Siena, scritte fasciste: in 200 a presidio Cgil. “Mai più fascismi”

Siena – Erano in 200 ed hanno esposto uno striscione con scritto ‘Mai più fascismi’, le persone che hanno preso parte oggi al presidio organizzato da Cgil senese all’indomani delle scritte fasciste e omofobe e contro il sindacato vergate con vernice nera all’interno dell’ufficio di una dipendente dell’Università di Siena.

Nella mattinata di ieri, nell’ateneo di Siena, sono state trovate scritte inneggianti al duce, Benito Mussolini, contro la Cgil e omofobe. Questa mattina, dalle 10 alle 12 il sindacato ha organizzato un presidio di protesta per sensibilizzare sulla vicenda. Questa mattina è stato intanto ripulito dalle scritte l’ufficio imbrattato e proseguono le indagini della digos per accertare l’autore, o gli autori del gesto.

“Vedere la nostra organizzazione e chi la rappresenta colpita per il ruolo che esercita e per l’orientamento sessuale è una cosa degna solo del fascismo, degli squadristi, di chi si maschera di notte” ha detto il segretario generale della Cgil di Siena Fabio Seggiani.

Seggiani ha poi evidenziato: “E’ l’ora di chiuderne le sedi e di metterli fuori legge, è quello che chiediamo. Fuori i fascisti e non la Cgil dall’università”. Presente al presidio il rettore dell’Università di Siena Francesco Frati, l’onorevole del Pd Susanna Cenni e l’assessore all’università della Regione Toscana Alessandra Nardini, oltre ai rappresentanti di Cisl Siena, Arci e associazioni studentesche di sinistra.

🎧 Rischio cottimo, violazione privacy, ritmi estenuanti: i rischi dello Smart Working visti dai bancari

Presentata la ricerca Fisac Cgil (curata dal sociologo Pippo Russo) con interviste “in profondità” a 41 lavoratori e lavoratrici senesi. Quiriconi, segretario generale Fisac Cgil Toscana: “lo smart working E’ un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro, della sua organizzazione, del modello di contrattazione: il lavoro da remoto ora va contrattato”.

Osannato da alcuni, temuto da altri: cos’è veramente lo smart working e che ricadute avrà (sta avendo) sulla vita dei lavoratori coinvolti? E’ questo il tema al centro della ricerca working class – 41 storie di lavoro da remoto” realizzata da Pippo Russo (professore del dipartimento sociologia dell’Università di Firenze) in 45 ore di interviste “in profondità” a lavoratori e lavoratrici senesi nel settore finanziario e dei servizi al credito.

Tra i rischi certamente la pericolosa tendenza a veder svanire il confine fra tempo di vita e di lavoro. L’aumento della produttività (si lavora di più nello stesso arco di ore e si sfora l’orario di lavoro senza che ve ne sia reale necessità). E il rischio ‘cottimo’. Questi gli elementi più problematici per i lavoratori. Mentre per le aziende c’è chiaramente  possibilità di abbattere i costi enormemente.

“Le rare e isolate esperienze di smart working effettuate nelle aziende prima della pandemia erano avvenute in modo disfunzionale; era visto dalle direzioni come un fastidio più che un’opportunità, poi con la pandemia è cambiato tutto (si sono palesate alle direzioni le possibilità di ristrutturazione, controllo e abbattimento dei costi)” dice la FISAC.

L’indagine, commissionata da Fisac Cgil Toscana e Fisac Cgil Siena, è stata presentata oggi in una diretta streaming sul sito e sulla pagina Facebook di Fisac Cgil Toscana. “Si tratta della prima indagine che indaga condizioni, stato d’animo, sentimenti in un settore in cui il lavoro a distanza ha impattato con forza maggiore rispetto ad altri, non limitandosi alla semplice somministrazione di questionari a distanza, ma interagendo con lunghe interviste con i diretti interessati – ha detto Daniele Quiriconi, segretario generale di Fisac Cgil Toscana

C’è anche chi la valuta positivamente: “con lo smart working sono rinata”, “è una fregatura, e ho pure problemi di connessione dove abito”, “a casa ci si concentra meglio”. Mentre altri puntano maggiormente l’accento sui lati negativi manca il confronto diretto coi colleghi per risolvere le questioni sul lavoro”, “non si stacca mai, mi capita di leggere mail dei colleghi inviate a orari improponibili”.

“con lo Smart Working Emergono, insieme ai vantaggi, i limiti, le paure, i rischi e le insofferenze per una situazione determinata da forza maggiore, ma che può essere il preludio ad un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro, della sua organizzazione, del modello di contrattazione. E questo è il compito del sindacato: contrattare il lavoro da remoto con le imprese”. Ha aggiunto Fabio Seggiani, Segretario Generale Cgil Siena: “Dato che nel post-pandemia questa modalità lavorativa continuerà ad essere applicata, è assolutamente necessario considerare anche le ricadute che il lavoro da remoto ha sull’intera economia di un territorio come quello di Siena, a partire dalle ripercussioni sui lavoratori e sulle lavoratrici che operano nel settore dei servizi e degli appalti”.

“L’obiettivo che ha ispirato la ricerca e ne ha guidato il lavoro è stato  fare emergere la dimensione esperienziale dello Smart Working utilizzato a sua volta non soltanto nella sua accezione di modalità operativa, ma soprattutto come una chiave di lettura sui mutamenti nei rapporti di lavoro che il settore del credito e dei servizi finanziari sta affrontando” ha dichiarato il sociologo Pippo Russo. Che indica in questi punti gli elementi di maggior rilevo che emergono dall’inchiesta.

Molte risposte mostrano una chiara consapevolezza di cosa lo SW avrebbe dovuto essere e perciò segnalano lo scarto fra modello e realtà. Altre partono dalle considerazioni sulle conseguenze che questa modalità ha avuto per la vita privata e per questo sacrificano una visione più prospettica. Su un aspetto il parere è molto diffuso: si tratti di SW o di altro, questa modalità permette di raggiungere livelli di produttività nettamente più elevati che quelli possibili sul posto di lavoro. Le condizioni di isolamento permettono di raggiungere gradi di concentrazione e continuità spesso impossibili sul posto di lavoro. Va a finire che si lavora di più nello stesso arco di ore (intensività), ma anche che si sfori l’orario di lavoro senza che ve ne sia reale necessità (estensività). Ne consegue in SW la produttività dei/lle dipendenti è chiaramente aumentata. Sarebbe un tema da porre in sede di contrattazione salariale?”

Altro elemento condiviso all’unanimità -sottolinea Russo- è che grazie all’adozione generalizzata dello Smart Working le aziende hanno potuto abbattere costi in misura enorme, e che ciò ha anche permesse loro di avviare una vasta ristrutturazione relativamente a sedi, immobili, luoghi e postazioni di lavoro, gestione del personale. Si pone la questione delle modalità con cui questa ristrutturazione viene adottata e sul rischio che le aziende facciano affidamento soprattutto sul risparmio tralasciando sviluppo e investimento”.

Infine “la sezione delle domande relativa all’intreccio fra tempo di lavoro e tempo di vita mette in evidenza, sia pure in misura non generalizzata, una pericolosa tendenza a veder svanire il confine fra le due sfere. Si tratta di un possibile lascito che ancora non si è in grado di valutare, né lo si sarà fino a che non sarà stata completata l’uscita dalla pandemia. Ma le premesse per un fenomeno preoccupante rispetto alla sfera personale delle/dei dipendenti sono già ben visibili”.

Covid, lavoro: nel senese oltre 3 milioni e mezzo di ore di cassa integrazione

Seggiani: “Quello che ci preoccupa ora è la successiva perdita di posti di lavoro”.

“Sono oltre 3 milioni e mezzo le ore di cassa integrazione richieste dalle aziende del territorio senese ed autorizzate” – annuncia il Segretario Generale della CGIL di Siena Fabio Seggiani – “ma sono pochi gli anticipi da parte delle imprese e ci sono difficoltà con le banche, quando invece hanno funzionato bene i nostri enti bilaterali dell’artigianato, sia quello regionale (EBRET) che quello senese (C.I.A.), che hanno aiutato lavoratori ed aziende col sostegno al reddito”.

“Il 60% delle ore si trova nel manifatturiero, il 20% nell’edilizia, il 15% nei servizi, il restante 5% in agricoltura ed altri comparti – prosegue Seggiani – mentre il maggior numero di domande è nel commercio, nella ristorazione, nel turismo e nella cura della persona, a conferma della parcellizzazione di questi settori che presentano piccole e piccolissime imprese che spesso contano uno o due dipendenti. Il 61% dei lavoratori interessati dagli ammortizzatori sociali sono donne”.

“Quello che ci preoccupa di più ora è la post pandemia, – sottolinea il Segretario – perché purtroppo ci aspettiamo, alla fine della cassa integrazione e del divieto di licenziare, una forte perdita occupazionale che colpirà soprattutto le donne, già penalizzate tra lavoro di cura e figli a casa, gli stagionali e il precariato diffuso”.

“Fondamentale però deve essere il nostro impegno, da subito, – conclude Seggiani – ad usare gli ammortizzatori sociali come strumento oltre l’emergenza, ovvero nella formazione dei lavoratori finalizzata alla transizione digitale e verde delle imprese, operazione che nell’ottica di accesso ai finanziamenti europei e al mercato globale le aziende non possono evitare, pena la loro definitiva chiusura”.

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