“Il 2020 ci ha svegliato dal torpore, ora il pericolo è sacrificare la libertà conquistata dall’uomo nei millenni”

Breve ma bella intervista, lucida e in gran parte condivisibile. Forse due punti andrebbero meglio discussi. Il primo riguarda quello dell’ “esercito che non ha sparato” riferito a gran parte degli intellettuali, quasi un’accusa di conformismo ignavo generalizzato. Mi sembra un’affermazione superficiale. E d’altronde quelli che hanno fatto sentire la propria “originale” voce non sempre sono stati capaci di centrare l’argomento. Penso ad Agamben, filosofo di cui condivido molti pensieri a riguardo dei rapporti emergenza / potere e che in questo caso ha tirato fuori un pamphlet dove gli assunti erano palesemente contraddetti dalla realtà fattuale. E non è stato il solo, ovviamente. Inoltre il problema della libertà umana e delle rivoluzioni è un argomento francamente sproporzionato rispetto a quello che sta succedendo. E poi anche storicamente poco focalizzato. L’uomo si è sempre adattato alla Natura, magari cercando di adattarla a sua volta, magari di violentarla. Ma soprattutto ha fatto adattamenti “sociali”, dal Neolitico in poi, di fronte ai rischi epidemici. Non proprio rivoluzioni o controrivoluzioni in nome della libertà: si pensi alla nascita della sanità pubblica come difesa verso la peste (e poi la sifilide) o il mutamento talora quasi radicale dei costumi sessuali de facto non solo dopo l’arrivo della sifilide alla fine del Quattrocento, ma di quello dell’AIDS alla fine degli anni ’70. Viste dal punto di vista del filosofo queste potrebbero essere considerate perdite di libertà, ma lo sono state davvero, in un bilancio costo / beneficio?