Matteo Renzi, udienza pubblica sull’inchiesta Open alla Consulta

E’ oggi il giorno dell’udienza pubblica alla corte costituzionale sul conflitto di attribuzioni tra il Senato e i pm di Firenze titolari dell’inchiesta Open. I giudici della Consulta sono chiamati a stabilire se i magistrati che hanno acquisito al fascicolo delle indagini email, sms e messaggi whatsapp e un estratto del conto corrente bancario personale di Matteo Renzi, coperto dall’immunità parlamentare, senza chiedere l’autorizzazione al Senato, hanno violato le prerogative del leader di Italia Viva e di Palazzo Madama.

Per gli avvocati del Senato, Vinicio Settimio Nardo e Giuseppe Morbidelli non c’è dubbio che sia così. Perchè i messaggi telematici di Matteo Renzi rientrano a pieno titolo nella nozione di corrispondenza tutelata dall’articolo 68 della Costituzione e dall’articolo 4 della legge 140 del 2003. Così come costituisce corrispondenza tra la banca e il cliente, soggetta alla stessa tutela, l’estratto del conto corrente. Per il legale della procura di Firenze, l’avvocato Andrea Pertici, invece non è stata violata alcuna norma a proposito. Perchè i messaggi di posta elettronica e whatsapp sono stati acquisiti a seguito del sequestro dei cellulari di due imprenditori, Ugo Vincenzo Manes e Marco Carrai, indagati nella stessa inchiesta.

E ciò che è stato sequestrato, estratto conto compreso, costituisce documentazione non corrispondenza. Dunque non serviva alcuna autorizzazione. “La procura ha agito nel rispetto delle norme costituzionali rilevanti e di quelle attuative di legge ordinaria. E credo che nulla vi sia da eccepire rispetto al suo comportamento”, ha sostenuto il legale. Una tesi contrastata dalla difesa del Senato. I rapporti tra Matteo Renzi, Manes e Carrai “sono strettissimi, come si ricava dai messaggi. C’è una familiarità. Sono rapporti che conoscono tutti, tanto più doveva conoscerli la procura, che ha indagato tutta la famiglia Renzi, senza che si sia giunti mai a nessuna sentenza, anzi nel caso dei genitori sono stati pienamente assolti. Nessuno chiede alla procura di avere capacità divinatorie, ma vedendo che Renzi si contatta continuamente a loro, un campanello d’allarme per chiedere l’autorizzazione in ossequio alle norme costituzionali, sicuramente c’era”, ha detto l’avvocato Morbidelli.

E non c’è dubbio che “Matteo Renzi è sempre stato il vero e proprio bersaglio” delle indagini su Open.

La procura di Firenze chiede archiviazione per i morti affetti da covid

Sono milioni in Italia le morti legate al covid dall’inizio della pandemia. Moltissime sono le persone anziane e fragili che nelle Rsa e negli ospedali hanno perso la vita. I loro familiari cercano risposte, ma non è detto che le avranno.

Infatti, la Procura di Firenze ha chiesto l’archiviazione per la morte legata al Covid di decine di persone, ospiti di Rsa e pazienti degli ospedali del capoluogo toscano, contagiati e deceduti nella fase di massima diffusione del virus tra il 2020 e il 2021. Sarà il GIP a decidere se chiudere il caso o ordinare nuovi accertamenti.

Il primo fascicolo fu aperto nell’aprile 2020, dopo la morte di una donna malata di leucemia, una 45enne fiorentina. Secondo quanto ricostruito nella denuncia dal fratello, la donna fu ricoverata in quattro ospedali per curare il morbo di Burkitt. Ad ogni ingresso veniva sottoposta al tampone, risultando negativa al Coronavirus. Alla fine, sempre secondo quanto ricostruito, era stata accolta nel reparto ematologia di Careggi: anche qui entrò negativa al test Covid, ma poi divenne positiva e dopo due giorni morì.

A seguire quella denuncia, ne arrivarono altre in procura. Nei giorni scorsi gli inquirenti hanno notificato l’avviso di richiesta di archiviazione a 49 persone, tutti familiari delle vittime, che avevano chiesto di essere informati sull’evoluzione delle indagini. I fascicoli aperti dal 2020 sulle morti per Covid a Firenze, comunque, sarebbero molti di più. Tra i familiari ha espresso amarezza, per l’orientamento preso dagli inquirenti, il fratello della 45enne annunciando di voler proporre opposizione alla richiesta di archiviazione della procura fiorentina.

120 mln criptovaluta, 230 mila risparmiatori danneggiati: chiesto processo imprenditore

Per l’amministratore della società di criptovalute, i reati ipotizzati sono quelli di frode informatica, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta e violazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria

La procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per un imprenditore, amministratore unico di una società che gestisce criptovalute, indagato nell’ambito dell’inchiesta sul più grande attacco cyber-finanziario mai avvenuto in Italia. L’uomo, 34enne, sarebbe al centro di una maxi-truffa che ha prodotto un ‘buco’ di 120 milioni di euro sulla piattaforma informatica hackerata ‘Bitgrail’, con oltre 230mila risparmiatori danneggiati in tutto il mondo.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Gabriele Mazzotta e dai sostituti Sandro Cutrignelli e Fabio Di Vizio, sono partite a seguito di un esposto dello stesso 34enne, residente in provincia di Firenze. Nel 2018 lo stesso indagato denunciò l’ingente furto di criptovalute Nano Xrp (pari appunto a 120 milioni di euro), realizzato sfruttando un bug del protocollo Nano e attraverso illecite transazioni. Ma le sue contraddizioni e quelle dei suoi collaboratori hanno insospettito gli investigatori.

Con indagini sofisticate si è scoperto che le illecite sottrazioni di criptovaluta erano cominciate già nel giugno 2017 e che l’amministratore della società consapevolmente non le aveva impedite, omettendo di implementare la sicurezza della piattaforma, continuando in questo modo a percepire i profitti derivanti dalle commissioni e procurando agli hackers, non ancora individuati, un guadagno complessivo di 11.500.000 Xrb, equivalenti a circa 120 milioni di euro.

I reati ipotizzati sono quelli di frode informatica, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta e violazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.

Moto: procura apre inchiesta su morte Dupasquier nel circuito del Mugello

Al momento nessun indagato per la morte di Dupasquier, avvenuta all’ospedale di Careggi il 30 maggio

La procura di Firenze ha aperto un fascicolo, che al momento è senza indagati, sulla morte di Jason Dupasquier, il pilota svizzero di 19 anni morto all’ospedale di Careggi il 30 maggio dove era stato ricoverato in gravissime condizioni dopo un incidente di gara sul circuito del Mugello. Dupasquier era rimasto coinvolto in un violento contatto in pista con altri due piloti mentre partecipavano alle qualifiche della classe Moto3 del Gp d’Italia sabato scorso.

Il 19enne, un emergente della specialità sportiva, è deceduto la domenica mattina al Trauma Center dell’ospedale.

Le sue condizioni erano apparse subito gravi, con danni cerebrali e al torace. Operato nella notte all’ospedale di Careggi da un equipe del Trauma center che lo aveva sottoposto a un intervento di chirurgia toracica per una lesione vascolare. Era ricoverato in gravissime condizioni nel reparto di terapia intensiva ma purtroppo poi è deceduto.

L’impatto è avvenuto sabato 29 maggio, durante le qualifiche della Moto3, valide per il Gran premio d’Italia di motociclismo. Alla curva Arrabbiata 2 si sono scontrati Dupasquier, Jeremy Alcoba (Honda) e Ayumu Sasaki (Ktm). Alcoba e Sasaki non hanno riportato danni significativi, per Dupasquier invece è stato necessario attivare i soccorsi sanitari. La direzione di gara ha immediatamente esposto la bandiera rossa per sospendere le gare. Il pilota svizzero è stato poi trasportato con l’elicottero di soccorso Pegaso all’ospedale di Careggi a Firenze.

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