Monte dei Paschi, ancora nessuna firma a garanzia

Continua la situazione di instabilità per Monte dei Paschi di Siena. Infatti, non si è ancora trovata la quadra sull’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Si rischia di andare ai tempi supplementari.

La maratona è in corso su più tavoli per convincere le banche a garantire l’aumento di capitale per Monte dei Paschi di Siena. Queste sono restie a farlo senza investitori privati disposti a sottoscrivere buona parte dei 900 milioni che mancano all’appello dopo l’impegno da 1,6 miliardi del Ministero dell’Economia per la sua quota pari al 64% del capitale. Si prosegue così a oltranza.

Nella serata di ieri – da quanto si è appreso da fonti finanziarie – mancavano ancora le firme delle otto banche del consorzio di garanzia. Risulta quindi molto probabile che il cda di Monte dei Paschi, convocato dalla presidente dell’istituto senese Patrizia Grieco per fare il punto sullo stato dei lavori e in caso di esito positivo per definire prezzo, tempistica e le altre caratteristiche dell’operazione, si aggiorni a oggi. O appena sarà trovato un accordo per il quale sono al lavoro i vertici della banca, il Mef e, appunto, le banche del consorzio.

Perché il board dia il via definitivo alla manovra serve infatti la firma di BofA, Citi, Credit Suisse, Mediobanca, Santander, Barclays, SocGen e Stifel Europe. Si tratta delle banche che si erano già impegnate nei pre-accordi di garanzia, subordinando tuttavia la loro presenza alle condizioni di mercato e all’impegno di investitori pronti a partecipare alla ricapitalizzazione. Il timore è di doversi accollare una fetta importante dei 900 milioni che rimarrebbe inoptata. Finora Axa, partner di Monte dei Paschi nelle polizze, oltre che ex socio del Monte, sarebbe pronta ad assicurare fino a 150 milioni. Non invece Anima, che in cambio chiedeva di allargare la collaborazione nel risparmio gestito.

Tra i nomi interessati a sottoscrivere almeno una parte dell’aumento ci sarebbero Algebris e due nomi esteri: il francese Denis Dumont e il fondo Hosking che avevano partecipato all’operazione sul Credito Valtellinese quando l’istituto di Sondrio, finito poi nelle mani del gruppo Credit Agricole, era guidato dall’attuale amministratore delegato del Monte dei Paschi Luigi Lovaglio. Risulta poi l’impegno delle maggiori fondazioni toscane, in primis Fondazione Monte dei Paschi e Carifirenze, per circa 30 milioni. Nell’attesa di capire se il rafforzamento patrimoniale riuscirà a partire e in che tempi, la Borsa ha espresso fiducia. In un listino debole il titolo della banca senese ha guadagnato il 3,2% a 23,2 euro mentre i bond sono rimbalzati.

Monte dei Paschi, accordo sul consorzio vicino?

Monte dei Paschi arriva ad un bivio con l’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Nelle prossime ore si riunirà il consiglio di amministrazione del Monte. Quest’ultimo è chiamato a fare il punto su un’operazione indispensabile per rimpolpare gli striminziti cuscinetti di capitali della banca e finanziare con 800 milioni di euro i costi che dovrà sostenere, entro il 30 novembre, per l’uscita anticipata di almeno 3.500 dipendenti.

L’amministratore delegato Luigi Lovaglio ha l’obiettivo di far partire l’operazione lunedì 17 ottobre. Per farlo dovrà chiudere l’accordo sul consorzio di garanzia, senza il quale andare sul mercato potrebbe rivelarsi proibitivo. Se verrà trovata la quadra con le otto banche del consorzio di pre-sottoscrizione, con cui le trattative proseguono ad oltranza, il cda eserciterà la delega e fisserà il prezzo di emissione delle nuove azioni (il cui sconto non potrà superare l’8% a causa delle quotazioni depresse di Siena) consentendo alla Consob di approvare il prospetto giovedì prossimo.

Secondo una fonte vicina all’operazione, citata da Bloomberg, l’aumento dovrebbe partire in quanto i programmi e l’intesa con le banche sarebbero vicini. Perché si formalizzi occorre che il rischio di inoptato sui 900 milioni di euro dell’aumento riservati al mercato (1,6 miliardi arriveranno dal Mef) sia ragionevolmente contenuto, in virtù degli impegni di sottoscrizione, più o meno formali, che Lovaglio sarà riuscito ad assicurarsi dagli investitori.

Fino ad ora si è parlato di un centinaio di milioni che dovrebbero arrivare da Axa, partner della banca nelle polizze. Un altro centinaio potrebbero essere versati da fondazioni e cassa di previdenza e un numero imprecisato da fondi e investitori privati, tra i quali potrebbero esserci alcuni compagni di viaggio di Lovaglio ai tempi del Creval.

È ancora congelato il negoziato con il partner nel risparmio gestito, Anima, disponibile a mettere fino a 250 milioni in cambio di un rafforzamento degli accordi commerciali che Monte dei Paschi sembra restia a concedere. Se l’accordo non dovesse arrivare l’operazione dovrà essere rinviata al 2023 con Monte dei Paschi che avrà bisogno di chiedere una nuova delega ai soci, visto che quella in mano al consiglio si esaurirà il 12 novembre, e i destini di Siena che torneranno in mano alla Bce.

Il rischio di un nuovo salvataggio statale continua a riflettersi nelle vendite sui bond subordinati, le cui valutazioni, dimezzate rispetto al valore nominale, scontano il rischio di burden sharing. Anche tra i loro sottoscrittori Lovaglio starebbe cercando risorse per condurre in porto un’operazione difficile, alle luce delle impervie condizioni del mercato e del track record negativo della banca, giunta al quinto aumento dal 2011 dopo aver bruciato 18,5 miliardi di euro in Borsa.

Caso David Rossi: la mail fu scritta dopo la sua morte

Un altro giallo, spunta nella vicenda della morte di David Rossi, addetto alla comunicazione di Monte dei Paschi di Siena. Stavolta riguarda la mail con la quale scriveva di volersi suicidare. Il suo corpo senza vita fu trovato il 6 marzo 2013 sulla strada su cui si affacciava il suo ufficio presso Rocca Salimbeni.

Quello che emerge da un’inchiesta de L’Espresso riguarda la mail con la quale David Rossi scriveva all’amministratore di Mps, Fabrizio Viola, la sua intenzione di suicidarsi. Stando a quanto riportato quella mail fu creata il giorno successivo al ritrovamento del corpo di David Rossi.

Il fatto, per la verità, è già noto agli inquirenti che ancora indagano per far luce sulla vicenda. Infatti, la relazione che evidenzia questa anomalia è presente negli allegati alla proposta di archiviazione della Procura di Genova. La relazione era stata inviata dal giudice per le indagini preliminari di Genova, Franca Borzone, oggi in pensione.

Secondo la polizia postale la mail incriminata, apparentemente inviata da David Rossi il 4 marzo 2013, è stata invece creata il 7 marzo. Il messaggio – «Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi!!!» – è collocato all’interno di uno scambio di mail tra Rossi e Viola. La Polizia postale ha trovato due versioni di questa mail, con la stessa frase, «ma entrambe hanno data di creazione il 7 marzo 2013» alle ore 11.41. Invece, «il delivery time è del 4 marzo 2013 alle ore 10.13».

Una prova senza la quale è difficile chiudere il caso come suicidio.

Mps: Profumo e Viola rinviati a giudizio per tranche derivati

Gli ex vertici di Mps Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, assieme allo stesso istituto di credito e a Paolo Salvadori, ex presidente del, collegio sindacale, sono stati rinviati a giudizio dal gup di Milano. Il processo inizierà il 17 luglio. La Procura invece aveva chiesto per tutti gli imputati il proscioglimento. Le accuse sono di aggiotaggio (caduto per Salvadori) e falso in bilancio nella tranche sulla contabilizzazione dei derivati Santorini e Alexandria.

Il gup Alessandra Del Corvo, non accogliendo le richieste dei pm e delle difese, ha mandato a processo, come chiesto dalle parti civili (circa 200 azionisti rappresentati da numerosi legali, tra cui l’avvocato Matteo Picotti), Profumo e Viola (anche ex ad della Banca popolare di Vicenza), ex presidente ed ex ad del Monte dei Paschi, per aggiotaggio e falso in bilancio, Salvadori solo per falso in bilancio (per aggiotaggio “non doversi procedere”) e la stessa banca, imputata per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.

I pm Baggio, Civardi e Clerici già nel settembre 2016 avevano chiesto l”archiviazione delle accuse a carico degli imputati (la tranche d’indagine era stata trasmessa per competenza da Siena a Milano) ma nell’aprile 2017 si erano visti respingere l”istanza dal gip Livio Cristofano che aveva ordinato l’imputazione coatta. Da qui la richiesta di rinvio a giudizio e l’udienza preliminare nella quale il pm Civardi nella scorsa udienza aveva chiesto il proscioglimento con argomentazioni simili a quelle dell’istanza di archiviazione.

I pm avevano sostenuto che Viola e Profumo, visti il ”restatement” del bilancio di Mps da loro effettuato e la scoperta dei vari trucchi che sarebbero stati adottati da coloro che li avevano preceduti per nascondere i ”buchi”, avrebbero agito senza alcuna intenzione di falsificare i conti (tra il 2011 e il 2014) né di occultare le perdite. Il pm Civardi davanti al gup aveva ribadito che è vero sì che i derivati avrebbero dovuto essere contabilizzati ”a saldi chiusi” e non ”a saldi aperti”, come è stato fatto, ma gli ex manager avevano fornito negli allegati ai bilanci tutte le indicazioni su quali sarebbero stati gli effetti della contabilizzazione ”a saldi chiusi”, senza intenzione di ingannare il mercato.

Per il pm, gli ex manager, che avevano ereditato la gestione della banca dopo quella di Giuseppe Mussari e degli altri vertici (che sono a processo a Milano), non solo avevano reso consapevole il mercato dei problemi sui bilanci ma si erano anche attenuti alle disposizioni di Consob e Banca d’Italia. Diversa la lettura del gip dell’imputazione coatta (agli atti anche una nuova consulenza disposta dalla Procura generale) che ravvisò nelle condotte dei manager presunti profili ingannevoli nei confronti del mercato perché quella contabilizzazione non aveva dissipato le ambiguità sui derivati.

“Sono sorpreso ma confermo con determinazione di essere sereno per le scelte fatte in Mps”. Fonti vicine ad Alessandro Profumo fanno sapere così il pensiero dell’ex banchiere, oggi ad di Leonardo. “Dimostreremo di aver sempre operato correttamente nell’interesse dell’istituto e dei suoi azionisti, peraltro in stretta collaborazione con Banca d’Italia e Consob, e riconfermo la mia totale fiducia nella magistratura”.

Mps, processo Alexandria: assolti gli ex vertici

Mussari, Vigni e Baldassarri, condannati in primo grado a 3 anni per la vicenda del derivato Alexandria, sono stati assolti dalla Corte d’Appello

Tutti assolti in appello a Firenze gli ex vertici di Mps, Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri, per l’inchiesta sulla ristrutturazione del derivato Alexandria. In primo grado i tre imputati erano stati condannati a 3 anni e mezzo di reclusione oltre a 5 anni di interdizione.

Questa mattina intorno alle 10 i giudici di Firenze si erano ritirati per decidere se scagionare gli ex vertici di Monte dei Paschi dalla condanna avuta in primo grado.

I tre imputati vennero condannati per aver nascosto il ‘mandate agreement’, il contratto per la ristrutturazione del derivato Alexandria, stipulato da Rocca Salimbeni con i giapponesi di Nomura. Un’accusa che i loro avvocati hanno cercato di smontare, chiedendo e ottenendo in appello l’acquisizione del ‘Deed of Amendment’ (un’integrazione del contratto che conterrebbe anche il ‘mandate’) di cui tutti in Mps sarebbero stati a conoscenza.

Gli avvocati dei tre imputati – Tullio Padovani e Fabio Pisillo per Mussari, Franco Coppi e Enrico De Martino per Vigni e Filippo Dinacci e Stefano Cipriani per Baldassarri – hanno sempre sostenuto che all’interno della Banca si sapeva dell’esistenza del ‘mandate agreement’ e che questo documento non era un segreto neppure per gli ispettori della Banca d’Italia. per gli ispettori della Banca d’Italia. Per questo motivi gli avvocati difensori durante il dibattimento in aula a Siena avevano chiesto ai giudici l’assoluzione con formula piena per tutti e tre i loro assistiti. Stessa richiesta hanno formulato i difensori durante il processo d’appello a Firenze. Durante il processo d’appello, il sostituto procuratore generale Vilfredo Marziani nella requisitoria aveva sostenuto come gli ispettori della Banca d’Italia, sotto giuramento, nel processo di primo grado, avessero chiarito che senza quel documento del “mandate agreement”, ritrovato tre anni dopo in una cassaforte del successivo amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola, la complessità dell’operazione con Nomura non si poteva comprendere. Mentre gli altri documenti consegnati dalla vecchia gestione di Mps alla Banca d’Italia erano, secondo l’accusa, insufficienti.

 

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