Ven 26 Apr 2024

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Aids, un milione e mezzo di euro per la formazione in Toscana

Un milione e mezzo di euro per progetti formativi sull’Aids, destinati al personale che opera nei reparti di malattie infettive, beneficiari degli assegni di studio. Lo stabilisce una recente delibera, approvata dalla Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla sanità, Simone Bezzini.

La somma stanziata è destinata alla formazione nell’ambito di attività che la normativa nazionale prevede da anni nell’ambito del “Programma di investimenti urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’Aids”.

Le Aziende sanitarie toscane hanno tempo entro 45 giorni dalla data di approvazione della delibera per presentare anche i progetti formativi sulle infezioni ospedaliere, con la finalità primaria di favorire maggiormente l’incolumità dei pazienti ricoverati.

“Anche se in Toscana assistiamo a una progressiva riduzione dei casi di Hiv e di Aids conclamato – spiega l’assessore alla sanità, Simone Bezzini – non possiamo abbassare la guardia. E’ importante continuare a investire in formazione e prevenzione a tutela della salute di tutti: delle molte persone che ancora oggi lottano contro la propria sieropositività, che spesso scoprono tardi, e del personale sanitario che opera nei reparti delle malattie infettive, e non solo. La Toscana ha una lunga tradizione di investimenti mirati nell’ambito della sanità pubblica, e intendiamo proseguire in questa direzione”.

Il Rapporto dell’Agenzia Regionale di Sanità su Aids e Hiv
In Toscana i nuovi dati del Sistema di sorveglianza HIV rilevano una tendenza alla diminuzione delle nuove notifiche, già in atto negli ultimi anni, ma più evidente nell’ultimo anno: dai 344 casi del 2016 siamo passati a 157 nel 2019.Tuttavia si sta osservando un graduale aumento dei casi tra gli omosessuali maschi: la proporzione di casi attribuibili a trasmissione tra MSM è passata dal 48,5% nel 2009-2010 al 54,4% nel 2017-2019.
Nel contesto nazionale, per la prima volta dal 2009, la Toscana con 3,8 nuove diagnosi per 100.000 residenti ha un’incidenza più bassa rispetto alla media italiana (4,2 per 100.000 res.).

I casi di Aids sono stabili negli ultimi anni e la Toscana con un’incidenza di 1,3 per 100.000 residenti si mantiene tra le regioni italiane con incidenza più alta (Italia: 0,9 per 100.000).

Una quota sempre maggiore di pazienti si presenta tardi alla prima diagnosi di sieropositività, cioè in una fase già avanzata di malattia con un quadro immunologico compromesso e spesso già in AIDS. Questo comportamento è collegato con la bassa o moderata percezione del rischio di HIV nella popolazione che effettua il test solo quando vi è il sospetto di una patologia HIV correlata o una sospetta MTS o un quadro clinico di infezione acuta e solo il 30% lo effettua spontaneamente per percezione di rischio. I pazienti che si presentano tardi alla diagnosi sono più frequentemente eterosessuali maschi, stranieri e di età più avanzata. Si sta osservando comunque negli anni un trend in aumento di diagnosi tardive anche tra gli MSM.

La diagnosi precoce dell’infezione da HIV presenta dei benefici sia per il singolo individuo, in quanto permette il tempestivo inizio della terapia antiretrovirale di combinazione (cART) con riduzione della mortalità e morbilità correlata con HIV e conseguente allungamento dell’aspettativa di vita dei soggetti HIV positivi, sia per la salute pubblica, perché la conoscenza del proprio stato di HIV positività comporta l’assunzione di comportamenti sessuali consapevoli. Con l’abbattimento della carica virale a seguito dell’inizio della cART si riduce, inoltre, la trasmissibilità dell’infezione.

Sebbene siano necessari ulteriori studi più ampi per chiarire meglio l’impatto dell’infezione da HIV su COVID-19, i dati ad oggi dicono che, una PLWHIV (People Living With HIV) in trattamento antiretrovirale efficace, con un numero di CD4 maggiore di 500 e con viremia controllata, se contrae il Covid-19 non ha un rischio di peggior decorso rispetto a una persona HIV-negativa. Altri fattori potrebbero, però, complicarne il decorso e tra questi: una più elevata età (> di 60/65 anni), la presenza di altre patologie polmonari concomitanti, l’essere fumatori o fumatrici o avere un numero ridotto di CD4.

La diagnosi tardiva suggerisce problemi persistenti con l’accesso e la diffusione del test. Per ridurre l’alta percentuale di persone con diagnosi tardiva, è essenziale dare priorità a una serie di interventi di sanità pubblica finalizzati ad aumentare la consapevolezza sul grado di diffusione dell’infezione e sulle modalità di trasmissione e prevenzione e facilitare all’accesso ai test. Le misure necessarie per il contenimento della pandemia Covid-19 potrebbero invece ridurre l’accesso ai servizi.

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