Cultura. Felicità Metropolitane – Intervista a Giuseppe Culicchia

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    Cultura. Felicità Metropolitane - Intervista a Giuseppe Culicchia
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    L’associazione culturale La Nottola di Minerva, nell’ambito del progetto Felicità metropolitane, in collaborazione con la Città Metropolitana, presenta: E finsero felici e contenti – Giuseppe Culicchia Feltrinelli. Giovedì 8 ottobre alle 18:00 alla Biblioteca Comunale di Empoli.

    1 commento

    1. Questa merita di essere raccontata. Come ogni sera mi trovo a spadellare in cucina ascoltando controradio, e colgo brandelli di un intervista all’autore di un libro che si dice stufo delle manipolazioni subite dalla nostra lingua. «Sono soprattutto le parole che riguardano il lavoro – dice – ad aver cambiato di significato, e ad avermi spinto a scrivere il libro; è una specie di dizionario delle parole ipocrite che hanno largo corso ai nostri tempi». Accidenti, mi dico, questo va letto assolutamente. Non ho afferrato il nome dell’autore, ma il titolo del libro sì: E finsero felici e contenti. Così appena posso vado in libreria. Il commesso sul principio non si rinviene, ma dopo una googolata se ne esce esclamando: «ah sì, è quello che ha scritto il libro sul Toro!». Il Toro? Nel senso della squadra di calcio? Beh, forse è buon segno, di sicuro non è juventino. Prendo il libro in mano e comincio a sfogliarlo.
      Mi aspetto un dizionarietto caustico ispirato al capostipite del genere, il Dictionnaire portatif di Voltaire, ma leggo nella quarta di copertina che l’autore si richiama piuttosto al Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert. Boh?
      Apro a caso, e l’occhio mi cade sulla voce Bella ciao. Leggo: «Va cantata non solo il 25 Aprile o quando la sinistra perde le elezioni o al concerto del Primo Maggio o a ogni esibizione dei Modena City Ramblers, ma anche in chiesa e alla scuola materna e dovunque si renda necessario per via del fatto che da qualche parte è spuntato un fascista. Chi non la canta è va da sé un fascista».
      Resto incredulo. Ma poi, siamo sicuri che sia un libro nuovo? Vado a cercare il colophon: prima edizione luglio 2020! Ma davvero?
      Quell’abisso di puerilità non basta a dissuadermi, lo compro lo stesso, e quando il libro è ufficialmente mio mi permetto un sondaggio mirato. Magari è uno scivolone. L’autore nell’intervista diceva che erano state le brutte parole riguardanti il lavoro a scuoterlo. Ora se c’è una brutta parola che è entrata nell’uso per confondere le idee sui rapporti di lavoro è la parola “imprenditore”, che non vuol dire proprio nulla, perché può essere indifferentemente usata sia per il capitano d’industria, lo speculatore finanziario, e giù giù fino al merciaio, il mio barbiere, e la più squattrinata delle partite Iva. Un tempo le parole discriminavano in maniera netta, da una parte i padroni dall’altra chi doveva faticare, ma evidentemente tanta nettezza non piaceva al padrone, e in fondo non piaceva nemmeno all’operaio, così è venuta la nebbia dell’imprenditore, e i predicatori della nuova teologia che ci hanno insegnato che siamo tutti imprenditori di noi stessi. Sarà l’autore all’altezza di Voltaire? Troverà il coraggio di ecraser l’infame?
      Cerco “imprenditore”, la prima parola a cui avrei dedicato una voce se fossi stato io l’autore del dizionario. Ma niente, non c’è. Il dizionario è organizzato per sezioni tematiche, e c’è anche una sezione sul lavoro, dove c’è un po’ di tutto, compresa l’originalissima ironia sui netturbini divenuti operatori ecologici, in modo che non si avverta la puzza della spazzatura, ma imprenditore no, non c’è.
      Sono francamente deluso. Continuo a sfogliare il libro e mi convinco sempre di più di aver tra le mani un’accozzaglia di chiacchiere da bar. Continuo svogliatamente a sfogliare finché una voce richiama la mia attenzione: Foibe.
      Sono sempre stato molto sensibile alla questione del fronte orientale, da quando mi accorsi che la rete ferroviaria finisce a Trieste con un binario morto. Volete andare a Lubiana? Beh, organizzatevi perché il treno non c’è. Tra l’altro sul tema ho letto di recente un libro straordinario, Il martire fascista di Adriano Sofri. Preciso che non ho nessuna simpatia per il Sofri, perciò questa sua perla rara è stata per me una sorpresa sconvolgente: da far leggere nelle scuole! Vediamo, allora, cos’ha da dire il nostro tifoso del Torino a proposito delle foibe: «Secondo un signore – scrive – che di recente è intervenuto con un post sulla pagina Facebook dell’Anpi di Rovigo, sono “un’invenzione storica”. Se proprio si è costretti a citarle, rimarcare che comunque il numero delle vittime è stato gonfiato dalla destra, cioè dai fascisti. Rimarcare che comunque vanno “contestualizzate” e dunque metterle in relazione all’occupazione nazi-fascista della Jugoslavia con le relative stragi. Ricorrere così a un’argomentazione che riporta alla mente il vecchio adagio biblico occhio per occhio, dente per dente, senza rendersi conto che applicare in maniera indiscriminata il principio della contestualizzazione potrebbe riservare esiti spiacevoli: si potrebbe per esempio sostenere che la repressione della rivolta algerina da parte dei francesi anche per mezzo delle torture inflitte dai parà ai militanti dell’Fln va contestualizzata nel quadro di un’insurrezione in cui i membri dell’Fln fecero vittime civili coi loro attentati dinamitardi, come raccontato magistralmente da Gillo Pontecorvo nel suo La battaglia di Algeri. Chi le cita senza esservi costretto [le foibe] è va da sé un fascista». Ma è pazzo?
      A questo punto sono sicuro. Mi hanno rifilato merce avariata. Mi consolo al pensiero di aver colto l’occasione per accattarmi, non solo questo dizionarietto di ironie scadute e fuori tempo massimo, ma anche l’ultimo libro di Francesco Recami, che raramente mi tradisce. Che dire del tifoso del Torino? Dopo aver fiutato il vento dei social network e la polemica montante contro i cosiddetti radical chic questo signore si maschera da esprit fort e porta in libreria una roba del genere che liscia il pelo ai peggiori luoghi comuni. Davvero, non ce l’ho con lui, e nemmeno con la casa editrice, che invece di chiamare la neuro gli ha stampato il libro. Ce l’ho con la mia infinita dabbenaggine.