“Capanni al mare”, di Carlo Carrà

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    “L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Capanni al mare”, di Carlo Carrà (olio su tela, 1941)

    Siamo nel 1941 e mentre intorno inizia a crollare, sotto la dittatura nazi-fascista, un mondo, già peraltro ferito mortalmente dal primo terribile scontro bellico mondiale, l’artista Carrà che fa? Si ritira solitario in riva al mare e ferma il tempo interiore, si difende dal fragore e dalle urla di disperazione, si accomoda nel silenzio, cerca di vedere nelle cose più semplici e familiari, o in un paesaggio amato, qualcosa che va oltre, che rompe l’esperienza di prigionia e di occlusione che è tanto più forte quanto l’uomo si fa prendere dalla disperazione e dalla confusione.

    Il dipinto, conservato al Museo Novecento, è stato realizzato da Carlo Carrà in Versilia, nelle vicinanze di Forte dei Marmi. Vi si ammira una veduta semplicissima, di un’essenzialità piena, colma, dove tutto parla all’animo e alla testa contemporaneamente. S’intuisce che è stato iniziato en plein aire e poi terminato con cura e lentezza in studio, incrociando sentimenti e struttura. Vi si trovano infatti equilibrio formale, raggiunto con l’applicazione di strutture geometriche, e forza comunicativa data dai colori come valore corrispettivo della vita dei sentimenti e delle emozioni.

    Sembra passato tantissimo tempo da quando Carrà, giovane artista battagliero entrava nell’agone delle avanguardie più importanti del secolo. Ci entrava, ad esempio con i Funerali dell’anarchico Galli. Carrà era stato presente agli scioperi del 1904, poi ai funerali dell’anarchico, ai tumulti che ne seguirono, allo scontro violentissimo tra polizia e dimostranti, e ne aveva ricavato una forte emozione.

    Tra il 1911 e il 1914 Carrà dipinge alcuni capolavori come Ciò che mi ha detto il tramLa Galleria di Milano, Forze centrifugheCarrozzella nella notte, il Cavaliere rosso, Compenetrazione di piani. Il futurismo per Carrà e gli altri suoi colleghi- Boccioni, Balla, Prampolini e Depero- rappresentò un problema d’identità “nazionale nella nuova Italia, l’arte cessò di essere un amore clandestino, una reazione contro l’accademismo”.  In seguito, e dopo un viaggio a Parigi, ritorna a studiare Giotto e Paolo Uccello, spinto forse dalla conoscenza delle opere del Doganiere Rousseau e del primo Picasso. Lo fa con l’intento di recuperare un rapporto con la storia dell’arte in Italia, ha deciso di ricostruire un possibile raccordo tra modernità e tradizione figurativa umanistica.

    Sono questi i presupposti per capire il percorso intero di Carrà, dopo la prima esperienza futurista. Il percorso di un artista mai pago di stare in una o nell’altra avanguardia, di un creatore libero e consumato, artefice di alcuni tra i quadri moderni più belli al mondo; come ad esempio La camera incantataLa musa metafisica, e poi Le figlie di LotGentiluomo ubriacoL’amante dell’ingegnerePino sul mareI DioscuriLa casa dell’amore, tutte opere eseguite nelle fasi della Metafisica e di Valori plastici.

    Attraversate tutte le avanguardie raggiunge una semplicità modernissima, colma di sentimenti e strutturata sull’intelligenza delle forme pure.  Wilhelm Worringer, scrive nel 1925: “ la semplicità di Carrà è qualcosa di assai complesso, e sta a dimostrare che esiste ancora una via la quale dalla inevitabile complicazione moderna conduce a una bellezza tanto semplice e perciò comprensibile a tutti.” O detto con le parole dell’artista : “La pittura deve cogliere quel rapporto che comprende il bisogno di immedesimazione con le cose e il bisogno di astrazione”, e poi “Sono le cose ordinarie a rivelare quelle forme che ci dicono uno stato superiore dell’essere da cui nasce una semplicità ben costruita e articolata”. 

    Nel rapporto con la natura, nella contemplazione con il paesaggio Carrà ritrova questa semplicità: “ Principio fondamentale delle mie ricerche era di fermare la commozione suscitata nel mio animo dalla contemplazione del paesaggio”. Forte dei Marmi viene eletta dall’artista come laboratorio per la pittura di paesaggio fin dal 1926 e sarà così fino agli ultimi anni della sua vita. Nasce in questo laboratorio anche il dipinto del Museo Novecento. Una veduta di paesaggio appunto semplicissima, ridotta a pochi elementi: tre capanni, uno solo dei quali bene in vista, gli altri sono necessari a costruire un senso di profondità, rispetto all’arenile, alla linea del mare e al cielo. I colori sono impastati, quasi mossi da variazioni tonali e luministiche, come se stesse a loro la facoltà di esprimere i sentimenti, gli umori, le sensazioni di chi guarda al paesaggio marino per confrontare la vita interiore, l’esistenza umana, l’infinito della natura.  Il quadro è costruito severamente sulla base di scelte geometriche, di proporzione e di ritmi, a cercare di fermare nella quiete l’inquietudine dell’animo con le sue passioni, le sue ombre e pene.

    Questi paesaggi tra Forte dei Marmi, Cinquale, Ronchi, Poveruomo sono familiari a molti di noi con le loro per albe alle spalle e tramonti con cieli rossi infuocati e bellissimi davanti. Il respiro del mare, anticamera per sensazioni infinite, ora cariche di nostalgia ora di speranza e illusioni, paesaggi che ci hanno accompagnato dall’infanzia, rimasti per certi istanti tali e quali, mentre tutto intorno è cambiato e mutato troppo velocemente.

    Copyright Sergio Risaliti
    Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.
    Montaggio video: Antonella Nicola