Margherita Verdi, la fotografia e le sue “Impronte”.

Margherita Verdi è una fotografa fiorentina. La mostra “Impronte” alla Fondazione Studio Marangoni raccoglie e celebra adesso il suo lavoro.

Margherita Verdi fotografa dagli anni Ottanta. E “Impronte” presenta una bella selezione della sua lunga e coerente ricerca.

In mostra si vedono infatti immagini tratte da molte serie che Margherita Verdi ha esplorato negli anni. Si tratta di immagini sia in bianco e nero che a colori. Sia analogiche che digitali. L’allestimento poi, curato da Bärbel Reinhard, è molto elegante. E riflette una profonda conoscenza e comprensione del lavoro di Margherita Verdi.

Non per niente infatti Margherita Verdi ha lavorato per molti anni anche come direttrice della scuola di fotografia Fondazione Studio Marangoni, dove la stessa Reinhard ha concluso la sua formazione.

“Impronte” riflette così tutto un universo e un fitto intreccio di stima, affetti, ricerca, condivisioni e stimoli culturali, che riverberano in tutti i lavori di questa bella mostra. E che ben riflettono il percorso umano e professionale della fotografa.

Margherita Verdi infatti è sempre stata una femminista impegnata e una attenta partecipe alla vita sociale e politica. Tanto che la sua carriera di fotografa e il suo lungo e coerente percorso creativo iniziano collaborando con vari gruppi teatrali underground.

Questa “mini retrospettiva”, come l’ha definita Martino Marangoni, uno dei curatori, adesso mette in risalto proprio l’ampiezza e la coerenza del suo percorso creativo.

In mostra si vedono infatti lavori sui temi a lei più cari: gli orti botanici; l’archeologia industriale; gli animali di ogni forma e colore. E i luoghi sacri di varie religioni (una serie bellissima).

Il tutto è sempre trattato in maniera originale, allo stesso tempo personale e immediatamente riconoscibile.

Infatti, come ha scritto nel bel catalogo Roberta Valtorta, tutta l’opera di Margherita Verdi è percorsa “da un’interrogazione costante, insieme a una sorta di vagante incertezza sull’identità delle creature viventi che vediamo e sulla realtà stessa dei luoghi.

(…) Su tutto domina il mistero profondo dell’antico mondo degli animali e delle piante, esseri che ci hanno preceduti sulla terra”.

Lo sguardo di Margherita Verdi ci propone una messa a fuoco selettiva, spesso mossa, e quindi mutabile; cioè gentile, rispettosa dell’altro e mai perentoria. E’ una ricerca sperimentale aperta alle interpretazioni di chi osserva le immagini, e questo suggerire lasciando spazio agli altri mi sembra uno degli elementi portanti di tutto il suo lavoro.

Perchè Margherita Verdi è sempre stata fedele alla sua visione. Anche in anni in cui l’approccio alla fotografia si muoveva lungo strade molto diverse e lo stile documentaristico andava per la maggiore. Anni nei quali lei guardava invece a Duane Michals, Sarah Moon, Sally Mann…

Perchè lei, fotografa inizialmente autodidatta, come mi ha detto si è formata “sia seguendo lezioni di storia dell’arte di Masciotta all’accademia di Belle Arti a Firenze; che con Roberto Salbitani, con il quale ho perfezionato le tecniche di stampa in camera oscura, molto importanti in tutto il mio lavoro.”

“Alla Fondazione Studio Marangoni ho poi insegnato tecniche alternative di camera oscura nel corso triennale. La camera oscura è un’immersione in te stesso…è una terapia, bellissima!!” 

“Adesso uso le macchine a seconda dei progetti che voglio realizzare: camera digitale o Holga. Uso la Holga da tanti anni e per determinati progetti, dove la visione leggermente mossa mi sembra la più adatta a ricreare le atmosfere dei luoghi.”

“Se uso il digitale scatto a colori, ma poi quando elaboro il progetto decido se trasformarlo in bianco e nero, come è successo per l’ultimo progetto che sto portando avanti, Invisibili. Ho provato con il colore ma non mi sembrava idoneo all’argomento, e quindi l’ho trasformato in bianco e nero che per me adesso funziona”.

Intima coerenza e visione poetica: adesso “Impronte” offre l’occasione di apprezzare al meglio le immagini al tempo stesso eleganti, gentili e potenti di Margherita Verdi.

Margherita Abbozzo
Le fotografie della mostra sono mie, quelle dei lavori courtesy Margherita Verdi.

La mostra è aperta alla fsmgallery – Fondazione Studio Marangoni – in Via San Zanobi 19r a Firenze, fino al 21 marzo dal lunedì al venerdi con orario 15-19- sabato 10-13 o su appuntamento.

 

“UNTIL WE RETURN”, mostra fotografica di Dalia Khalissy che racconta la vita dei profughi siriani in Libano

UNTIL WE RETURN – cioè “Fino al nostro rientro” o “fino al momento di ritornare” –  è la mostra organizzata in concomitanza con il Festival Middle East Now con la quale la fotografa Dalia Khamissy ci racconta la vita dei tantissimi profughi siriani che hanno trovato rifugio in Libano.

UNTIL WE RETURN di Dalia Khamissy è alla FSM Gallery – Fondazione Studio Marangoni. Curata da Alessandra Capodacqua è una delle tre mostre organizzate dal Festival Middle East Now e che raccontano il Medio Oriente oggi.

Come è risaputo, il Libano ha accolto una quantità enorme di profughi siriani. Più di un milione, solo in Libano! Dal 2011 Khamissy li va fotografando in modo da raccontare per Ong, giornali e magazine internazionali le diverse storie di persone fuggite da una guerra terribile. E riesce a farlo con un perfetto mix di rispetto e grazia. Così le sue immagini penetrano potentemente la coltre della nostra assuefazione e indifferenza.

Si tratta di belle fotografie, che riescono molto abilmente a evitare il registro patetico. Anche quando le loro didascalie raccontano storie tremende (vedi sotto).

Khamissy riesce a portarci al fianco delle donne, dei bambini e dei vecchi che hanno dovuto lasciare tutto conservando, nonostante tutto, dignità e speranza. Speranza di poter tornare, come è ricamato in arabo su una tendina alla finestra di una roulotte: “Refugees and, God willing, Returnees”. E cioè, “Rifugiati e, Dio volendo, persone che ritorneranno”.

Con le sue fotografie, Khamissy racconta storie di uomini, donne e bambini fuggiti dagli attentati, dalle battaglie, dai rapimenti.

Alcuni di loro sono stati gravemente feriti, altri hanno perso i familiari o le persone amate, altri ancora sono fuggiti perché minacciati a causa della loro identità sessuale o perchè a rischio di essere rapiti.

Tutti tentano di costruirsi un’esistenza dignitosa in Libano. Vivono in rifugi di fortuna, fanno lavori precari, riescono a malapena ad andare avanti: e nonostante tutto, riescono anche a ritagliarsi qualche spazio di gioia. E i loro bambini studiano. Per costruirsi un futuro migliore. In patria. Insh’allah.

Le altre due mostre del festival Middle East Now sono Flavours of Iraq, installazione multimediale di video e immagini di Feurat Alani e Léonard Cohen, presso il Cinema La Compagnia; e The Glass Between Us, di Mohammad Alfaraj, giovane artista saudita scelto per la residenza d’artista “Middle East Now x Crossway Foundation Residency ” realizzata in collaborazione con Le Murate. Progetti Arte Contemporanea.

Margherita Abbozzo. Le fotografie della mostra sono mie, quelle individuali sono courtesy of Dalia Khamissy.

Didascalie delle foto in ordine di apparizione:

1 –  Samira, 27, rifugiata siriana, con la sua figlia più piccola, Rawan, 19 mesi, a Nabatiyeh, nel sud del Libano, 2015. Samira e i suoi 4 figli sono stati abbandonati dal marito che è andato in Germania lasciandola sola e piena di debiti.

2 – Khalida, 34, rifugiata siriana, con i suoi due figli, Nourjan, di 9 anni, e Mohammad, di 2, nel campo di Chatila, alla periferia di Beirut, 2015.

3-  Tenda nella roulotte di un rifugiato siriano nel campo di Zaatari con ricamata la frase “Rifugiati, e con l’aiuto di Dio, persone che ritorneranno”, Giordania, 2013.

4 – Wadha e su cognata Mashhadiyeh, libanesi, con i loro bambini nel villaggio di Akkar, nel nord del Libano.

 5 – Rami e  Ahmed nel loro appartamento a Beirut, Libano, 2014.

6 –Dina e Hala, sorellastre, nel campo per rifugiati siriani nella valle della Beeka, 2015.

La mostra rimane aperta fino al 31 maggio. Info pratiche sul festival qui.

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