Firenze, al Teatro della Pergola Carlo Cecchi è Enrico IV

Un Pirandello modernizzato che riflette sul significato della pazzia e sul rapporto tra personaggio e persona, per la regia ed interpretazione di Carlo Cecchi

Le maschere, la follia e il teatro nel teatro. Al Teatro della Pergola di Firenze, da martedì 12 a domenica 17 dicembre, Carlo Cecchi è Enrico IV nell’omonima opera di Luigi Pirandello, un innovativo studio sul significato della pazzia e sul rapporto, complesso e inestricabile, tra personaggio e persona, finzione e verità.

“Tutte le volte che ho fatto Pirandello si sono scatenate polemiche – afferma Carlo Cecchi, che ha anche adattato e diretto il testo – ci faccio poco caso: trovo che sia giusto ridare nuova vita a un classico. In questo caso, non è la commozione cerebrale che rende folle Enrico IV, ma il teatro. Sceglie il teatro, perché il mondo che vede non gli piace. Il nostro spettacolo, poi, è un atto unico, non tre, ed è collettivo: tagliando la parte dell’imperatore ecco che le altre si evidenziano, acquistando maggior peso”.

Con Carlo Cecchi condividono il palcoscenico Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, dando nuova linfa a una pietra miliare del teatro pirandelliano, dato che porta in scena i grandi temi dell’identità e del rapporto tra forma e vita, sullo sfondo della contraddittorietà tragicomica della nostra esistenza.

Dopo i memorabili allestimenti de L’Uomo, la bestia e la virtù (in scena nel 1976 con innumerevoli riprese fino all’edizione televisiva del 1991) e Sei personaggi in cerca d’autore (quattro stagioni di tournée teatrale in Italia e all’estero dal 2001 al 2005), Carlo Cecchi torna a Pirandello nel 150° anniversario della nascita con uno dei testi più noti e rappresentati del drammaturgo siciliano: Enrico IV. Al Teatro della Pergola di Firenze da martedì 12 a domenica 17 dicembre. In scena ci sono anche Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, con Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella. Una produzione Marche Teatro.

“Con Pirandello – dice Carlo Cecchi – ho un rapporto doppio: lo considero, come tutti, il più grande autore italiano. E anche il più insopportabile. Ma Pirandello è un punto focale, un nodo centrale nella tradizione del teatro italiano e va affrontato col rispetto che gli si deve”.

La critica, nell’applaudire Cecchi regista e interprete di Pirandello, sottolinea come la modernità, la freschezza e l’essenzialità siano caratteristiche fondamentali del suo teatro e come Cecchi sia capace di creare spettacoli acuti e sorprendentemente ironici, di folgorante semplicità. Su Enrico IV l’artista è intervenuto sul testo in maniera molto più radicale delle altre volte, arrivando a modificarne addirittura il senso.

Spiega lo stesso Carlo Cecchi: “Enrico IV fu scritto nel 1921 per Ruggero Ruggeri, il Grande Attore del primo Novecento. Dopo di lui, molti altri Grandi Attori si sono cimentati con questo monumento alla Grandattorialità. Prima di tutto ho ridotto drasticamente molte delle lunghissime battute del Grande Attore; conseguentemente gli altri personaggi acquistano un rilievo che spesso, soverchiati dal peso delle battute del protagonista, rischiano di perdere. In alcuni dialoghi ho ‘tradotto’ la lingua dell’originale in una lingua teatrale a noi più vicina. E ho fatto della follia e della recita della follia di Enrico IV, che nell’originale ha una causa clinica un po’ banale, una decisione dettata da una sorta di vocazione teatrale: non per nulla, il teatro, il teatro nel teatro e il teatro del teatro, sono il vero tema di questo spettacolo”.

Lo spettacolo narra la vicenda di un uomo, un nobile dei primi del Novecento, che da vent’anni vive chiuso in casa vestendo i panni dell’imperatore Enrico IV di Germania (vissuto nell’XI secolo), prima per vera pazzia, poi per simulazione e infine per drammatica costrizione. L’amarezza vibrante di questa tragedia porta a un risultato di limpida bellezza, a una catarsi vera e propria; forse in Enrico IV, più che in altre tragedie, il pirandellismo vince i suoi schemi e attinge a una tensione interiore davvero universale. Non a caso, infatti, Pirandello non svela mai il vero nome del personaggio di Enrico IV, che finisce vittima dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno.

“Ho alleggerito, modernizzato, molto tagliato, ho cercato di dare a Pirandello – precisa l’attore e regista – un linguaggio da teatro più contemporaneo. Nulla è sparito, solo i lunghi monologhi sono ridotti in maniera estrema. Il bellissimo discorso di Enrico IV sulla pazzia è ovviamente rimasto. Così come tutti i personaggi. Peraltro, quando ci si allontana troppo dal testo uno dei quattro servitori ha il compito di rettificare. Dice: “No, Maestà”. E ricorda l’originale pirandelliano”.

Dunque, l’Enrico IV di Caro Cecchi sceglie di rimanere pazzo, si sveglia dopo l’incidente, osserva il mondo orrendo che gli sta intorno e capisce di non poterne fare parte. Meglio fingersi folle e continuare a recitare il personaggio di Enrico IV che interpretava durante la cavalcata in costume, nella quale viene sbalzato da cavallo, battendo la testa. Tutti lo prendono per pazzo. Allora capisce che esserlo gli conviene: si impone una continua rappresentazione. Cancella la vita, sceglie il teatro.

“Per il teatro, dentro il teatro, impazzisce – conclude Cecchi – Enrico IV non ha scampo, continua a fare quella recita che dapprima è una tragedia. Poi, quando l’identificazione con il personaggio è assoluta, da tragedia diventa farsa”.

Biglietteria

Teatro della Pergola Via della Pergola 30, Firenze

055.0763333 – biglietteria@teatrodellapergola.com

Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30

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‘Musica ribelle’ diventa Opera Rock in scena alla Pergola di Firenze

La storica canzone di Eugenio Finardi, contenuta nel disco del 1976 Sugo, diventa un’opera rock con una band dal vivo, vuole interrogarsi sulle sfide dell’oggi e sul paragone con gli anni ’70, con le canzoni di Finardi ri arrangiate in maniera sorprendente. In scena da domani a domenica 10 Dicembre

Musica, poesia, politica, amore, vita. Da domani martedì 5 a domenica 10 dicembre arriva al Teatro della Pergola di Firenze Musica ribelle – La forza dell’amore l’opera rock sulle sfide dell’oggi e il fermento culturale degli anni ’70 con le musiche di Eugenio Finardi, la regia di Emanuele Gamba e l’interpretazione di Federico Marignetti, Massimo Olcese, Arianna Battilana, Mimosa Campironi. Rock non solo per le sonorità che lo segnano con una band dal vivo, ma soprattutto per l’attitudine, l’approccio, l’ispirazione, l’anima.

“L’idea nasce come un percorso creativo aperto, a più voci, intorno a una scelta precisa: scrivere e realizzare – spiega Emanuele Gamba – uno spettacolo sulla musica, la testimonianza artistica, politica e umana di Eugenio Finardi. Un’opera che per i suoi contenuti e per la sua forza evocativa permette, in particolare in questo momento storico, di parlare un linguaggio di verità e autenticità”.

Dopo Spring Awakening (tratto da Risveglio di primavera di Frank Wedekind), il musical sulla paura ed esaltazione che da sempre i ragazzi provano per il dolce mistero dello sbocciare del proprio corpo, Emanuele Gamba dirige la Musica ribelle scritta da Francesco Niccolini su soggetto di Pietro Contorno, che nasce dall’omonima canzone di Finardi per raccontare e attraversare un’epoca, gli anni Settanta, fino ai giorni nostri.

Nel 1976 usciva Sugo, secondo disco di Eugenio Finardi, e la prima traccia, Musica Ribelle, cantava di una generazione impregnata di ideali e colma di un’ardente passione. Adesso quel brano dà il titolo a uno spettacolo schietto, crudo, con un cast di talento e un gruppo di musicisti, anch’essi attori, che suonano dal vivo. Il tutto in una cornice scenica essenziale ed efficace, in cui si inseriscono soluzioni di video grafica di alto impatto espressivo.

In Musica Ribelle – La forza dell’amore, al Teatro della Pergola di Firenze da domani a domenica 10 dicembre, le canzoni di Finardi rappresentano l’affresco di un intero decennio, gli anni ’70, e l’ispirazione per un confronto tra generazioni, quella di allora e quella di oggi. L’opera rock, scritta da Francesco Niccolini su soggetto di Pietro Contorno, è diretta da Emanuele Gamba e interpretata da Federico Marignetti, Massimo Olcese, Arianna Battilana, Mimosa Campironi, con Alessandro Baldi, David Marzi, Gabriel Glorioso, Marta Paganelli, Filippo Paglino, Albachiara Porcelli, Benedetta Rustici, Luca Viola. Una produzione Todomodo e BaGS Entertainment.

“Dopo il successo di Spring Awakening, storia forte e intensa, è stato difficile individuare un titolo che fosse degno erede di quella esperienza artistica. Volevamo parlare ancora – afferma Emanuele Gamba – a quelle migliaia di ragazzi che ci hanno seguito per oltre due anni di rappresentazioni in mezza Italia. Volevamo parlare con loro, ma anche parlare di loro alle generazioni più mature. In questa ricerca è stato facile trovare Eugenio Finardi, gli anni ’70 e le migliaia di facce e storie di ragazzi incontrati in giro per l’Italia in questi anni”.

Secondo un ormai consolidato iter produttivo, Musica Ribelle è nato artisticamente con la selezione del cast: il gruppo di attori/cantanti che danno vita all’opera è il risultato di tre workshop in collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana e il Teatro Goldoni di Livorno (oltre 600 i partecipanti). Questa cura nella preparazione lo rende un lavoro sui generis nel panorama del teatro musicale italiano.

Cifra irrinunciabile, poi, è la musica dal vivo suonata da Filippo Bertipaglia, Francesco Inverno, Andrea Mandelli. I brani di Finardi, alcuni in versione originale, altri riarrangiati da Emiliano Cecere e Valerio Carboni sotto la supervisione dello stesso Finardi, puntano su sonorità progressive, punk, hip hop, techno, ma ci sono anche ballate e medley del primo decennio della carriera del più ‘ribelle’ cantautore italiano. Ad esempio: Dolce Italia, Patrizia, Diesel, Voglio, Non è nel cuore, Un Uomo, Extraterrestre, La radio e, naturalmente, Musica Ribelle e La forza dell’amore. “Noi sognavamo di cambiare il mondo – ha detto Eugenio Finardi all’Ansa in occasione delle prima milanese – prima che questo cambiasse noi, oggi i giovani devono cambiare loro stessi prima che il mondo letteralmente cambi sotto i loro piedi”.

“Nello spettacolo due generazioni – interviene il regista – corrono in parallelo e per un curioso gioco del destino si ritrovano nello stesso luogo a vivere la musica, le radio libere, i sogni, le delusioni e le fughe. Da più di quarant’anni esiste il lavoro di Eugenio Finardi e la hit del suo secondo album Sugo. Oggi esiste anche questo spettacolo che, a partire dal suo mondo poetico e musicale, racconta una storia giovanile piena di passione, forza e amore”.

Il parallelismo ieri-oggi è la chiave di tutta l’opera ambientata in una Milano d’oggi, con un vecchio scantinato divenuto casa per rapper, graffitari e dj che intendono organizzare un rave notturno: quello stesso scantinato, di proprietà di Hugo, verrà occupato solo per una settimana, da quella gang che ha come leader la giovanissima Lara93. Tra lei e il signor Hugo nascerà un rapporto di scontro, ma anche di confronto. Proprio lì, in quella cantina che, nel lontano 1973, era il ‘covo segreto’ di un collettivo politico e della sua radio libera. Un collettivo che ruotava attorno a Vento, un ragazzo insieme ribelle e impegnato, superficiale e sognatore.

Conclude Emanuele Gamba: “Quella di Lara93 e di Vento sono due storie che corrono in parallelo e che dimostrano come i giovani di oggi non siano poi così lontani da quelli di ieri. La voglia di ribellarsi c’è sempre, che venga manifestata in strada oppure sul web. Musica Ribelle lo racconta alla perfezione, segnando l’incontro tra generazioni che, troppo spesso, si credono lontane”.

Seven, una lettura teatrale al Teatro della Pergola di Firenze

L’opera teatrale scritta da sette drammaturghe è presentata dalla New York University di Firenze per una prima italiana

Oggi 29 Novembre alle 18:00, al Teatro della Pergola a Firenze (Via della Pergola 12/32), New York University di Firenze presenterà una lettura di Seven, un’opera teatrale scritta da sette drammaturghe Paula Cizmar, Catherine Filloux, Gail Kriegel, Carol K. Mack, Ruth Margraff, Anna Deavere Smith and Susan Yankowitz, pluripremiate per il loro lavoro, che documenta la storia di sette donne provenienti dagli angoli più disparati della Terra che hanno lottato per i diritti delle donne, della famiglia e dei bambini in tutto il mondo.

Ideata da Carol Mack e realizzata con il supporto di Vital Voices Global Partnership, l’opera è stata tradotta in 25 lingue e rappresentata in 32 paesi.Arriva in Italia per la prima volta al Teatro della Pergola di Firenze il 29 novembre, a pochi giorni dalla Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne e si inserisce nel calendario delle iniziative per la giornata organizzate dal Comune di Firenze La lettura sarà in italiano ed in inglese: gli studenti del cast (studenti di New York University e studenti della scuola di recitazione La Stanza dell’Attore) saranno affiancati dall’attore americano André Holland, noto per il suo ruolo nel film vincitore del Premio Oscar 2017 Moonlight, per la partecipazione in Selma, e in svariate serie TV americane, e dalla Vice Presidente per i Diritti Umani dell’Associazione Vital Voices, Cindy Dyer.

A dirigere è stato chiamato il regista-attore Jacob Olesen.

Prenotazione obbligatoria a lapietra.dialogues@nyu.edu o 055/5007202

Alla Pergola di Firenze la prima versione teatrale de ‘Il nome della rosa’

Il romanzo di Umberto Eco arriva a teatro con l’adattamento drammaturgico di Stefano Massini e la regia di Leo Muscato da domani a domenica 3 dicembre

Il nome della rosa è un omaggio a Umberto Eco nella prima versione teatrale italiana di Stefano Massini per la regia di Leo Muscato, al Teatro della Pergola di Firenze da martedì 28 novembre a domenica 3 dicembre.

Un cast di tredici attori dà vita a quaranta personaggi, con una recitazione empatica, colloquiale, quotidiana, per uno spettacolo che, nell’insieme, ha un taglio avvincente.

“Se è vero che al centro dell’opera di Eco – afferma Leo Muscato – vi è la feroce lotta fra chi si crede in possesso della verità e agisce con tutti i mezzi per difenderla, e chi al contrario concepisce la verità come la libera conquista dell’intelletto umano, è altrettanto vero che non è la fede a essere messa in discussione, ma due modi di viverla differenti”.

Su uno sfondo storico-politico-teologico, nel momento culminante dello scontro tra Chiesa e Impero sul finire del 1300, si dipana un racconto dal ritmo serrato tra cronaca medioevale, romanzo poliziesco, allegoria e giallo.

Una produzione Teatro Stabile di Torino, Teatro Stabile di Genova, Teatro Stabile del Veneto.

Scritto nel 1980 e vincitore del Premio Strega nel 1981, Il nome della rosa, best seller della letteratura italiana, è stato tradotto in 47 lingue e classificato da ‘Le monde’ tra i 100 libri più belli del XX secolo. La sua versione cinematografica è stata diretta da Jean-Jacques Annaud nel 1986, con protagonista Sean Connery. Leo Muscato, che alterna regie di prosa a quelle liriche, ha trovato nel romanzo di Eco una sfida appassionante: al Teatro della Pergola di Firenze, da martedì 28 novembre a domenica 3 dicembre, ne dirige la prima versione teatrale italiana scritta da Stefano Massini. Con Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Bob Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera e il fiorentino Marco Zannoni.

“Dietro a un racconto trascinante, il romanzo di Umberto Eco – sostiene Leo Muscato – nasconde una storia dagli infiniti livelli di lettura: un incrocio di segni dove ognuno ne nasconde un altro. La struttura stessa del libro è di forte matrice teatrale. Vi è un prologo, una scansione temporale in sette giorni e la suddivisione di ogni singola giornata in otto capitoli, che corrispondono alle ore liturgiche del convento (Mattutino, Laudi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespri, Compieta). Ogni capitolo – prosegue il regista – è introdotto da un sottotitolo utile a orientare il lettore, che in questo modo sa già cosa accade prima ancora di leggerlo. Quindi, la sua attenzione non è focalizzata da cosaaccadrà, ma dal come. Questa modalità a noi teatranti ricorda i cartelli di brechtiana memoria e lo straniamento che ha caratterizzato la sua drammaturgia”.

La scena si apre sul finire del 1300, nel momento culminante della lotta tra Chiesa e Impero che travaglia l’Europa da diversi secoli. Un vecchio frate benedettino, Adso da Melk, è intento a scrivere delle memorie in cui narra alcuni terribili avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù. Nello spettacolo, questo io narrante diventa una figura quasi kantoriana, sempre presente in scena, in stretta relazione con i fatti che lui stesso racconta, accaduti molti anni prima in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Sotto i suoi e nostri occhi si materializza un se stesso giovane, poco più che adolescente, intento a seguire gli insegnamenti di un dotto frate francescano, che nel passato era stato anche inquisitore: Guglielmo da Baskerville. E proprio Guglielmo è stato chiamato per compiere una missione, il cui fine ultimo sembra ignoto anche a lui.

“Quei ricordi si materializzano, diventano corpo e suono. Abbiamo immaginato uno spazio conoscitivo – interviene Muscato – decisamente onirico e ci siamo aiutati componendo una colonna sonora fatta di suoni e melodie semplici, che prendessero per mano lo spettatore e lo aiutassero a seguire i labirinti della memoria di questo vecchio benedettino, così profondamente segnato dai fatti efferati accaduti settant’anni prima e dall’incontro con una fanciulla che non ha mai dimenticato: “Dell’unico amore terreno della mia vita non sapevo e non seppi mai neppure il nome”. Noi ci siamo divertiti a chiamarla Rosa”.

Il ricordo del vecchio Adso diventa così la struttura portante dell’intero impianto scenico, concepito come una scatola magica in continua trasformazione: una scatola nera e astratta con una serie di feritoie attraverso cui far entrare luci e oggetti con i quali evocare i diversi ambienti dell’azione: una biblioteca, una cappella, una cella, una cucina, un ossario, una mensa. Le video proiezioni hanno la funzione drammaturgica di visualizzare gli stati d’animo dei personaggi che in quel momento abitano la scena. Delle musiche originali, frammiste a canti gregoriani eseguiti a cappella dagli stessi interpreti, contribuiscono a creare luoghi di astrazione in cui la parola si fa materia per una fruizione antinaturalistica della vicenda narrata e alimenta nello spettatore una dimensione percettiva che lo porta a dimenticarsi, per un paio d’ore, del meraviglioso film di Jean-Jacques Annaud.

Biglietteria: Teatro della Pergola, Via della Pergola 30, Firenze

055.0763333 – biglietteria@teatrodellapergola.com

Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30

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Alla Pergola di Firenze ‘L’ora di ricevimento’, diretta da Michele Placido

Da domani fino al 26 Novembre al Teatro della Pergola uno spettacolo scritto da Stefano Massini e diretto da Michele Placido, che affronta con sguardo profondo e acuto le contraddizioni, i conflitti, le ingiustizie e le complessità del nostro tempo.

Il Primobanco, il Fuggipresto, Panorama, Raffreddore. E poi, il Falsario, il Rassegnato, l’Invisibile, la Campionessa, il Missionario, il Cartoon, l’Adulto. Non ci sono segreti per un professore di trentennale esperienza: gli bastano pochi istanti per cogliere il carattere d’un alunno e sintetizzarlo in un nomignolo che gli calza a pennello. Il professor Ardeche ha già classificato la sua nuova classe, la Sesta nella sezione C: inizia così L’ora di ricevimento di Stefano Massini, regia di Michele Placido (recentemente ha adattato per il cinema 7 minuti sempre di Massini), con Fabrizio Bentivoglio nel ruolo del protagonista. Al Teatro della Pergola da martedì 21 a domenica 26 novembre.

“Nel crogiolo di razze e culture che è la sua classe – sostiene Fabrizio Bentivoglio – in una scuola della banlieue di Les Izards, periferia di Tolosa, Ardeche si rende conto che il trionfo per lui sarà condurre ognuno di quegli allievi alla conclusione del corso scolastico, fra successi, cadute e compromessi. Per riuscirci, deve fare un’ora di ricevimento ogni giovedì, dalle 11 alle 12. E attraverso una successione di momenti tratti da questi incontri, il pubblico immagina uno per uno i ragazzi che in scena non appaiono mai, sebbene siano i veri protagonisti, e ne segue il percorso”.

Sullo sfondo, dietro una grande vetrata, un grande albero da frutto sembra assistere impassibile all’avvicendarsi dei personaggi, al dramma dell’esclusione sociale, ai piccoli incidenti scolastici di questi giovani apprendisti della vita. E il ciclo naturale della perdita delle foglie e della successiva fioritura accompagna lo svolgersi di ogni anno scolastico, suonando quasi come un paradosso davanti a quel mondo, esterno alla scuola, che di anno in anno è sempre più diverso.

“Questo testo tratta il tema quanto mai attuale – interviene Bentivoglio – della convivenza, ci auguriamo tutti pacifica, con persone di altre etnie, con altri usi, costumi, modi di vestire, mangiare, pregare, che arrivano nel nostro territorio e che quindi bisogna imparare a conoscere, a capire veramente per poterci entrare in relazione. Le affinità sono tante, non fosse altro perché Ardeche ha 60 anni, che è più o meno la mia età. Noi generazione degli anni Settanta, che credevamo di fare la rivoluzione, di cambiare le cose, siamo portati a pensare che il mondo sia andato nella direzione che ci auguravamo, quando invece è andata in modo drammaticamente diverso. Ciononostante, Ardeche continua a predicare la bellezza e anch’io sono convinto, come lui, che ci sia, basta saperla vedere. Pur sapendo che è complicato tramandare la bellezza, Ardeche non riesce a non farlo, è più forte di lui”.

Dallo spettacolo emana comunque il senso di frustrazione del professore: Ardeche, pur con gli sforzi di un insegnante onesto, è impreparato ad accogliere allievi che provengono da altre culture. La sua frustrazione nasce dalla difficoltà di comunicare con loro: parla di Voltaire o Baudelaire a ragazzi che hanno una storia ‘altra’. Il suo smarrimento è quello che viviamo tutti noi. Oggi contano solo i fatti e non le parole, che invece significano dialogo, apertura al confronto, e il mestiere di una persona che, come Ardeche, consiste nell’esaltare la bellezza della poesia, della storia, dell’arte, non può non essere frustrante.

“L’ora di ricevimento – conclude Fabrizio Bentivoglio – diventa così l’amara ammissione di una sconfitta. Di un educatore, ma anche di un’intera società che arranca dietro un mondo nuovo che le sfugge come sabbia tra le dita. Michele Placido mette in scena tutto ciò che noi viviamo in modo molto drammatico in una commedia. Non una commedia per ridere, ma per riflettere, con un finale spiazzante”.

Informazioni e biglietti: 055.0763333 – biglietteria@teatrodellapergola.com

Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30

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La Pergola inaugura la stagione con Prévert

L’opera, una prima nazionale diretta da Gabriele Lavia, inaugura il cartellone del teatro dal 14 al 19 Novembre. Prima della messa in scena inaugurato un defibrillatore in sala

I ragazzi che si amano, il recital da Jacques Prévert con cui Gabriele Lavia inaugura in prima nazionale dal domani al 19 novembre la stagione del Teatro della Pergola di Firenze, raccontano un amore salvifico che dà l’unico senso possibile alla vita, un amore a cui aggrapparsi come naufraghi nel mare delle amarezze e ingiustizie dell’esistenza, un amore totalizzante che rigenera e crea un mondo in cui non c’è spazio per altri, in cui non esiste più niente se non i due giovani amanti. Ciascuno di noi può ritrovare echi e immagini della propria adolescenza.

“Prévert non vuole essere diverso da noi – spiega Gabriele Lavia – non vuole farsi notare. È vestito di grigio. Porta impermeabile e cappello. La domanda è: che cosa siamo noi? Noi, siamo tutta la vita. Noi ci amiamo e noi viviamo, noi viviamo e noi ci amiamo… Con un colpo di scena che ci dà la misura della grandezza di questo autore, Prévert ci dice che noi non sappiamo che cosa sia la vita, non sappiamo che cosa siano i giorni e non sappiamo che cosa sia l’amore. L’essere è soltanto nella non-coscienza di sé”.

L’amore e i giovani: niente e nessuno esiste più attorno a loro, poiché essi non appartengono più a questo mondo, ma a un altro, che vive nell’accecante calore del loro sentimento. Questo amore rigenera l’esistenza, rende unici e straordinari, crea un mondo e annulla gli altri, rende invisibili e senza paura. È un amore che libera.

“I ragazzi che si amano sono in un altrove, dunque – interviene Lavia – per quanto riguarda l’universo di Prévert si tratta di una realtà post platonica, in cui gli uomini vivono in un luogo delle ombre tipico della dimensione della caverna e al contrario i ragazzi che si amano stanno dove c’è la luce sconosciuta fuori dalla caverna. Jacqués Prévert – al di là della popolarità delle sue parole d’amore – è un poeta estremamente complesso, un poeta strano, che ha attraversato tanti momenti diversi e che ha voluto usare le parole di tutti i giorni per esprimere concetti così profondi”.

Il recital prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana è dunque un percorso affascinante e coinvolgente, con una guida d’eccezione come Gabriele Lavia, attraverso le “nebbie”, non solo del porto del celeberrimo film di Marcel Carné (scritto dall’eclettico poeta), ma anche delle cave fumose in cui Juliette Greco cantava Le foglie morte (anche questa del Nostro) e delle immancabili sigarette Gauloises ‘papier mais’ tanto amate da Prévert.

“Jacqués Prévert – conclude Gabriele Lavia – al di là della popolarità delle sue parole d’amore, è un poeta estremamente complesso, un poeta strano, che ha attraversato tanti momenti diversi e che ha voluto usare le parole di tutti i giorni per esprimere concetti profondi”.

A proposito di affari di cuore, non si deve pensare solo all’amore: c’è anche la salute. Per questo il Teatro della Toscana inaugura prima dell’andata in scena de I ragazzi che si amano un apparato defibrillatore, dono di Box Office Toscana da sempre partner di ticketing della Fondazione, che sarà collocato accanto al desk della biglietteria giornaliera. Una protezione per gli spettatori, ma anche per i cittadini, dato che si trova in un luogo aperto per la maggior parte della giornata.

A inaugurarlo il dottor Nicola Armentano, medico specialista in medicina dello sport e Presidente della IV Commissione consiliare “Politiche sociali e della salute, sanità e servizi sociali” del Comune di Firenze, da tempo impegnato in prima linea nella diffusione e nella mappatura di questo tipo di apparati.

Un giorno importante, dunque, che consentirà a tutti di godere del teatro con un maggiore senso di sicurezza e faciliterà il lavoro dei medici di servizio, che cogliamo l’occasione per ringraziare del lavoro prezioso e volontario che prestano a ogni alzata di sipario.

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