“Fiori (Dalie)” di Antonio Donghi

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    “L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Fiori (Dalie) “di Antonio Donghi. (Olio su tela, 1923 ca.)

    Negli ultimi secoli il pittore si è esercitato sugli spazi e le forme naturali in svariati modi, scegliendo i più diversi soggetti: paesaggi e nature morte, immagine dell’aperto e del mondo vegetale, delle rocce, della vita nascosta nel verde o di quella volteggiante in aria. Dopo l’impressionismo, che ha messo al centro dell’arte campi fioriti, composizioni floreali, felici passeggiate all’aria aperta, gite in barca, il cambiare delle stagioni nei parchi, accade che le avanguardie dei primi del novecento  utilizzino il tema della natura morta, antico di almeno quattro secoli, per sperimentare i nuovi principi scientifici o filosofici della visione, inconsuete regole compositive, fin troppo complicate prospettive, e modi di dipingere sempre più eccentrici. Pablo Picasso con Georges Braque, ad esempio, spacca l’unità figurativa del soggetto in decine di piani per una visione simultanea e caleidoscopica della realtà. Paul Klee, invece, sprofonda lo sguardo nelle forme astratte, essenziali, tra organico e archetipico, per darci una visione veritiera, e comunque lirica, dell’invisibile in natura. Morandi altresì contempla gli oggetti -una serie di bottiglie ritmicamente disposte sul paino o un mazzolino di rose quasi appassite- e lo fa a partire dalla struttura geometrica più profonda, per poi trarne, attraverso il colore-luce, motivo di sublimazione poetica sentimentale. Fin dai primi del secolo, gli artisti italiani sperimentano linguaggi, nuove iconografie, espressioni e retoriche visive, ma hanno alle loro spalle una tradizione che assicura, pur nella trasgressione dei codici e modelli, valori plastici imperturbabili. Punto di riferimento per molti di loro è stato Piero della Francesca, con la sua sintesi prospettica di forma e colore, come sintetizzato perfettamente da Roberto Longhi nel suo saggio sull’artista rinascimentale. A Piero si rifà puntualmente, anche, Antonio Donghi ( Roma, 1897-1963) che offre del mondo una visione magica, dove le figure sembrano vivere sospese nei loro gesti e movimenti, nei sentimenti ed emozioni. Nulla pare turbare l’attimo che può durare eterno, come se non ci fosse alito di vita a sconvolgere quella forma di esistenza surreale, a smuovere l’atmosfera raggelata e trasparente di un mondo sotto vuoto, altrimenti subacqueo. Tra i temi preferiti di Donghi, oltre alle nature morte e ai paesaggi, si possono ricordare: saltimbanchi, personaggi dell’avanspettacolo, giovani amanti. Siamo, però, a un passo da uomini e donne virtuali; più che manichini o calchi di cera, sono veri e propri replicanti o androidi, che vivono in parallelo a noi.

    Guardiamo il suo Fiori o Dalie del 1923 conservato al Museo Novecento. Immagine che oggi potremmo definire virtuale, elaborata con il digitale. Un doppio mazzo di fiori, ravvicinati al punto di sembrare figure allo specchio, che occupano quasi interamente il campo visivo. L’unico accessorio compositivo è una tenda di stoffa pesante, color crea, nocciola, che fa da sfondo. La duplicazione speculare del mazzo di dalie genera straniamento. Si assiste a una clonazione del soggetto, a un parto gemellare. La composizione è degna di una wunderkammer in cui hanno posto curiositas e altre bizzarrie naturali o artificiali. Il mazzo floreale è compatto, i singoli fiori, perfettamente circolari, come tanti grandi bottoni, appaiono incollati tra loro, in una sintesi geometrica sferica. La coppia di vasi che contengono le dalie sono tagliati fino alla cima. Ridotti a una banda scura, come bassi piedistalli sorreggono quei mazzi dalla consistenza piuttosto minerale che vegetale. Il colore arancio delle corolle dei petali è levigato, brilla come fosse di smalto, e le forme sono definite con attenzione ai contorni della corolla che mantengono una loro minuta definizione pur nella riduzione del mazzolino a unica forma sferoide.  In questa estraniante natura morta Donghi combina la luce di Piero della Francesca alla rigida astrazione di Paolo Uccello: la surreale dipendenza dai volumi di uno e la luminosa epifania prospettica dell’altro.

    Copyright Sergio Risaliti
    Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.