militari dismessi (camion da trasporto truppe e materiali tipo Iveco Acm o Fiat Tm) e non più usati dall’Esercito Italiano, ma non demilitarizzati cioè privati degli armamenti tipo ‘luci di guerra’, vernici antiriflesso, pneumatici antiproiettile, postazioni per fucilieri e mitraglieri, strumenti ad uso bellico.

Poi insieme alla loro ‘rete’ provvedevano a farli arrivare, o interi o tagliati a pezzi, in Somalia, Paese verso cui vige l’embargo totale di Onu e Ue. Alla Somalia è vietato fornire, vendere, trasferire armamenti, compresi veicoli a uso militare. Le spedizioni avvenivano per container dal porto di Anversa (Belgio), mentre i pagamenti erano fatti attraverso il sistema fiduciario arabo Hawala, che è illegale e non riconosciuto dalle normative. Il commercio dei veicoli militari veniva gestito in Somalia da persone sul posto, tali Haji e Zakeria.

Il denaro per gli acquisti partiva tutto dalla Somalia. Altro paese da cui sono passati i mezzi sono gli Emirati Arabi Uniti. Una volta in Somalia, i camion venivano riassemblati e quindi venduti a chi li aveva ordinati. Gli altri indagati sono italiani. Sono trasportatori, demolitori, spedizionieri che, sempre secondo l’accusa, costituivano la rete logistica necessaria per movimentare questi materiali e anche emettere fatture false per ‘pezzi di ricambio’ con cui eludere i controlli doganali.

Disposta autopsia sul corpo della donna incinta deceduta a Careggi

La procura di Firenze ha disposto l’autopsia sul corpo della puerpera trentenne morta ieri mattina al quinto mese di gravidanza nel reparto di maternità dell’ospedale di Careggi.

Sulla vicenda, oltre alla disposizione dell’autopsia, è stato aperto un fascicolo da parte del pm Angela Pietroiusti che sta coordinando gli accertamenti per determinare le cause della morte e valutare se ci sono responsabilità tra chi ha seguito la paziente.

La causa sarebbe stato un improvviso arresto cardiaco a seguito di un intervento chirurgico cui la donna era stata sottoposta il 12 febbraio scorso.

Intanto prosegue l’indagine interna dell’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi dove la trentenne era arrivata da un altro ospedale fiorentino: la gravidanza si presentava ad alto rischio dato che la paziente era affetta da giorni da coliche biliari, sembra per una calcolosi, con complicanze al pancreas, che richiedevano un intervento chirurgico.

Il decorso operatorio sarebbe stato positivo fino al problema cardiaco che c’è stato la mattina successiva all’intervento, durante la degenza nel reparto di maternità, dove è fallito un parto cesareo d’emergenza per salvare il bambino.

Unifi, riesame su concorsi truccati: “koinè universitaria”

Il tribunale del riesame ha fatto emergere il “desolante” spaccato riguardo all’inchiesta per corruzione della procura di Firenze sui concorsi truccati per la docenza di diritto tributario. Allontanare docenti per evitare reiterazione.

Così il riesame nell’ordinanza di ieri sull’inchiesta per corruzione della procura di Firenze sui concorsi truccati per la docenza di diritto tributario: “Emerge, purtroppo, dall’insieme dell’inchiesta il desolante spaccato, in certi ambiti, di una ‘koinè’ universitaria dominata da metodi di cooptazione di carattere spartitorio, basati su reciproci favori anche di carattere corruttivo oltre che sui rapporti di potere e persino di ‘vassallaggio'”.

Ordinanza che conferma gran parte delle interdizioni decise dal gip il 6 settembre 2017, riformando invece le posizioni di sette indagati, con una riduzione da 12 a sei mesi della sospensione dalle università.

Il riesame scrive che “tutti i ricorrenti si sono pienamente inseriti in essa (‘koinè, ndr) accettandone le ‘regole’ e condividendone fattivamente la ‘logica’. Ciò implica la accertata disponibilità dei medesimi a pratiche illegali cosa che è indice di pericolo di recidivanza che deve essere cautelato”.

“comparsa la dicitura ‘corruzione accademica’ e ritiene il tribunale che per evitare il rischio di reiterazione di reati ‘accademici’ sia necessario ma anche sufficiente interrompere i legami degli indagati col mondo universitario e con quanto gli si connette. La misura interdittiva dall’insegnamento per sei mesi è adeguata al raggiungimento dell’indicato scopo cautelare. La durata è così quantificata anche per meglio proporzionarla rispetto a quella stabilita da questo stesso tribunale nell’ordinanze del 16 ottobre 2017”.

Braccialini, Riccardo: nostro operato corretto

L’ex amministratore delegato della rinomata casa di accessori d’alta moda, Riccardo Braccialini, ha rilasciato una dichiarazione sull’inchiesta della procura di Firenze sull’operato finanziario della ditta dal 2011 al 2016.

“Le indagini della magistratura sono un atto dovuto e opportuno in caso di dissesto finanziario e di conseguente accesso ad una procedura concorsuale. In questa sede posso solo confermare, anche a nome di mio fratello Massimo, quanto andiamo ripetendo da tempo: confidiamo nell’operato della magistratura e auspichiamo che gli esiti dell’indagine possano mostrare le origini profonde del dissesto e la correttezza del nostro operato di cui siamo assolutamente certi”.

E quanto dichiarato, come riporta una nota diffusa dall’avvocato Giovanni Flora suo legale, da Riccardo Braccialini, ad dell’azienda di faimiglia fino al 2016, tra gli indagati di bancarotta dalla procura di Firenze per il dissesto finanziario della casa di moda fiorentina. Le persone coinvolte nell’indagine sono oltre 25, fra cui i membri dei cda in carica tra 2011 e 2014 e i sindaci revisori dello stesso periodo.

Tra gli indagati, oltre a Riccardo, attualmente presidente dell’Associazione italiana pellettieri Aimpes, anche il fratello Massimo. La casa di moda della famiglia dei due fratelli, che produce borse, è stata fondata nel 1954 da Roberto e Carla Braccialini. Il 6 maggio 2016 il cda chiese il concordato e dall’anno scorso la società Graziella Group ha acquisito il ramo d’azienda.

Exit mobile version