“Pierres, n. 30”, di Alberto Magnelli

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    L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Pierres, n. 30”, di Alberto Magnelli (olio su tela, 1933).

     

    Nei primi decenni del Novecento molti artisti italiani hanno lasciato la loro patria alla ricerca di gloria in Francia, a Parigi, dove tutto avveniva nei confini dell’arte. L’Italia era un paese culturalmente molto arretrato, arroccato su posizioni passatiste, come si legge nelle pagine dei diari di molti di loro. Anche Alberto Magnelli, nato a Firenze nel 1888, decide di trovare stimoli e fortuna a Parigi dove arriva una prima volta nel 1914 con Aldo Palazzeschi e dove conosce Apollinaire, Picasso, Leger e Matisse, suoi immediati punti di riferimento. Dopo la prima esperienza con il futurismo, la collaborazione con La Voce e Lacerba, Magnelli si avvia verso la scoperta di uno stile più astratto, caratterizzato, nel primo periodo, da una certa eleganza lineare di sintetismi raffinati e cromie sofisticate. Poi nel 1915 la svolta definitiva verso la pittura astratta di cui diventerà uno dei massimi protagonisti a livello europeo e mondiale.

    Intorno agli anni trenta, durante alcuni sopralluoghi nelle cave di Carrara, resta colpito dalla luce e dalla monumentalità dei blocchi di marmo estratti dalle pareti rocciose e, riflettendo sulla grande tradizione scultorea rinascimentale e sull’opera di Michelangelo in particolare, trova ispirazione per una nuova serie di dipinti intitolati Pierres che espone nel 1934 nella galleria parigina di Pierre Matisse.

    Le collezioni civiche fiorentine sono ricche di opere di Magnelli, a coprire l’intero arco della sua carriera: dalle prime nature morte di sapore matissiano, alle Esplosioni liriche e Pierres fino ai dipinti astratti dell’ultimo periodo, quando la felicità cromatica si stempera in un linguaggio, che a quel punto si è era fatto quasi affermazione stilistica e grammaticale, una ricerca di costruzioni logiche e spaziali, che ha il sapore di esercizi compiuti a memoria.  Pierres sono composizioni in cui dei volumi, tagliati a guisa appunto di pietre, sembrano poter galleggiare liberamente nello spazio senza tener conto del loro peso reale. Forme e volumi che devono semplicemente dar vita a un gioco architettonico e musicale di ritmi, di pieni e  vuoti. Questa necessità di struttura, si accompagna ad una ricerca sul colore, anch’esso costruttivo oltre che sensibile e luminoso. Magnelli ha fatto sua ogni esperienza delle prime avanguardie: cubismo, futurismo, metafisica, risolti nell’arte astratta, per definire un suo linguaggio personale, che dalla sintesi di ogni riferimento esce con l’autonomia di un’arte nuova perché antica, anzi primordiale.

    Non si pensi a queste pietre come elementi vuoti all’interno, ridotte a linguaggio decorativo, perché appunto questi volumi scabri, hanno la consistenza di forme di un certo peso. Sopravvive in Magnelli  il senso volumetrico realistico della scuola fiorentina, quella praticata anche da Michelangelo giovane a Santa Croce e al Carmine, che è la scuola di Giotto e Masaccio.  A questi artisti  si aggiunge la conoscenza di Piero della Francesca, quindi il senso architettonico della forma, l’importanza della luce ad ammorbidire la durezza e secchezza delle forme e dei volumi sottomessi al pensiero matematico e geometrico, l’importanza del ritmo spaziale. Un po’ di umanità e natura a stemperare l’effetto araldico dell’immagine astratta, una funzione di emblema dell’immagine in quella grammatica ridotta a schematismi simbolici, come piaceva dire a Roberto Longhi che a Magnelli dedicò un piccolo saggio  nel  1950 .

    A chi lo interrogava sull’importanza per lui del pittore di Sansepolcro, Magnelli rispondeva sempre:  “Piero mi ha rivelato la composizione in una superficie, mi ha fatto capire il giuoco dei vuoti e dei pieni. Grazie a lui, ho sentito che la mia arte, i miei quadri dovevano sempre tendere a una concezione architettonica“.

    Sono convinto che se le posassimo sulla bilancia quelle pietre avrebbero un peso ma, una volta che le riponessimo nel quadro, potrebbero tornare a sollevarsi come meteoriti in una spazio senza gravità, congelate in una danza cosmica solo per noi, che le ammiriamo con lo sguardo incantato di bambini messi di fronte a un gioco di magia sovrannaturale.

    Copyright Sergio Risaliti
    Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.
    Montaggio video: Antonella Nicola