Violenza sessuale: seconda condanna per Mustafa Arnaut

Seconda condanna a Firenze per abusi sessuali per Mustafa Arnaut, 25 anni, accusato di aver violentato diverse donne nella zona sud della città, a Varlungo, almeno cinque fra l’agosto del 2017 e il settembre 2018.

Il giudice Sara Farini lo ha condannato, con processo in rito abbreviato, a 4 anni per tentata violenza sessuale e furto con strappo. La vittima è una passante italiana. Come negli altri casi accertati dalle indagini coordinate dal pm Beatrice Giunti, anche in questo episodio – che risale all’agosto 2017 – l’uomo avrebbe individuato la vittima dal suo rifugio ricavato in un ex deposito abbandonato da cui uscì raggiungendola sulla via pubblica nel parco vicino all’Arno tramite un sentiero nascosto dalla vegetazione.

Nel caso di questa seconda condanna è stato ricostruito che la vittima fu colpita e subì un tentativo di abuso sessuale da Arnaut; all’inizio, lo stesso episodio venne considerato come uno scippo violento per portarle via la borsa, poi successivi approfondimenti, anche approfondendo i racconti della donna, hanno inquadrato l’aggressione come abuso sessuale. E’ la seconda condanna dopo quella del 27 marzo scorso dove, sempre in rito abbreviato, il tribunale di Firenze inflisse ad Arnaut una pena di 8 anni e 8 mesi per la violenza sessuale a studentessa asiatica aggredita mentre camminava lungo l’argine dell’Arno andando a casa. Inoltre, anche per gli altri tre episodi di violenza sessuale finora accertati ci saranno altrettanti e distinti processi in rito abbreviato. Mustafa Arnaut si trova in carcere dove già sta scontando la prima condanna.

Omicidio Idy Diene: ex tipografo condannato a sedici anni

Il giudice Sara Farini ha condannato a 16 anni l’ex tipografo Roberto Pirrone in rito abbreviato per l’omicidio del venditore senegalese Idy Diene il 5 marzo 2018 sul ponte Vespucci di Firenze.  Pirrone ha assistito in aula alla lettura del dispositivo in silenzio. Le motivazioni tra 60 giorni.

targaLa condanna è in linea con la richiesta del pm Giuseppe Ledda, che aveva indicato in 24 anni, che poi calano a 16 anni per la riduzione del rito abbreviato, la pena per Pirrone che uccise con più colpi di pistola Diene incrociandolo sul ponte Vespucci.
Nel dispositivo il gup non ha accolto l’aggravante per futili motivi chiesta dal pm e neppure ha riconosciuto le attenuanti generiche come auspicato dai difensori di Pirrone Sibilla Fiori
e Massimo Campolmi. 

“Vidi un’ombra, il ponte era vuoto, sparai, non so perché, io ero in realtà uscito di casa con l’intenzione di uccidermi”: queste parole di Roberto Pirrone, il tipografo in pensione che il 5 marzo scorso ha ucciso  il venditore ambulante Idy Diene, non hanno convinto il giudice Sara Farini che lo ha condannato a 16 anni così come chiesto dal pubblico ministero.  La casualità dell’incontro e del gesto omicida, più volte ribaditi dall’imputato non hanno retto sotto il peso delle domande del pm che durante il processo ha sempre sostenuto la  contraddizione di ipotizzare il suicidio e uscire di casa con un’arma col caricatore pieno di colpi e del dirigersi verso un ponte presumibilmente affollato di persone e macchine come il Vespucci invece che  in un luogo appartato.

Tuttavia nonostante le testimonianze di alcuni passanti e la scelta di Pirrone di risparmiare alcune persone piuttosto che Idy non sono valse a considerare né nell’inchiesta della procura di Firenze né nella sentenza l’aggravante dell’odio razziale alla base del gesto. Alcuni giorni dopo l’omicidio a Firenze in 10mila marciarono pacificamente in corteo sui lungarni e nel centro per ricordarlo e per dire ”no” al razzismo.

Pirrone, che una perizia psichiatrica acquisita in incidente probatorio ha definito “capace di intendere e di volere”, è stato descritto dalla difesa come “una persona che proviene da un situazione di disperazione, con una grande sofferenza interiore, repressa”. Una sofferenza che in base alla sentenza del processo con rito abbreviato, l’uomo avrebbe scaricato su un altro essere umano ponendo fine alla sua esistenza. Il gup del Tribunale di Firenze non ha riconosciuto l’aggravante dei futili motivi (contestata dalla pubblica accusa)  ma  non ha concesso nemmeno  le attenuanti generiche.  L’imputato ha assistito in aula alla lettura della sentenza in silenzio.

Le motivazioni tra 60 giorni. Presumibilmente proprio nei giorni dell’anniversario della morte di Idy che in questi mesi è stato ricordato e commemorato con varie iniziative, da momenti di preghiera, a tornei di calcetto, da concerti a manifestazioni anche volte a raccogliere fondi a sostegno della famiglia alla quale la sentenza attribuisce dei risarcimenti   di 100mila euro a favore di una moglie di Diene che abita in Toscana, e altri due da 75mila e 50mila euro per i figli e per altri parenti del cittadino senegalese.

Castelfiorentino: False residenze e finti lavori per stranieri

Indagato un 48enne originario del Marocco che aiutava stranieri ad ottenere il permesso di soggiorno attraverso finte residenze e falsi lavori.

Un 48enne originario del Marocco e residente a Castelfiorentino (Firenze) è stato sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di firma per l’ipotesi del reato di favoreggiamento all’ingresso e alla permanenza illegale di stranieri in Italia disposta dal gip di Firenze Sara Farini, su richiesta del pm Sandro Cutrignelli, titolare delle’inchiesta.

Altre 51 persone, tutti stranieri, sono indagate perchè ritenute responsabili, a vario titolo, delle ipotesi di favoreggiamento in concorso all’ingresso e alla permanenza illegale in Italia ai fini di lucro e falso continuato.

Diverse le perquisizione domiciliari eseguite nel corso delle indagini condotte dalla guardia di finanza e dalla polizia municipale: l’uomo, secondo l’accusa, avrebbe gestito una agenzia di intermediazione occulta alla quale gli stranieri si rivolgevano per chiedere aiuto per il rinnovo del permesso di soggiorno, in cambio di soldi.

Per farlo il 48enne si sarebbe presentato più volte agli uffici demografici del municipio di Castelfiorentino dichiarando che le persone ‘sue clienti’ alloggiavano in appartamenti di sua proprietà, in modo da poter avviare le pratiche per la residenza.

Nel corso dell’inchiesta, secondo la gdf, sarebbe emerso che il 48enne avrebbe anche favorito l’organizzazione di matrimoni combinati e falsi rapporti di assunzione, creando pure false posizioni previdenziali e contributive: 27 persone sarebbero titolari di partita Iva come venditori ambulanti, pur non svolgendo di fatto la professione.

A beneficiare dei ‘servizi’ offerti dall’agenzia non solo stranieri presenti in Toscana ma anche in Veneto, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Puglia, oltre che soggetti provenienti direttamente da stati esteri quali il Marocco, la Tunisia e la Romania.

Accertati 51 casi di false residenze anzi, in due casi, gli stranieri coinvolti risultavano aver fatto ricorso, nel tempo, contro il provvedimento di annullamento della richiesta di iscrizione nelle liste dei residenti.

Fisco: evasione coop trasporti, sequestrati beni per 8,6 milioni

Sequestrati dalla guardia di finanza di Firenze beni mobili e immobili per un valore di 8,6 milioni di euro, nell’ambito di un’inchiesta per reati tributari, nella quale sono indagati sei amministratori di cooperative operanti nel settore del trasporto merci su strada e un consulente tributario che ne curava gli interessi fiscali.

Il sequestro è stato disposto dal gip di Firenze Sara Farini per equivalente dell’evasione fiscale accertata nel corso delle indagini e riguarda 11 appartamenti in Toscana, Campania, Puglia e Sicilia, conti correnti e beni materiali come due orologi di lusso.
Le indagini sono partite nel 2016 da accertamenti su due cooperative di trasporti operanti tra Firenze e Livorno, città dove sono state eseguite perquisizioni, effettuate anche a Pistoia, Caserta, Napoli, Foggia e Agrigento.
Per l’accusa, i due titolari, un 48enne pugliese e un 50enne siciliano, avrebbero messo a punto un sistema per evadere il fisco con la complicità di un consulente fiscale con studio a Napoli e di quattro prestanome. Sempre secondo quanto ricostruito dalla gdf, i due imprenditori si aggiudicavano appalti per il trasporto di merci, che poi facevano eseguire ad altre quattro cooperative. Queste ultime, intestate a prestanome ma a loro riconducibili, emettevano fatture per i lavori, consentendo così alle società dei due imprenditori di far figurare costi fittizi in modo da abbattere i ricavi e di accumulare un credito Iva che poi si facevano rimborsare dallo Stato. In alcuni casi le cooperative intestate ai prestanome, che non presentavano mai dichiarazioni dei redditi, avrebbero emesso anche fatture gonfiate o per lavori mai eseguiti.
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