Ricorso in Cassazione contro condanna morte Martina Rossi

Arezzo, ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello bis per la morte di Martina Rossi, la ventenne studentessa genovese deceduta il 3 agosto 2011 a Palma di Maiorca dopo essere precipitata dalla terrazza di un albergo.

A presentare il ricorso sono stati i due legali di Luca Vanneschi, uno dei due aretini condannati a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo: per l’accusa la giovane cadde mentre cercava di scappare.

I due difensori di Vanneschi, avvocati Stefano e Carlo Buricchi, hanno confermato il deposito del ricorso in Cassazione i cui termini scadevano ieri.

Vanneschi, insieme ad Alessandro Albertoni, in primo grado era stato condannato a 6 anni di reclusione anche per l’accusa di morte come conseguenza di un altro reato. Sentenza poi ribaltata in appello quando i due vennero assolti.

La Cassazione però ha poi annullato quest’ultimo verdetto ordinando un nuovo processo che ha portato lo scorso 28 aprile alla condanna a 3 anni per la sola tentata violenza essendosi prescritto l’altro reato.

Il 14 maggio scorso erano state poi rese note le motivazioni della condanna: “Il quadro che ne esce è quello di una ragazza poco più che ventenne, ancora nel pieno delle progettualità della vita sociale e affettiva – aveva spiegato il giudice – Martina era una ragazza normale alla quale nell’ultimo periodo della propria vita erano accadute soltanto cose positive che la motivavano nel suo percorso di vita”. “Un quadro – si leggeva ancora nelle carte – incompatibile con le condizioni di una ragazza che, secondo la ricostruzione degli imputati, avrebbe deciso senza alcun motivo apparente di mettere fine alla propria vita”.

Il collegio di appello aveva precisato poi, come sottolineato a più riprese dalle difese degli imputati nel corso del processo, che Martina in passato aveva effettivamente avuto problemi di natura psicologica, per i quali era stata in cura prima da uno psicologo e poi da uno psichiatra e che erano stati risolti in modo definitivo. “I disturbi del comportamento – sostieneva ancora il giudice – che avevano interessato Martina Rossi in età adolescenziale erano già passati nel periodo corrispondente agli esami di maturità, nell’estate del 2009”

Questa, si sottolineava infine nelle motivazioni di appello firmate dal presidente Alessandro Nencini, è “l’unica verità processuale in grado di soddisfare la valenza di tutti gli indizi esaminati”. “Martina Rossi – scrive ancora il giudice nelle motivazioni – venne aggredita da entrambi gli imputati”. Quella notte Vanneschi e Albertoni, si legge ancora nella sentenza, erano entrambi in preda dell’effetto di sostanze stupefacenti, probabilmente hashish. “La giovane – viene scritto – reagì con forza a questa aggressione ingaggiando, sicuramente con Alessandro Albertoni, una colluttazione a seguito della quale provocò dei graffi al collo dell’imputato”.

Martina Rossi: udienza in corso, oggi verdetto Cassazione

Oggi verrà decisa la riapertura del caso di Martina Rossi. Il Pg della Suprema Corte ha chiesto di riesaminare la vicenda e annullare le assoluzioni dei due imputati

E’ in corso davanti alla Terza sezione penale della Cassazione l’udienza all’esito della quale verrà decisa la riapertura o meno del caso di Martina Rossi, la studentessa genovese di 20 anni morta il 3 agosto del 2011 cadendo dal balcone di un hotel a Palma di Maiorca, in Spagna, dove si trovava in vacanza con delle amiche.

Il Procuratore generale della Suprema Corte, Domenico Seccia, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto di riesaminare la vicenda e annullare le assoluzioni dei due imputati coinvolti dalle indagini. Per questo fatto in primo grado erano stati condannati a sei anni di reclusione due giovani aretini, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, entrambi di Castiglion Fibocchi, accusati di tentata violenza di gruppo e morte come conseguenza di altro reato.

Secondo il Tribunale di Arezzo, Martina precipitò dal balcone della camera dove alloggiavano i due ragazzi – nello stesso hotel della studentessa genovese – per fuggire a un tentativo di stupro. In appello invece, lo scorso 9 giugno, Albertoni e Vanneschi sono stati assolti dall’accusa di tentata violenza sessuale mentre è stata dichiarata prescritta l’imputazione di morte come conseguenza di altro reato. La sentenza della Corte di appello di Firenze è stata impugnata dalla procura generale di Firenze per “indizi non valutati”, per “motivazione contraddittoria” e per una “valutazione frazionata e priva di logica degli indizi”. Visione che sarebbe stata sposata in pieno dal Pg presso la Suprema Corte, secondo quanto appreso nei giorni scorsi dalle parti coinvolte nel procedimento.

Etruria: Cassazione, nullo sequestro beni imputati bancarotta

La Cassazione ha annullato, con rinvio, il sequestro dei beni per diversi milioni di euro disposto nei confronti degli ex vertici e dirigenti di banca Etruria imputati nel processo per bancarotta in corso di svolgimento ad Arezzo.

Il sequestro dei beni, che aveva riguardato 16 imputati, era stato disposto il 30 marzo scorso dallo stesso tribunale a scopo conservativo ai fini del risarcimento dei danni ed era stato poi confermato dal riesame a cui ora la Cassazione ha rinviato la decisione. Intanto oggi nuova udienza del processo: in aula sentiti due ispettori di Banca Italia.

Case occupate, Cassazione: prefettura Firenze sbagliò a ritardare sgomberi immobili occupati da Movimento Lotta

Con la sentenza 24198 depositata oggi, la Cassazione accoglie il ricorso di due società titolari di 50 appartamenti. 32 in un lotto a Firenze in Via del Romito, e 18 in un lotto a Sesto Fiorentino in Via Primo Maggio.

La politica di welfare per garantire il diritto ad una casa non può compiersi a spese dei privati cittadini, i quali già sostengono un non lieve carico tributario, specie sugli immobili, per alimentare, attraverso la fiscalità generale, la spesa per lo stato sociale”. Lo sottolinea la Cassazione.

Tra il dicembre 1993 e il maggio 1994, i due stabili vennero occupati da attivisti del ‘Movimento per la casa’. Nonostante la Procura fiorentina in breve avesse dato l’ordine di sgombero, il Prefetto e il Questore rinviarono per sei anni l’intervento. “Per evitare disordini e tutelare l’ordine pubblico”.

“Se l’amministrazione intenda dare alloggio a chi non l’abbia – affermano gli ‘ermellini -la via legale è l’edificazione di alloggi o l’espropriazione di private dimore. Secondo la legge e pagando il giusto indennizzo, e non certo garantire a dei riottosi, perchè di questo si è trattato, il godimento dei beni altrui”.

Per la Cassazione, le due società hanno diritto ad ottenere dal Ministero dell’Interno il risarcimento dei danni patiti. Questo a causa delle scelte attendiste che hanno “violato e compresso il loro diritto di proprietà.” Garantito, invece, dalla Carta di Nizza, dalla Corte di Strasburgo e dalla Costituzione. Ora la Corte di Appello di Firenze deve calcolare i danni prodotti da questo “incredibile ritardo”

Gli immobili occupati abusivamente, appena la Procura ordina lo sgombero, devono essere subito liberati dalle forze dell’ordine. Il Ministero dell’Interno non può compiere scelte “attendiste” perché altrimenti garantirebbe “non l’ordine, ma il disordine pubblico.” Mentre “dove è più intollerabile il sopruso, là più forte deve essere la reazione dello Stato di diritto”. Lo sottolinea la Cassazione dando ragione ai proprietari di 50 appartamenti occupati contro l’inerzia del Viminale che per sei anni rimandò lo sgombero

Firenze: procura presenta ricorso per gli assolti di Alexandria

La procura generale ha presentato ricorso in Cassazione per gli assolti di Alexandria, accusati di aver celato documenti durante un’indagine, la difesa degli imputati chiede le assoluzioni siano per ‘non aver commesso il fatto’.

La procura generale presso la corte di appello di Firenze, con il sostituto Vilfredo Marziani, ha presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione degli ex vertici di Mps Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gian Luca Baldassarri, dall’accusa di ostacolo alla vigilanza di Bankitalia riguardo alla ristrutturazione del derivato Alexandria, in particolare per aver celato in una cassaforte della banca il contratto ‘mandate agreement’ con la banca giapponese Nomura. Lo riporta il quotidiano La Nazione.

In appello, il 7 dicembre 2017, i tre imputati vennero tutti assolti ‘perché il fatto non costituisce reato’. La decisione ribaltò la sentenza di primo grado che, invece, aveva dato condanne a 3 anni e 6 mesi di reclusione più 5 anni d’interdizione a tutti i tre imputati.

Il pg Marziani aveva chiesto in appello una condanna maggiore, a 7 anni per Mussari, e a 6 anni per Vigni e Baldassarri ritenendo che gli imputati volontariamente non dissero agli ispettori di Bankitalia del contratto.

Tuttavia, anche le difese dei tre imputati hanno presentato ricorso in Cassazione per chiedere che le assoluzioni siano per ‘non aver commesso il fatto’ (e non ‘perché il fatto non costituisce reato’), volendo sottolineare con questa formula assolutoria che non ci fu nessuna volontà degli imputati di nascondere i documenti agli ispettori della Vigilanza.

Uccise la moglie malata di Alzheimer, condannato a sette anni

La cassazione ha condannato il pensionato fiorentino che uccise nel 2014 la moglie malata di Alzheimer a scontare una pena di sette anni ed otto mesi. Respinta la richiesta della difesa dell’attenuante per aver agito con motivi di particolare valore etico.

Confermata dalla Cassazione la condanna a sette anni e otto mesi di reclusione, senza concessione dell’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore etico, nei confronti di un pensionato che nel 2014 a Firenze uccise la moglie di 88 anni afflitta da Alzheimer. Per i supremi giudici, sull’eutanasia non si registra ancora nella società “un generale apprezzamento positivo” ed anzi ci sono “ampie correnti di pensiero che la contrastano”, situazione “che impone” di non concedere l’attenuante etica.

Senza successo, la difesa del pensionato fiorentino. Ha chiesto alla Suprema Corte di considerare come un valore condiviso dalla società “quello di porre fine alle sofferenze della persona, conformemente ai suoi desideri espressi in vita, rimarcandosi, al riguardo, le differenze con l’eutanasia” perchè in questo caso “sussisteva l’ulteriore elemento” di aver posto fine “alle sofferenze di un soggetto amato, insieme all’ossequio della volontà di chi non era più in grado di esprimerla”.

Inoltre nel ricorso i legali dell’imputato, al quale è stato riconosciuto anche dalla Cassazione di aver preso una decisione “difficile e disperata” quando era ormai “incapace di sopportare le sofferenze e l’inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie”, hanno fatto riferimento ai paesi europei che hanno legalizzato l’eutanasia e il suicidio assistito, alle sentenze Cedu sul diritto a decidere come e quando morire, a un sondaggio Eurispes da cui emerge il parere positivo degli italiani sull’eutanasia.

Hanno poi ricordato che l’Inghilterra ha introdotto l’aiuto al suicidio per compassione sanzionandolo in maniera più lieve. Ma niente ha fatto breccia. Miglior sorte non ha avuto l’argomento per cui G.V. avrebbe ucciso la moglie, totalmente demente e non più in grado di camminare, per evitare, una volta che lui fosse morto, che il peso di assisterla ricadesse sulle figlia dal momento che non ci sono strutture pubbliche che si fanno carico di questi casi.

Ad avviso della Cassazione, infatti, è da “escludere che la consapevolezza della carenza di pubbliche strutture assistenziali idonee a coadiuvare la famiglia nell’assistenza di congiunti gravemente malati, e senza possibilità di guarigione, commista alla preoccupazione di gravare sulla vita di altri congiunti, pure se moralmente e giuridicamente obbligati verso la persona malata, possa generare, secondo la coscienza etica prevalente nella collettività, la spinta volta a sopprimere la vita dell’infermo quale motivo di particolare valore morale e sociale”.

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