🎧 Caporalato: turni di 14 ore con retribuzione di 3 euro l’ora in ditte pelli, 2 arresti

E’ quanto scoperto dalla procura di Firenze, con indagini sul caporalato che coinvolgono una coppia di imprenditori nella lavorazione del pellame e nella produzione di borse

Lavoratori stranieri, tra cui cinesi, pakistani e bengalesi, trasportati in capannoni a Campi Bisenzio (Firenze) e tenuti a lavorare su turni di 14 ore al giorno, con una retribuzione media di poco superiore ai 3 euro l’ora, senza riposo, e consumando sul posto pasti di fortuna preparati con cucine alimentate da bombole a gas.

E’ quanto scoperto dalla procura di Firenze, con indagini su una coppia di imprenditori cinesi nella lavorazione del pellame e nella produzione di borse, finiti agli arresti in esecuzione di una misura di custodia cautelare in carcere e nei cui confronti è stato disposto un sequestro per equivalente di beni per 522.883. Sottoposti a divieto di dimora altri due cinesi, familiari degli arrestati.

Le indagini delle Fiamme gialle, coordinate dal pm Christine Von Borries, hanno permesso di individuare una società di Roma con un’unità locale a Calenzano (Firenze), che subappaltava le proprie lavorazioni conto terzi a una società gestita dalla coppia di cinesi. A loro volta i due imprenditori affidavano le lavorazioni a ditte individuali caratterizzate da una breve durata operativa e a loro riconducibili, che venivano di volta in volta svuotate per non pagare i debiti con l’Erario (imposte), e sostituite da altre operanti negli stessi luoghi e con gli stessi macchinari e forza lavoro. Sempre in base agli accertamenti, la società di capitali e le ditte individuali susseguitesi nel tempo, tra il 2013 e il 2019 avrebbero maturato circa 589.000 euro di debiti erariali iscritti ed evaso imposte per 522.883 euro, mentre le indagini finanziarie hanno fatto emergere prelevamenti e bonifici per circa 1,2 milioni di euro.

Nell’ordinanza che dispone l’arresto il gup Angela Fantechi rileva come i lavoratori fossero tenuti in “uno stato di soggezione e sfruttamento”, con “macroscopiche violazioni degli orari massimi di lavoro e dell’assenza di riposi, con persone ridotte a mera forza lavoro”, in alcuni casi costretti anche a lavorare di notte per rispettare le consegne.

Sempre secondo il gip, la coppia di imprenditori avrebbe commesso violazioni “a tutto tondo” nello svolgimento dell’attività di impresa, realizzata “ad esclusivo fine di massimizzazione del profitto in spregio di ogni norma di legge vigente, con totale evasione di imposta, evasione contributiva, e sfruttamento dei lavoratori, ed utilizzazione di prestanome”.

I reati ipotizzati nell’inchiesta, coordinata dal pm Christine Von Borries, sono quelli di caporalato, bancarotta fraudolenta, dichiarazione fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, oltre a quelli di raccolta e smaltimento illecito di rifiuti speciali.

Facciamo il punto sull’inchiesta con Dario Sopranzetti Comandante Guardia di Finanza del Gruppo di Firenze

Inchiesta spese per campagna voto,chiesto processo per ex governatore Rossi

Per regionali del 2015: l’ex presidente Enrico Rossi accusato di falso. Ex governatore, “Abbiamo rispettato tetto consentito”

La procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, accusato di falso ideologico nell’ambito di un’inchiesta su presunte irregolarità nelle spese sostenute nella campagna elettorale per le elezioni regionali del 2015.

Chiesto il processo anche per il commercialista Luciano Bachi, in qualità di suo mandatario elettorale. L’udienza preliminare è fissata per il 20 maggio prossimo.

Per la procura, Rossi avrebbe indotto in errore il collegio regionale di garanzia elettorale presso la corte di appello di Firenze, dichiarando di aver speso circa 59.000 per la campagna elettorale, a seguito di contributi ricevuti per circa 70.000 euro, mentre in realtà avrebbe ricevuto e speso denaro ulteriore per circa 600.000 euro.

“Non viene contestato come illecito nessun finanziamento che ho ricevuto; tutti i finanziamenti che ho ricevuto sono stati verificati e su nessuno di essi è stato trovato nulla da ridire. Mi viene solo contestato di aver superato il tetto di spesa fissato per la campagna elettorale. Noi, io e il mio legale, crediamo che sia invece il calcolo della procura ad essere sbagliato. Lo abbiamo dimostrato nella nostra memoria. Quel tetto noi lo abbiamo rispettato”.

Così l’ex governatore toscano Enrico Rossi in riferimento all’inchiesta della procura di Firenze che lo vede indagato per falso ideologico nell’ambito di un’inchiesta su presunte irregolarità nelle spese sostenute nella campagna elettorale per le elezioni regionali del 2015. “Conseguentemente – prosegue Rossi – mi viene contestato anche il falso ideologico, un’accusa che viene rivolta esclusivamente a funzionari pubblici ma che non può essermi rivolta perché ovviamente ho firmato il bilancio per la campagna elettorale non da presidente ma da privato cittadino. Si tratta dunque di aspetti formali di cui si occupa il mio legale”

Secondo l’accusa, Rossi e il commercialista avrebbero dichiarato il falso per aggirare la normativa regionale che prevede un tetto massimo di circa 125.000 euro per le spese elettorali. Tesi contrastata dal difensore di Rossi, avvocato Gaetano Viciconte, che spiega come buona parte delle spese contestate a Rossi, sentito dai magistrati nel corso delle indagini, siano state sostenute prima dell’inizio della campagna elettorale. Sempre secondo la tesi della difesa, il reato ipotizzato, quello di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, non potrebbe essere contestato a Rossi, poiché in quanto candidato alla presidenza della Regione non era pubblico ufficiale. Inoltre, sostiene sempre Viciconte, l’eventuale violazione del tetto di spesa comporterebbe una multa e non un illecito penale. Secondo quanto appreso in ambienti investigativi, l’inchiesta è partita da alcune conversazioni intercettate nell’ambito di un’indagine per corruzione della procura di Pisa, relativa a una presunta assegnazione di un incarico da dirigente sanitario in cambio di voti quando era in corso la campagna elettorale per le regionali nel 2015. Il processo, in corso, vede tra gli imputati Ledo Gori, che è stato capo di gabinetto di Rossi, lo psichiatra Alfredo Sbrana e il direttore sanitario dell’Asl Toscana Nord Ovest Mauro Maccari.

 

Ndrangheta: confisca da 1,9 mln a commercialista Pistoia

Il commercialista di Pistoia per inquirenti è ritenuto in contatto con ‘ndrangheta. Corte di appello conferma confisca beni

La corte di appello di Firenze ha confermato la confisca di beni per 1,9 milioni di euro equivalenti a carico del commercialista Ignazio Ferrante, originario di Reggio Calabria ma da tempo residente nel Pistoiese, ritenuto dagli investigatori in contatto con cosche della ‘ndrangheta. Respinto l’appello dei legali del professionista.

I beni oggetto della confisca sono quelli sequestrati nel 2017 dalla guardia di finanza, tra cui 10 fabbricati e sei complessi aziendali. Secondo quanto spiegato dalla Gdf, le indagini patrimoniali che portarono ai sequestri, svolte dal nucleo di polizia economico-finanziaria di Pistoia sotto la direzione della procura di Firenze, trassero spunto dalla condanna definitiva per associazione di tipo mafioso del commercialista e dagli esiti delle indagini penali condotte dalla procura di Pistoia, nei confronti di Ferrante e di altre decine di soggetti, indagati per i reati di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, riciclaggio, intestazione fittizia di beni e truffe.

Sempre secondo le fiamme gialle, Ferrante era a capo di un sodalizio criminale attivo a Pistoia dedito al riciclaggio di denaro sporco proveniente da illeciti connesse a reati come usura, bancarotta fraudolenta, esercizio abusivo del credito, e contro il patrimonio. Le indagini hanno fatto emergere una fitta rete di attività commerciali, beni mobili ed immobili, ubicati nelle province di Pistoia e Firenze, intestati a prestanome. Un patrimonio, commentano gli investigatori, che non ha trovato adeguata giustificazione nei redditi ufficialmente percepiti nè dal commercialista, nè da parte degli intestatari

Manifestazione con guerriglia urbana a Firenze, 19 misure cautelari

La Digos della Questura avrebbe identificato i presunti autori della guerriglia urbana e dei danneggiamenti del 30 ottobre scorso a  Firenze, eseguendo numerose misure cautelari, tra cui ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari.

La Polizia di Stato di Firenze ha eseguito 19 misure cautelari nei confronti di soggetti che risulterebbero coinvolti nei nei fatti avvenuti la sera del 30 ottobre scorso quando il centro di Firenze è stato teatro di una manifestazione non autorizzata che ha visto il radunarsi di centinaia di persone nelle vie principali, per dare vita ad una generica protesta ‘anti-sistema’, sull’onda di analoghe manifestazioni in altre città, quali Napoli, Milano e Torino, poi degenerata in momenti di tensione, scontri, danneggiamenti e guerriglia urbana.

Dalle indagini se da un lato sarebbe  emerso il ruolo di una componente politicizzata, si è poi riscontrata la responsabilità di soggetti privi di connotazione estremistica, e individuati negli ambienti della criminalità comune.

Foto Controradio, 30 ottobre 2020

Come avvenuto in altre città, gli anonimi promotori avrebbero propagandato l’iniziativa inondando i canali social con l’invito a partecipare alla protesta – senza peraltro darle alcun obiettivo politico o tema specifico – “all’evidente scopo di ampliare al massimo la platea di possibili partecipanti e creare un clima di forte tensione”.

Agli arresti domiciliari su disposizione del gip sono finite 7 persone che avrebbero preso parte ai disordini. Altre sette sono state sottoposte all’obbligo di dimora con divieto di allontanamento dalle 20 alle 7, e 5 all’obbligo di firma. I destinatari delle misure, tutti perquisiti questa mattina, sono gravitanti su Firenze e hanno un’età compresa tra i 20 e i 31 anni.

I reati contestati, a vario titolo, sono quelli di danneggiamento di beni pubblici e privati, resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, fabbricazione e lancio di ordigni incendiari.

Secondo quanto spiegato dalla Digos, le perquisizioni effettuate stamani – 20 in tutto, una a carico di una persona non destinataria di misure – hanno permesso di acquisire materiale utile alle indagini per individuare i promotori e gli organizzatori della manifestazione.

@Controradio

Negli scontri del 30 ottobre, durati oltre tre ore e terminati solo a notte fonda, rimasero feriti cinque agenti e furono danneggiati otto mezzi della polizia, bersagliati da lanci di oggetti o sfregiati con oggetti acuminati. Inoltre, il Comune ha calcolato danni ad arredi urbani e segnaletica per circa 30.000 euro.

Nella stessa serata diverse persone furono fermate dalle polizia, venti delle quali poi denunciate e quattro arrestate, tra cui l’autore del lancio di molotov.

L’indagine, condotta con il coordinamento della Procura della Repubblica di Firenze si è conclusa, al momento, con la denuncia, a vario titolo, in totale di 37 persone.

Aggiornamento delle 9.22 – Sarebbero tutte vicine all’area anarchica le persone arrestate questa mattina dalla digos di Firenze, in esecuzione di una misura di custodia cautelare ai domiciliari. Sempre in base a quanto emerso, gli arrestati sarebbero tutti gravitanti intorno a un edificio occupato a Firenze, in viale Corsica.

“Ringrazio la polizia di Stato, la questura e la procura di Firenze per le accurate indagini e gli arresti in seguito agli scontri della sera del 30 ottobre nel centro della città. Episodi di violenza assurda provocata strumentalizzando il dolore, la sofferenza e la rabbia legittima di tante persone che soffrono la crisi per la pandemia. Fatti che non si devono mai più ripetere”. Lo ha detto il sindaco di Firenze Dario Nardella dopo gli arresti di questa mattina per gli scontri avvenuti in città la sera del 30 ottobre scorso in occasione della manifestazione ‘anti-sistema’.
“Sfruttare il disagio – ha aggiunto – per destabilizzare ancora di più, attaccare le forze dell’ordine che operano per la sicurezza pubblica, creare panico e devastare il patrimonio di tutti non è mai accettabile. Quella è stata una manifestazione non autorizzata, promossa anonimamente, facendo leva sulla buona fede di molti che credevano di manifestare pacificamente per dare sfogo a violenza gratuita”. Nardella auspica “che la giustizia faccia il suo corso e che i responsabili capiscano gli errori gravi che hanno commesso”.

Valigie con resti coppia scomparsa, arrestata ex fidanzata figlio

Svolta nelle indagini sul duplice omicidio dei coniugi, Shpetim e Teuta Pasho, 54 e 52 anni,  smembrati all’interno di quattro valigie, ritrovate per caso nei giorni scorsi in un campo a ridosso della recinzione perimetrale posteriore del carcere fiorentino di Sollicciano, lungo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno (Fi-Pi-Li).

Con l’accusa di omicidio, occultamento e vilipendio dei cadaveri è stata arrestata l’ex fidanzata di Taulant Pasho, 33 anni, il figlio della coppia che al momento della sparizione dei genitori, il 2 novembre 2015, uscì dal carcere fiorentino di Sollicciano.

Questa mattina all’alba i carabinieri del comando provinciale di Firenze hanno eseguito il decreto di fermo, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze (titolare delle indagini il pm Ornella Galeotti) nei confronti di una 36enne, pregiudicata, all’epoca dei fatti convivente con il figlio della coppia dei coniugi uccisi. La donna è accusata di omicidio, occultamento e vilipendio dei cadaveri della coppia.

L’inchiesta sta ricostruendo tutta la vicenda della misteriosa scomparsa della coppia albanese con il loro macabro ritrovamento dopo essere stati uccisi in circostanze ancora tutte da chiarire.

La scomparsa dei coniugi che facevano avanti e indietro tra l’Albania e l’Italia, fu denunciata ai carabinieri 5 anni fa, nel novembre del 2015, dalla figlia Dorina con la sorella Vittoria. I coniugi, tornati in Toscana da appena un mese, nell’ottobre 2015 avevano trovato una sistemazione a Scandicci (Firenze): un altro dei loro tre figli, Taulant, era infatti detenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano e così pensavano di stargli vicino.

Il 2 novembre 2015 la figlia Dorina, che abitava a Castelfiorentino, dove risiede tuttora, ricevette una telefonata da un numero anonimo in cui la madre le diceva di non voler rispondere a nessuno. Da allora, nessuna notizia. Pochi mesi dopo, Dorina si rivolse anche alla trasmissione tv “Chi l’ha visto?” di Rai 3 per chiedere aiuto a ritrovare i genitori. L’identificazione dei cadaveri è stato il primo passo per dipanare la vicenda giunta in queste ore ad una svolta importante.

Si è avvalsa della facoltà di non rispondere a pm e investigatori dei carabinieri Elona Kalesha, 36 anni di Durazzo (Albania), arrestata stamani a Firenze conl’accusa di aver ucciso e occultato i cadaveri dei genitori del fidanzato. La donna, che era stata condotta nella caserma del comando provinciale dell’Arma per essere interrogata, verrà trasferita in carcere. Intanto è stata sequestrata la casa dove stamani i carabinieri hanno sottoposto a fermo per duplice omicidio la donna. L’abitazione è a Firenze in via Felice Fontana. I carabinieri, però, hanno sequestrato anche il garage di un’altra abitazione, quella di via del Pantano 16, sempre a Firenze, dove la donna conviveva con Taulant Pasho nel periodo
dell’improvvisa scomparsa  dei genitori di lui. Il garage è quello dove nel giugno 2016 furono ritrovati 6 chili di marijuana e pertanto Taulant Pasho fu arrestato. Nello stesso garage, nei periodi successivi (2016 e 2017), i condomini sollecitarono un sopralluogo delle autorità per motivi igienici a causa del cattivo odore, che però – come già precisato dagli stessi inquirenti – era da attribuire a deiezioni dei cani lì custoditi.

Identificato a Firenze autore più grande cyberattacco finanziario in Italia

Identificato dalla Polizia Postale l’autore del “più grande cyberattacco finanziario in Italia, uno dei più grandi mai realizzati nel mondo nel settore delle cryptovalute”: si tratta di un fiorentino di 34 anni responsabile di un “buco” pari a 120 milioni di euro sulla piattaforma informatica hackerata “BITGRAIL”.

L’uomo identificato avrebbe truffato con questa modalità 230 mila risparmiatori e per questo sarebbe accusato  di frode informatica, auto riciclaggio e bancarotta fraudolenta. La polizia postale italiana pone così “una pietra miliare a livello mondiale nel settore delle indagini sulle cryptovalute, con un’indagine unica nel suo genere ad alto impatto tecnologico”.

L’uomo identificato è amministratore unico di una società italiana che gestisce una piattaforma di scambio di cryptovalute (exchange),ed è ritenuto responsabile oltre che della frode informatica di 120 milioni di euro, di bancarotta fraudolenta e di auto riciclaggio. Nei suoi confronti  gli investigatori della Polizia Postale di Firenze e della Sezione financial cybercrime del Servizio centrale della Polizia Postale, con l’ausilio del personale della Guardia di finanza della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di Firenze, stanno eseguendo la misura cautelare del divieto di esercitare attività d’impresa e di ricoprire uffici direttivi di imprese, emessa dal giudice per le indagini preliminari Gianluca Mancuso.

“Per la prima volta in Italia e in Europa si sono documentate condotte fraudolente e distrattive in danno di investitori, poste in essere integralmente su piattaforme informatiche e l’impiego di monete virtuali” sottolinea la Polizia Postale, spiegando che l’attività si inquadra in una più ampia strategia finalizzata al contrasto alla criminalità economica ed in particolare degli illeciti arricchimenti attraverso l’utilizzo indebito di piattaforme online e di strumenti informatici sviluppata dalla Procura della Repubblica di Firenze, diretta da Giuseppe Creazzo, che ha affidato l’indagine ai procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Gabriele Mazzotta e ai sostituti  Sandro Cutrignelli e Fabio Di Vizio.

L’uomo accusato di aver causato un ‘buco’ da 120 milioni di euro corrispondenti in criptovalute a 230.000 clienti nel mondo impegnati in operazioni coi cosiddetti bitcoin, nel febbraio 2018 denunciò il furto dell’ingente somma, da criptovaluta, denominata Nano Xrp, ma i suoi racconti contraddittori e contrastanti convinsero la procura di Firenze che sia lui sia suoi collaboratori fossero coinvolti nella ‘sparizione’ informatica del denaro.

E’ stato quindi scoperto che già dal giugno 2017 avvenivano illecite sottrazioni di criptovaluta dalla piattaforma gestita dal 34enne fiorentino, tali da procurare ad hackers – che devono ancora essere individuati, le indagini proseguono – un ingiusto profitto per 120 milioni di euro di valuta corrispondente. Inoltre gli investigatori della Gdf, con l’Uif della Banca d’Italia, hanno trovato che tre giorni prima della denuncia del maxi-furto di criptodenaro il 34enne aveva trasferito su un conto personale a Malta, tenuto presso la società digital currency exchanger The Rock Trading, 230 criptomonete bitcoin Btc pari a un valore di 1,7 mln di euro. Monete riconducibili ai clienti della piattaforma di scambio.Tale denaro il 34enne avrebbe in parte convertito in moneta legale per un valore corrispondente di 514.690 euro, in parte avrebbe provato a ‘svuotare’ il conto.

L’intervento della procura di Firenze ha fatto sequestrare non solo questo conto a Malta, ma tutti i conti dell’indagato, fino al controvalore di 120 milioni di euro, valore dell’esposizione debitoria. Il gip di Firenze Gianluca Mancuso ha disposto per il 34enne la misura del divieto dell’esercizio dell’attività di impresa, e di ricoprire incarichi direttivi nelle imprese. Per il gip ci sono gravi indizi di colpevolezza’ a carico dell’indagato il  quale, dotato di capacità tecniche non comuni, potrebbe reiterare i reati di frode informatica, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio di cui è accusato.

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